“Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario”. Sono le parole tratte da Se questo è un uomo di Primo Levi, parole che ogni anno, il 27 gennaio, troviamo scritte ovunque. Perché ricordare è un dovere. Perché restare indifferenti è un crimine. Eppure, la Storia continua a ripetersi…
Fa rabbia sapere che accade, nonostante le testimonianze letterarie si replichino nelle librerie. Ma è proprio per questo che non si smette mai di scriverne.
Ha voluto provarci anche il giovane autore Luca O’Connor con la storia raccontata nel romanzo L’aquila e la stella, Edizioni WE –ambientata a Pavia, a partire dal 1938 fino al 1945, e la cui stesura ha richiesto ben setti anni, fra documentazioni e approfondimenti.
I due protagonisti sono Gabi Goldshmiedt e Fredrich Von Schifflen, ebreo il primo e tedesco il secondo, figlio del Capo della Gestapo, e che quando si conoscono non sanno ancora cosa la Storia sta per riservare a un’amicizia che giorno dopo giorno diventa per loro sempre più importante.
“Sei un compagno di classe come tutti gli altri. Non hai nulla di diverso. E nemmeno io.”
In occasione della Giornata della Memoria Mi libro in volo ha deciso di intervistare Luca O’Connor per indagare più a fondo una storia che ha avuto l’urgenza di essere raccontata proprio per non dimenticare atrocità perpetrate nell’indifferenza collettiva.
Ciao Luca, ringraziandoti per aver accettato l’invito di Mi libro in volo nello spazio dedicato alle interviste, ci tengo a chiederti subito qual è stata la genesi di questa storia e cosa ti ha spinto a volerla scrivere?
«Grazie a te Domizia per avermi dato questa possibilità. La genesi dell’opera risale al lontano 1998 quando, in terza elementare, le mie maestre mi fecero leggere alcuni dei testi sulla Shoah più importanti come Il Diario di Anne Frank e in seguito Se questo è un uomo di Primo Levi e L’amico ritrovato di Fred Uhlman. Queste letture si sono ripetute successivamente anche alle scuole medie. Ma una cosa rimase uguale, ossia un commento che gli insegnanti ripetevano in continuazione: “queste cose non vanno mai dimenticate”. Così posi una domanda a me stesso su cosa avrei potuto fare nel mio piccolo, affinché non venissero assolutamente dimenticate le atrocità lette in quei testi drammatici. Mi balzò subito l’idea di provare a scrivere anche io qualcosa per poter dare il mio piccolo contributo.»
La storia è ambientata a Pavia, tua città natale. Come mai questa scelta e come ti sei mosso per la documentazione?
«Ho scelto Pavia perché la trovo una città meravigliosa e che, a mio parere, andrebbe valorizzata di più. Nel mio romanzo non viene mai nominata espressamente, ma ci sono i nomi di strade ed edifici che la fanno riconoscere benissimo. Un altro motivo per cui ho scelto la mia città è perché i protagonisti che hannp ispirato la storia sono essi stessi di Pavia, realmente esistiti. Ho portato avanti una lunghissima ricerca ascoltando in continuazione le interviste dei sopravvissuti nei vari programmi tv, oppure leggendo i loro libri. Ma la documentazione più grande è avvenuta visitando un vero campo di concentramento vicino Praga, Theresienstadt, dove ho percepito atmosfera, temperatura, l’area in cui si stanziava il campo, e tutto quello che è sopravvissuto, come le baracche e gli oggetti vari. Uno degli aspetti più difficili è stato reperire informazioni in merito alla Pavia degli anni ’40, che si è trasformata in 80 anni. Ho rinvenuto preziose informazioni sui siti internet che ricostruiscono le città negli anni passati, così ho scoperto i vecchi nomi delle strade, degli edifici, delle usanze degli anni ’30, dei mestieri di una volta (come le lavandaie e gli spazzacamini) e preziosi riferimenti sulla lingua tedesca e sulle severe regole che vigevano nella scuola a quei tempi.»
Chi sono Gabi Goldshmiedt e Fredrich Von Schifflen, e come si evolvono le loro giovani personalità nel corso delle vicende che attraversano gli anni della salita al potere del Fascismo e del Nazismo, fino alla disfatta dei Tedeschi?
«Gabi è un giovane ragazzo ebreo, solare, amante della vita e della città in cui vive, crede nella vera amicizia, gli piace divertirsi, è altruista, simpatico, divertente e, all’inizio della storia, ingenuo e poco incline allo studio e al rispetto dei suoi doveri. Friedrich, invece, è il figlio di un militare tedesco che, in poco tempo, viene obbligato dal padre a diventare soldato per combattere in Europa. È un giovane ragazzo molto scaltro, una guida per Gabi e per tutti, sveglio, pieno di talento, con l’obiettivo di fare il professore. I due si incontrano tra i banchi di scuola all’inizio dell’anno scolastico, ma il rapporto tra i due non è dei più felici. Friedrich capisce all’istante che Gabi è un ebreo e quindi lo tratta con freddezza e disprezzo. Il motivo: suo padre lo spinge a trattare così tutti gli ebrei. Ma presto Friedrich realizza che ci sono sentimenti che vanno oltre e che l’amicizia non ha né limiti né confini.»
Una parte della storia è ambientata ad Auschwitz, Birkenau e Bergen-Belsen. Cosa hai provato immedesimandoti nei prigionieri?
«Ho impiegato sette lunghi anni in ricerche e approfondimenti di documentazioni varie per poter comprendere il modo più esatto per descrivere i campi di concentramento e non è stato per niente facile. Ho provato una sensazione di tristezza enorme mentre scrivevo, perché sapevo che quello che raccontavo è stato vissuto realmente.»
La storia da te raccontata, come altre simili testimonianze, vuole essere un monito per non dimenticare. I protagonisti, dapprima ragazzini spensierati tormentati dalle comuni problematiche adolescenziali, devono fare i conti con l’imprevedibilità della Storia, con una tragedia che piomba sulle loro teste inaspettatamente e che divide chi come loro in realtà non si sente diverso l’uno dall’altro. In una parte ambientata nel 1945, a Bergen- Belsen, accanto ai malati indeboliti e privi di speranza, Gabi pensa: “Credo sia questo il motivo per cui siamo qui (…) Rinchiudere tutti insieme i malati non più abili al lavoro e lasciarli morire lentamente. Da soli. Questa è la tortura peggiore.” Cosa si può fare, secondo te, per evitare che simili catastrofi accadano ancora?
«Sembrerà una banalità, in realtà non lo è per niente, ma l’unico modo per non dimenticare qualcosa è conoscerla e, di contro, ignorare qualcosa diventa una sconfitta per tutti. La nostra senatrice a vita, Liliana Segre, ha fortemente voluto che diventasse famosa questa parola: “indifferenza”. Una parola che forse fa male più delle cattive azioni. Se imparassimo a odiare di meno e ad amarci di più, non ci sarebbero guerre, intolleranze, discriminazioni di nessun genere.»