Intervista a Caterina Ambrosecchia, autrice di romanzi dalla scrittura immersiva nel sud dell’anima

Insegnante di Psicologia nella suggestiva città lucana che è Matera, laureata in Filosofia, appassionata di calcio, moglie, mamma, e autrice, Caterina Ambrosecchia si racconta ai lettori di Mi libro in Volo.

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Intervista a Caterina Ambrosecchia

I suoi due romanzi, La donna giusta e Sette secondi, sono entrambi pubblicati per Gelsorosso, casa editrice pugliese che prendendo il nome dalla nota favola ovidiana di Piramo e Tisbe intende promuovere il forte legame fra tradizione e innovazione culturale locale, presentano il topos della ricerca dell’identità, il primo scavando nelle proprie radici di un Sud Italia ostico e profondo, il secondo volgendo lo sguardo al passato per imparare ad affrontare le paure, fra tutte la perdita delle persone care, nell’incantevole atmosfera dei paesaggi della Grecia.

Apriamo subito l’intervista chiedendo a Caterina Ambrosecchia, che ringraziamo per la sua presenza nello spazio virtuale di Mi libro in Volo, cosa rappresenta il Sud come metafora nei suoi romanzi.

«Il Sud dei miei romanzi non è un paesaggio geografico, ma mappa dell’anima e ambiente umano. Nel mio primo romanzo La donna giusta lo scenario è quello di “un borgo medievale cinto da torri e mura con un imponente castello feudale”, un luogo con strade contorte, scalinate sconnesse, ma il paesaggio è la metafora di una cultura antica, chiusa alle novità, restia al cambiamento. Tutto ciò non ha a che vedere con il sud geografico, è più un sud socioculturale di un’epoca, di relazioni sociali, di stereotipi e pregiudizi di un mondo patriarcale (una parte del romanzo è ambientata negli anni ’50) a cui fanno da contraltare donne coraggiose e orgogliose che nell’ombra s’impongono come modelli di donne estremamente moderne che rifuggono dal ruolo di mogli e madri. Nel mio secondo romanzo Sette secondi il sud è rappresentato dalla Grecia, ma il topos più importante è il viaggio intrapreso da quattro donne nel 1994, un viaggio fisico, ma che ovviamente è anche un viaggio interiore perché le protagoniste s’incontrano, si confrontano, si scoprono e condividono i propri vissuti. Posso dire che il Sud rappresenta il “luogo” in cui si torna dopo essere stati altrove, profondamente cambiati.»

La donna giusta di Caterina Amrosecchia - Gelsorosso Edizioni, 2017
La donna giusta di Caterina Amrosecchia – Gelsorosso Edizioni, 2017

Nel tuo romanzo di esordio, La donna giusta, pubblicato per Gelsorosso Edizioni nel 2017, tratti il tema del ritorno al proprio nido per una nipote, a seguito della morte della nonna. Accade spesso che autori contemporanei introducano l’argomento della famiglia come luogo che, dapprima in ombra, poi si rivela fonte di nuova luce per scoprire se stessi. In fondo, gli stessi luoghi dove è ambientata la storia sembrano nascere dal ventre roccioso della terra, sono paesaggi che nascondono posti segreti, grotte dove filtra appena il sole. Ci racconti, a questo punto, la genesi del romanzo e che tipo di accoglienza ha ricevuto dal pubblico dei lettori?

«La donna giusta è tratto da una storia vera su cui ho costruito intrecci, personaggi, storie familiari. È un romanzo con un duplice piano temporale, gli anni ’50 e i nostri giorni. Narra di tre donne che appartengono a tre generazioni diverse: nonna, figlia e nipote. Quando la nonna muore, sua nipote comincia a scavare nel passato della sua famiglia e scopre una verità diversa. La rivelazione dei segreti darà un nuovo senso a tutta la sua vita. La protagonista degli anni ’50 vive la sua giovinezza in un ambiente socio-culturale povero e arretrato, ma lei è una donna moderna e tenace che riesce a fare cose che in quegli anni erano impensabili per una donna. Il pubblico ha risposto con entusiasmo: dall’esordio nel 2017 presso il Salone Internazionale del Libro a Torino, sono stata in diverse città italiane per presentarlo. Il libro è stato accolto con successo, per un’esordiente e per una casa editrice indipendente effettuare tre ristampe in poco più di otto mesi, è stato un ottimo risultato.»

