In ricordo di Wislawa Szymborska, la poetessa che ha saputo trasformare l’ordinario in straordinario

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In un’epoca in cui tutti si danno alla poesia, la forma artistica più immediata per esternare un’incontenibile urgenza emotiva, la poetica della polacca Wislawa Szymborska, che oggi ricordiamo per l’anniversario della sua nascita avvenuta il 2 luglio del 1923, rischia di incorrere in una banale strumentalizzazione stilistica che giustifica questa voglia di farsi poeti. Cerchiamo di comprendere, allora, in cosa consiste la grandezza della poetessa polacca tanto decantata dal pubblico contemporaneo.

Brevi cenni biografici:

Wislawa Szymborska crebbe a Cracovia, dove studiò, clandestinamente negli anni della Seconda Guerra mondiale, e dove nel 1941 finalmente si diplomò. Non completò i suoi studi in sociologia a causa delle difficoltà economiche, ma già nei primi anni ’40 scriveva storie e poesie. Determinante fu l’incontro con il poeta e saggista Czesław Miłosz, fortemente coinvolto nell’azione politica e sociale della nazione. Quando iniziò a pubblicare le sue prime poesie, la Szymborska fu sostretta a essere sottopsta alla censura socialista, che non superò, cosa che la spinse ad adattare la sua produzione all’ideologia corrente, da cui negli anni prenderà le distanze, definendo in seguito la decisione accomodante un “peccato di gioventù”. Fu redattrice e illustratrice di riviste e dal 1993 autrice di recensioni per l’importante quotidiano polacco “Gazeta Wyborcza”. Il 1996 fu l’anno del Nobel per la Letteratura. Tra le motivazioni del premio, leggiamo: è autrice di una poesia che, con una precisione ironica, permette al contesto storico e biologico di manifestarsi in frammenti di verità umana. Si rivolge al lettore combinando in modo sorprendente lo spirito, la ricchezza inventiva e l’empatia, ciò che fa pensare talvolta al secolo dei Lumi, talvolta al Barocco”. È morta a Cracovia il 1 febbraio del 2012.

Una poetica indefinita

La prima poesia di Wislawa Szymborska, intitolata “Cerco la parola”, fu pubblicata nel 1945 sul quotidiano locale “Dziennik Polski” Ed è da questi versi che partiremo con la nostra analisi:

Cerco la parola

Voglio con una parola

Descriverli –

Prendo le parole quotidiane, dai dizionari le rubo

Misuro, peso e scruto –

Nessuna

corrisponde.

Le più ardite – sanno di codardia,

le più sdegnose – ancora sante.

Le più crudeli – troppo compassionevoli,

Le più odiose – tropo poco violente.

 

Questa parola deve essere come un vulcano,

che erutta, scorre, abbatte,

come terribile ira di Dio,

come odio bollente.

Voglio, che questa unica parola,

sia impregnata di sangue,

che come le mura tra cui si uccideva

contenga in sé tutte le fosse comuni.

Che descriva precisamente e con chiarezza

chi erano loro – tutto ciò che è successo.

Perché questo che ascolto,

perché questo che si scrive

è ancora tropo poco.

La nostra lingua è impotente,

i suoi suoni all’improvviso – poveri.

Cerco con lo sforzo della mente

cerco questa parola  –

ma non riesco a trovarla.

Non riesco.

Cosa è, dunque, la parola tanto avidamente cercata dalla poetessa polacca? Una parola che quando pronunciata si svuota del suo significato, è indicibile, è una parola che non riesce a esprimere “tutto ciò che è successo”. Eppure, nei suoi versi questa parola tanto voluta c’è, si esprime nel suo voler essere potente e distruttiva “come un vulcano (…) come terribile ira di Dio”. È una parola che contiene la morte, è “impregnata di sangue”, è la parola che non si riesce a trovare, ma che in qualche modo si sforza di dire la realtà. E’ chiaro che i versi si riferiscono alla tragedia bellica, ma se andiamo più a fondo nella ricerca delle liriche successive, si comprende come la parola cercata sia il punto di partenza per provare a dire di una realtà che di per sé è indicibile. Nella poesia intitolata “Tutto”, si legge:

Tutto –
una parola sfrontata e gonfia di boria.
Andrebbe scritta fra virgolette.
Finge di non tralasciare nulla,
di concentrare, includere, contenere e avere.
E invece è soltanto
un brandello di bufera.

