Qualcuno che aveva tanto sofferto, nel corpo e nell’anima per la privazione della libertà di pensiero e azione, ci ha redarguito sul fatto che noi siamo sicuri nelle nostre tiepide case, mentre a due passi ci sono popoli che perdono i loro diritti. Sta accadendo in questi giorni non lontano da noi, è accaduto mesi fa a donne e bambini in Afghanistan, una terra dal passato epico, di fasti e glorie, artisti e poeti che con le loro opere esprimevano l’interiorità universale della specie umana. Una specie umana che ha tradito sé stessa quando non ha più riconosciuto il sé nell’altro.
Vittime di una cultura patriarcale e oppressiva, restano in questo sfacelo, in molte parti del mondo, le donne, calpestate nella dignità, private dei fondamentali diritti come l’istruzione, ridotte sin dalla tenera età a oggetti di scambio fra uomini, dalle bocche cucite e gli occhi bassi, nascosti dietro oscuri veli. Alcune sono riuscite a fuggire dal loro Paese, portando nel cuore uno strappo irrimediabile, altre sono rimaste, a subire, a osservare impotenti, prigioniere nella morsa della paura.
“Voglio colorare i brutti ricordi della guerra e se coloro questi brutti ricordi allora cancello anche la guerra dalla mente delle persone. Voglio rendere l’Afghanistan famoso per la sua arte, non per la sua guerra.”
Testimonianza di una ricerca dalla valenza più universale, le opere di Shamsia Hassani rappresentano l’arduo cammino delle donne per trovare un posto nel mondo, una dimensione che appartiene al loro animo solido e sognante, nell’intento di comunicare l’immagine di una donna afghana nuova, che ha voglia di ricominciare.
Le sue opere appaiono sui muri delle strade in macerie di Kabul sin dal 2010, dando vita a un’arte povera ma visibile a tutti. Con coraggio ha continuato a dipingere, in 15 minuti per non rischiare molestie da parte degli oppressori.
Nei dipinti, i sogni delle donne sono racchiusi in vasi neri dove sopravvive un fiore, un soffione, candido e luminoso.
Le opere presentano un tratto leggero e delicato, e un messaggio di grande forza: le protagoniste, dal volto caratterizzato dagli occhi chiusi e privo di bocca, sono donne avvolte nei loro hijab, con i burqua trasparenti, che sembrano fluttuare grazie alla potenza dell’arte. Ritratte mentre fanno arte, appunto, simboleggiano la forza creatrice e il coraggio che le contraddistingue.
Diverse le collezioni presenti nella Sala Pagano di Voghera, accompagnate dalle frasi dell’artista: da “Once Upon a Time” a “Dreaming Graffiti”, per citarne un paio, e nelle quali non mancano opere di denuncia, come il dipinto struggente che ritrae una donna in ginocchio, all’interno di un’aula universitaria di Kabul distrutta dagli attacchi dei Talebani. Dal suo cuore si innalza un vortice di fumo nero, simbolo del dolore per le severe e incomprensibili limitazioni del diritto all’istruzione e alla libera espressione.
Ancora una volta il Centro Antiviolenza C.H.I.A.R.A. Onlus di Voghera esprime la sua mission umanitaria nei confronti delle donne vittime di violenza, attraverso la potenza dell’arte, come era accaduto nel novembre 2021 con la mostra itinerante ospitata presso il Castello Sforzesco, dal titolo Punti di luce. Donne della Shoa, dove le diverse sezioni tematiche testimoniano la resilienza femminile attraverso la fantasia e la creatività in una realtà inaccettabile, perché come ha affermato James Hillman: “Senso, immaginazione, piacere e bellezza: è questo che l’anima desidera ardentemente, nell’innata consapevolezza che questa sarebbe la cura.”