Sette secodi di Caterina Ambrosecchia - Gelsorosso Edizioni, 2019
Sette secodi di Caterina Ambrosecchia – Gelsorosso Edizioni, 2019

In Sette secondi, uscito sempre per Gelsorosso Edizioni, le protagoniste sono quattro donne che partono per un viaggio nella splendida isola di Mykonos. Quattro personalità differenti, dalle quali emergono le svariate sfaccettature del femminile alle prese con profondi dolori dell’anima. Dato che il libro è ambientato nella terra dei miti, immaginiamo di conoscere i tuoi personaggi femminili accostandoli alle divinità greche. Cosa ne verrebbe fuori, secondo te?

«Le donne protagoniste del mio romanzo, come le dee greche, sono degli archetipi psicologici che ripropongono modelli comportamentali del mondo femminile. Le mie donne sono più influenzate dal contesto culturale ed educativo che dagli archetipi inconsci di cui le dee della mitologia sono, nella lettura psicoanalitica, la rappresentazione. Se devo fare un parallelismo comincio dalla più giovane delle mie protagoniste, Alessandra, che posso associare a Persefone, archetipo della fanciulla che non ha autonomia nelle scelte e ha un atteggiamento passivo, come se aspettasse che qualcuno o qualcosa giunga a trasformare la sua vita. Elena, per alcuni aspetti, è la più saggia e per questo l’associo ad Atena che è governata dalla testa e rappresenta la funzione del pensiero e della volontà. Artemide, regina della notte e dei luoghi selvaggi l’associo a Silvia, spirito indipendente che persegue il proprio obiettivo in modo appassionato. Annamaria potrebbe essere rappresentata da Hestia, la custode del focolare, perché si concentra sulla propria interiorità, è introversa e solitaria, non è ambiziosa e tende a rimanere sullo sfondo senza apparire, proprio come la mia protagonista.»  

Restando in terra greca, mi sembra doveroso ribadire che sei laureata in Filosofia e insegni Psicologia nelle scuole superiori. Cosa rappresentano per te la Sapienza e la Ricerca, e come proponi la materia ai tuoi giovani studenti?

«La Sapienza è ricerca, nel senso socratico del termine, è un concetto dalle varie sfaccettature che può essere declinato sia in ambito pratico, che teologico, che morale: la Sapienza chiarisce ogni cosa, dice Aristotele. Questa luce dovrebbe irradiare il lavoro dei docenti e a ricaduta sugli alunni. Impresa titanica soprattutto oggi che viviamo un momento storico particolare e problematico, sembra impossibile arrivare ai ragazzi, ma è proprio ora che hanno più bisogno di essere rischiarati. Che si denunci il decadimento culturale e morale di certi programmi televisivi, le responsabilità del web e la conseguente distorsione educativa ai danni dei ragazzi. Propongo la materia cercando di sedurre la mente dei miei alunni, dimostrando loro che si può essere “belli” perché culturalmente preparati e non per una immagine ostentata che riceve tanti like. Li aiuto a costruirsi un’identità a prescindere dall’approvazione di un anonimo pubblico, contando solo su ciò che sono. Li accompagno a scoprire chi vogliono essere, in questo la disciplina che insegno mi aiuta, vorrei che si liberassero dalle “catene” e “uscissero dalla caverna”.»

Volendo cercare un significato filosofico nei tuoi due romanzi, quale potrebbe essere il filo che tiene assieme le due trame?

«Non ho mai pensato che i miei romanzi avessero un significato filosofico a sottenderli. Sono storie, vicende, intrecci, scorci di vita e situazioni. Mi ha spinta la voglia di raccontare, non quella di esporre teorie filosofiche in modo meno ostico per farle comprendere più facilmente. D’altro canto, però, nei miei feedback, ho riscontrato un frequente processo di identificazione tra i lettori e i protagonisti delle storie. Mi sembrava di raccontare le storie di tutti, quando il pubblico mi riferiva di aver vissuto vicende simili e di essersi riconosciuto nei personaggi. Credo nel potere terapeutico della lettura e il pensiero di essere riuscita a smuovere conflitti rimossi nei lettori, mi rende orgogliosa. Con la lettura si può guarire o perlomeno si scopre di non essere soli a percepire la realtà in un certo modo, ci si sente compresi, accolti, rincuorati. I libri servono anche a questo.»

L'autrice Caterina Ambrosecchia, lucana, insegnante di Scienze umane e sociali e Psicologia
L’autrice Caterina Ambrosecchia, lucana, insegnante di Scienze umane e sociali e Psicologia

Caterina filosofa e Caterina scrittrice. Come si concilia in te il binomio ragione/sentimento quando sviluppi una storia nella tua mente e poi la riporti su carta?

