Come in un racconto nel racconto, parliamo della genesi e dello sviluppo dell’impresa letteraria “Storie sbagliate” edita da Golem Edizioni. Sette donne autrici dell’antologia contro la violenza di genere, unitesi per dar voce alle vittime che non riescono ancora a parlare o che sono state messe a tacere per sempre.
«Non dimenticate. Non sono state vittime per nulla, se non le dimenticherete, se ascolterete le loro vicende, se ne abbraccerete i ricordi e le paure, se ne riempirete le voragini del corpo e dell’anima con la voglia di dire basta.» (Emma Fenu, prefazione di “Storie sbagliate”)
Nel suo libro Sii bella e stai zitta la scrittrice e filosofa Michela Marzano denuncia la condizione delle donne nella modernità, spronando alla ribellione verso tutti gli stereotipi femminili sotto i quali la società permeata da una visione fallocentrico-gerarchica ha soggiogato la libertà di essere della donna. L’indignazione che la donna impara a manifestare, nell’intento di sentirsi riconosciuta per il proprio valore, libera di decidere in un contesto di uguaglianza rappresenta, purtroppo, un’arma a doppio taglio. In un passaggio l’autrice infatti afferma: «Paradossalmente, il “declino dell’impero patriarcale” va di pari passo con l’aumento delle violenze contro le donne. L’emancipazione della donna non porta ancora all’equilibrio sperato. Il bisogno dell’uomo di dimostrare la propria superiorità prende al contrario forme estremamente inquietanti. Dietro lo stupro c’è quasi sempre il bisogno di umiliare la donna, la volontà di lasciare una traccia di sé su quest’essere che si continua a considerare inferiore.»
È questo lo scenario in cui si inseriscono le storie raccolte nell’antologia Storie sbagliate in uscita il 14 maggio per Golem Edizioni, curata dalle autrici Ilaria Negrini, Ilaria Biondi e Maria Cristina Sferra. L’idea è nata “chiacchierando” sul tema, in rete, fra le autrici e amiche Ilaria Negrini e Ilaria Biondi, alle quali poi si sono unite altre voci di scrittrici e poetesse, quelle di Maria Cristina Sferra, anche lei in qualità di curatrice del progetto, Emma Fenu (autrice anche della prefazione), Serena Pontoriero, Domizia Moramarco e Silvia Cappelli. Protagoniste delle storie raccontate sono bambine strappate troppo presto alla loro condizione di purezza, private dei sogni più innocenti, donne violate nella loro speranza di un mondo d’amore. Il libro si propone infatti di denunciare, attraverso la creatività letteraria, la realtà drammatica di abusi femminili, sia fisici che psichici, nell’intento di sensibilizzare verso quelle condizioni socio-culturali di celata violenza, così come spiegano nella seguente intervista corale le autrici della raccolta.
Il progetto di “Storie sbagliate”
«Colpita dalla testimonianza di una pratica di infibulazione, ho scritto un racconto – spiega Ilaria Negrini – Mi sono chiesta che cosa poteva aver pensato in quei momenti la bambina sottoposta a questa violenza e ho cercato di vedere la situazione dal suo punto di vista. Poi ho scritto altri racconti in cui cercavo di capire e mostrare quello che vivono a livello psicologico le vittime di atti violenti o di discriminazioni. Ho chiamato “Storie sbagliate” questa mini raccolta che ho successivamente girato alla poetessa Ilaria Biondi che a sua volta, per ogni racconto, ha composto una poesia. Con il successivo coinvolgimento dell’autrice Maria Cristina Sferra, la raccolta ha cominciato così a diventare un progetto più ampio, al punto che è stata invitata anche la scrittrice Emma Fenu, sia come autrice di racconti e poesie sia per la stesura della prefazione dell’antologia.»
«Ho accolto con entusiasmo la proposta – racconta a questo punto la Fenu – segnalando altre autrici: Domizia Moramarco, Serena Pontoriero e Silvia Cappelli. Tenaci e coese, le tre curatrici ci hanno fatto innamorare di un progetto che abbiamo sentito subito nostro e che sarà testimonianza del nostro impegno e dei nostri valori in ambito culturale, come donne e come promotrici di diritti inviolabili che sono di tutte e tutti.»
Già autrice di un breve testo sulla violenza del linguaggio per il progetto “Mille voci contro la violenza” organizzato da Cultura al Femminile a Milano, Serena Pontoriero spiega così il suo coinvolgimento al progetto: «Ho deciso di partecipare quando ho letto i testi che erano già stati prodotti. Temevo che fossero testi particolarmente violenti o che si scendesse in dettagli scabrosi. Invece, nonostante il tema, le storie sono raccontate con molta delicatezza e una partecipazione commossa. Ho capito che raccontare da quest’angolo prospettico, aiuta la liberazione della parola di coloro che ne sono state private, contribuisce a creare una comunità di aiuto reciproco e, voglio sperare che parlandone, si sensibilizzi l’opinione pubblica e le autorità.»
