Riprendersi (il) tempo

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Riprendersi (il) tempo

«Provavo un senso di stanchezza e di spavento a sentire che tutto quel tempo così lungo non solo era stato, senza una sola interruzione, vissuto, pensato, secreto da me, non solo era la mia vita, non solo era me stesso, ma anche che dovevo tenerlo ogni minuto attaccato a me…»

(Alla ricerca del tempo perduto – Marcel Proust)

Con l’avvicinarsi del Natale, qualcosa si mette in moto, proprio come le renne di Babbo Natale. Cominciano a scalpitare per fare capolino sulle cime dei camini nella notte magica. Qualcosa di veramente speciale accade, fra luci, pacchettini colorati e dolciumi tipici. Si risveglia lo spirito del Natale, dicono alcuni, si sente la voglia di riunirsi, stare vicini e abbracciarsi, pensano altri.

In questi giorni il tempo sembra correre più veloce, accelerato dalla frenesia delle festività imminenti e dalla smania della corsa ai regali. Cerchiamo il dono perfetto, per rendere felice chi lo riceve, o forse per ricevere il plauso di aver capito a fondo la persona alla quale lo porgiamo. Tutto deve essere perfetto per quel momento, un momento che arriva in fretta per chi ha passato il resto dell’anno a inseguire l’orologio, quell’orologio che forse proprio non ci appartiene, che ci ha abituati a misurare la nostra esistenza in attimi frammentati, a contare ore, minuti e secondi. E adesso le Feste ci impongono di fermarci per un po’. Ma siamo davvero in grado di fermarci? Sostare nell’attimo presente e pensare a cosa stiamo davvero facendo con il nostro tempo? Ma prima di tutto, domandiamoci se il tempo può davvero definirci in quanto esseri umani. Noi siamo il tempo che siamo, perché il tempo non è una realtà separata da noi perché, come ci ha insegnato Martin Heidegger, il Tempo è il tempo dell’esistenza, e l’uomo vi si proietta, appunto, con un suo progetto. Il filosofo definisce “Dasein”, letteralmente “essere-lì”, l’esserci nel mondo. Per l’esattezza, nel suo monumentale “Essere e tempo”, Heidegger ci spiega che:

“Mentre nell’uomo l’essere, il sein del Dasein, l’essere dell’Essere esprime la possibilità da parte di questo ente di essere tale quale esso progetta di essere; l’Esserci è tale che, nel suo essere, questo stesso essere è in gioco. Quindi solo dell’uomo si può dire che ha l’«esistenza», che ex-siste, che, autoprogettandosi, è esposto alla possibilità di realizzarsi (nellautenticità) o di perdersi (nellinautenticità).”

Introiettando e traslando questo concetto di tempo, scusate il gioco di parole, nel nostro tempo, possiamo allora affermare che il tempo che siamo è, in fondo, quel fluire continuo che ci scivola addosso, fra rimpianti e speranze, e che ci definisce. Il tempo che siamo è come abbiamo vissuto, viviamo e vivremo il nostro tempo. Ed è, soprattutto, quello che possiamo scegliere di essere, nell’attimo che abbracciamo, nell’infinito presente che ci appartiene.

Perché forse, dietro l’ammonimento più antico, “conosci te stesso”, un po’ si nasconde l’invito a conoscere il proprio tempo.

Perché, forse, la vera magia, quest’anno, sarà quella di imparare a smettere di correre e di fare, ma imparare a stare. A essere. A vivere. A riprendere in mano la nostra esistenza, con la consapevolezza che il tempo che siamo è l’unico tempo che conta davvero. E che il nostro percorso non ha scadenze. Non c’è fretta: scoprire chi siamo e cosa vogliamo è il regalo perfetto.