«Il dualismo Ragione/Sentimento da Cartesio in poi ci ha teso una trappola: il sentire è stato frustrato in quanto svilente dell’essere umano in cui era preferibile che prevalesse la razionalità. Oggi c’è una rivalutazione dell’aspetto emotivo dell’essere umano anche grazie alla scoperta dell’intelligenza emotiva, che conferisce al sentimento una valenza diversa che poco ha a che fare con l’accezione negativa dell’irrazionalità intesa come pulsione istintiva. In me ragione e sentimento coabitano, a volte amabilmente, altre in modo più burrascoso. L’attitudine a comunicare empaticamente con gli altri e a esprimere il mio mondo interiore, mi spinge a dialogare anche con i miei personaggi. Loro attraversano delle vicende e a volte faticano a scegliere tra ciò che vogliono e ciò che gli altri si aspettano da loro. È stato così per Tommaso, che nel mio primo romanzo era attratto da una ragazza che però non era quella che sua madre aveva scelto per lui. Oppure Silvia, una protagonista di Sette secondi, si trova di fronte a un dilemma gigantesco e se razionalmente sa di aver fatto la scelta giusta, la sua emotività ne rimarrà segnata per sempre. Spesso ci troviamo in conflitto tra queste due spinte antitetiche e scegliamo ciò che razionalmente è più facile per farci accettare o per non creare problemi, dentro di noi, però, c’è una lotta senza fine, facciamo di tutto per non ascoltarla e per non registrare il malessere che il nostro corpo ci comunica. Tutto ciò ci fa ammalare.»

Ogni scrittore ha un proprio maestro dal quale ha avidamente imparato e dal quale è partito. Il tuo, Caterina, chi è?

«Noi siamo tutto ciò che abbiamo studiato e letto. È praticamente impossibile scegliere un maestro in particolare. Detto questo, il mio pensiero e la mia vita hanno subito un profondo cambiamento dal momento in cui ho letto e studiato le opere di Friedrich Nietzsche, sia da un punto di vista filosofico che esistenziale; quando ho incontrato i libri di Massimo Recalcati e Umberto Galimberti ho avuto l’opportunità di modificare il mio punto di vista su varie questioni psicologiche e sociali. Da un punto di vista letterario a vent’anni m’innamorai di Thomas Mann leggendo “La montagna incantata”, da allora molti autori mi hanno entusiasmata, altri annoiata. Gli ultimi, da un punto di vista cronologico, che mi hanno lasciato qualcosa di diverso e che quindi posso citare sono: Kent Haruf, John Williams, Agata Kristoff, Patrick McGrath e Hanya Yanagihara.»

Se un giorno fossi tu a diventare maestra ispiratrice, cosa ti piacerebbe che ricordassero i tuoi discepoli della tua scrittura?

«Ho tanti discepoli tra i miei ex alunni e alunni attuali (insegno dal 1992!), mi conoscono come insegnante e, negli ultimi anni anche come scrittrice. Quello che in assoluto vorrei che i miei lettori ricordassero come caratteristica della mia scrittura è la delineazione psicologica dei miei personaggi. Mi piace scavare nel vissuto dei protagonisti, dar voce ai loro desideri profondi, alle paure inconsce, ai traumi del loro passato. Vorrei che ricordassero i miei protagonisti, che gli si “attaccassero” addosso, mi piacerebbe che gli “parlassero” come se fossero amici e continuassero a vivere con loro anche dopo la lettura del romanzo.»

Saluteresti i lettori di Mi libro in volo svelando i progetti letterari futuri che hai nel cassetto?

«Sto scrivendo il mio terzo romanzo ispirato, anche questo, a una storia vera. Si tratta di una donna che diventa madre e che vive questa condizione in modo molto problematico e contraddittorio. Lavoro a questo progetto da un po’ di tempo, il periodo della pandemia non mi ha aiutata, sono stata troppo coinvolta emotivamente dalla situazione per lasciare scorrere libera la storia sulla carta. Mi riprometto di terminare la prima stesura entro l’estate e di pensare alla revisione in autunno. Vorrei che il libro fosse pubblicato ad emergenza terminata, in modo da poter incontrare nuovamente i lettori dal vivo durante le presentazioni. Il contatto con il pubblico è l’aspetto che più mi manca in assoluto.»

Grazie Caterina Ambrosecchia per questa profonda e intensa intervista, ti aspettiamo presto con la tua nuova storia.