In “Vista con granello di sabbia” leggiamo ancora:

Lo chiamiamo granello di sabbia.
Ma lui non chiama se stesso né granello, né sabbia.
Fa a meno di nome
generale, individuale,
instabile, stabile,
scorretto o corretto.

Anche l’Amore, nel suo incontro, nel suo ricordo, è una prospettiva di cui non si ha certezza.

 

Sono entrambi convinti
Che un sentimento improvviso li uni’.
E’ bella una tale certezza,
Ma l’incertezza e’ più bella.

(…)

Ogni inizio infatti
E’ solo un seguito
E il libro degli eventi
E’ sempre aperto a meta’.

 

(da “Amore a prima vista”)

 

Dire l’amore è una prospettiva all’occhio dell’osservatore.

D’altronde nessuna garanzia
Che fossero loro.
Sì, forse, da lontano,
ma da vicino niente affatto.”

 

(da “Prospettiva”)

 

Indicibile è invece definire la donna alla luce di paura e distruzione:

Vietnam

Donna, come ti chiami? – Non lo so.
Quando sei nata, da dove vieni? – Non lo so.
Perché ti sei scavata una tana sottoterra? – Non lo so.
Da quando ti nascondi qui? – Non lo so.
Perché mi hai morso la mano? – Non lo so.
Sai che non ti faremo del male? – Non lo so.
Da che parte stai? – Non lo so.
Ora c’è la guerra, devi scegliere. – Non lo so.
Il tuo villaggio esiste ancora? – Non lo so.
Questi sono i tuoi figli? – Sì.

E ancora, nella chiusa della già citata “Vista con granello di sabbia” si legge:

Il tempo passò come un messo con una notizia urgente.
Ma è solo un paragone nostro.
Inventato il personaggio, insinuata la fretta,
e la notizia inumana.

In “Nulla due volte” viene invece detto:

Nulla due volte accade/né accadrà

 

Conclusioni:

Attraverso uno stile semplice e lineare, con la scelta del verso libero, le poesie della Szymborska superano la difficoltà dell’illusione tradizionale del poter dire tutto, del rendere Uno il molteplice. Il poeta contemporaneo sa di non potersi esprimere, sin da Leopardi si scopre dotato di una doppia vista, fino a diventare visionaria e profetica, non può più tornare indietro, a un ruscire a esprimere la materia, il dicibile si è fatto frammento di una realtà indicibile. Come cogliere ciò che scorre velocemente sotto gli occhi (dis)umani? La poesia diventa allora l’unico strumento per provare a parlare dello straordinario che si nasconde nell’ordinario. Paradossalmente la Szymborska ha confessato di preferire la prosa alla poesia, di aver sempre desiderato voler scrivere e scrivere in prosa, ma le è riuscito scrivere in versi, in frammenti di vita. Non sa dirla, la parola, la poetessa polacca, ma la tira fuori, dal profondo colloquio che ha con se stessa, con la realtà delle cose che la circondano (animali, oggetti, ortaggi), che la spinge a un esprimersi talvolta ironico, una delle sfumature possibili dell’essere presenti in questa realtà.

E il poeta, oggi, allora, chi è? Un letterato erudito o un reietto solitario? Per rispondere al quesito, lasciamo la parola alla protagonista della nostra analisi, ricordando il suo discorso in occasione del conferimento del Nobel:

Il poeta odierno è scettico e diffidente anche – e forse soprattutto – nei confronti di se stesso. Malvolentieri dichiara in pubblico di essere poeta – quasi se ne vergognasse un po’. Ma nella nostra epoca chiassosa è molto più facile ammettere i propri difetti, se si presentano bene, e molto più difficile le proprie qualità, perché sono più nascoste, e noi stessi non ne siamo convinti fino in fondo…”