Il potere della parola scritta
«Una via d’uscita giusta per una strada sbagliata esiste sempre; anche dove la morte ha fatto calare un gelo di neve nera, le parole possono far germogliare dai semi gettati sulla terra delle tombe i fiori della libertà.» (Emma Fenu, prefazione di “Storie sbagliate”)
«Parlare di questi fatti terribili, raccontare quello che sentono le vittime, quale sia il meccanismo psicologico che le accompagna, pensiamo possa aiutare a riflettere e a capire – riprende Ilaria Negrini – È importante anche per non dimenticare che ognuna di loro è una persona, è una storia. La parola scritta è anche questo: impedire di dimenticare e di abituarsi a ciò che è sbagliato.» Al suo intervento si aggiunge Cristina Sferra, dichiarando: «Lavorare su questo progetto mi ha coinvolta profondamente in corpo e in anima. Impossibile restare indifferente di fronte all’orrore della violenza che ogni giorno le donne subiscono. La parola è la nostra forza e con essa abbiamo dato voce alle creature vessate, violate e uccise perché le loro storie diventassero grido di denuncia e stimolo di trasformazione.»
Il lavoro di squadra
«Collaborare tutte assieme è stato, innanzitutto, un piacere da un punto di vista umano– ci tiene a specificare Serena Pontoriero – Quest’antologia mi ha permesso di entrare in contatto, approfondendone la conoscenza, con le donne che vi hanno partecipato. É stata insomma una esperienza molto arricchente perché ci siamo scambiate opinioni su questa difficile problematica e sul ruolo delle donne nella società. Infine, il fatto di lavorare in coppia, per costruire racconti partendo dalle poesie o poesie partendo dai racconti, è stato un piacevole “esercizio di stile”, come direbbe Queneau.»
«Quando mi è stato chiesto da Emma Fenu di partecipare all’iniziativa corale dell’antologia, stavo seguendo un suo corso di scrittura creativa ed era per me un momento di riscoperta dell’espressione attraverso la parola scritta – racconta Silvia Cappelli che nella vita si occupa di cooperazione internazionale e assistenza umanitaria e ha lavorato per cinque anni in ambito di diritti dell’infanzia e violenza contro le donne – Ho accettato perchè ho pensato che avrei potuto imparare qualcosa dallo scambio con altre donne come me e con sicuramente più esperienza di me in ambito letterario. Ovviamente la proposta mi ha anche molto lusingata. In quel periodo mi trovavo in Marocco e sono venuta a contatto con molte donne che avevano avuto un percorso simile: provenienti da famiglie indigenti nelle zone rurali erano state vendute o semplicemente “cedute” a famiglie facoltose in città, che su promessa di crescerle e assicurare loro un’educazione le impiegavano invece in casa come domestiche. Molte di esse, fin da bambine, erano state vittime di violenze e soprusi.» E poi conclude:«Lavorare assieme è stato interessante e molto istruttivo e mi ha permesso di avere uno sguardo “dall’interno” al mondo di chi scrive in maniera regolare e vi dedica gran parte del proprio tempo.»
Le composizioni
L’antologia è stata strutturata in modo speculare: ad ogni racconto (la maggior parte dei quali si richiamano a tragici fatti di cronaca) fa da contraltare una poesia, ad esso ispirata. Solo in un paio di casi le forme espressive si invertono ed è il racconto che prende ispirazione da una poesia. Due linguaggi diversi, ma complementari, che cercano ognuno a modo proprio di raccontare l’irraccontabile, l’indicibile che è sotteso a qualsivoglia forma di violenza. (dalla sinossi dell’antologia “Storie Sbagliate” – Golem Edizioni)
Randagia corolla
«Non più/ me/ Morta la rosa nel mio ventre/ spalancato sciupato di maceria./ Stretti gli aghi nel taglio/ scalzo della mia pelle buia./ Si rompe la notte/ a sbiadire il silenzio abbandonato/ di un cielo di bisso./ Raccoglieranno gli spigoli delle stelle/ l’alfabeto spinato di un ricordo di croce./ Vago vuota/ di me.» (Ilaria Biondi – “Storie Sbagliate”)
«Ho scritto di pancia, di utero, di cuore, di mani, di occhi – dichiara Emma Fenu – Ho scritto storie non vissute direttamente ma che sono la mia Storia, che raccontano il mio passato e che non voglio macchino il mio futuro. Il mio e di tutte le altre.»
Serena Pontoriero, invece, precisa: «La poesia di Maria Cristina Sferra, che ha ispirato uno dei racconti da me scritti per la raccolta, dal titolo “Libertà in valigia”, è il mio componimento che più si avvicina ad un fatto di cronaca. Per gli altri testi, ho letto testimonianze e le ho rielaborate per farne delle storie verosimili.»
«Quando Emma mi ha contattata, sono stata ben lieta di inviare i miei contributi. Uno è una poesia al racconto “fiabesco” della stessa Emma, mentre l’altro è un componimento che avevo già nel cassetto, una storia che mi ero raccontata nella testa durante le mie lunghe passeggiate, frutto di riflessioni su aberranti fatti di cronaca. Ogni volta che i mass media riportano tali omicidi, mi domando incessantemente perché succede tutto questo e ho provato a entrare nella testa dell’omicida, uomo. Ho voluto raccontare, perciò, una delle tante storie possibili, ma dal punto di vista maschile, cercando di intravedere un possibile spiraglio di cambiamento, che poi in fondo è quello che ci si augura con le narrazioni dell’antologia, sensibilizzare e indurre alla meditazione su questa triste piaga sociale. Ci è riuscita Emma nella sua prefazione, ammonendo: “Non dimenticatevi della donna uccisa perché la sua libertà di affermazione faceva crollare le certezze di un maschio senza forza”.» spiega Domizia Moramarco.
«Il mio racconto breve è stato ispirato da tante storie – dice invece Silvia Cappelli – ma sicuramente da una in particolare: una ragazzina era stata lasciata da sola al pronto soccorso di un ospedale di Casablanca, piena di ustioni e di traumi. Quasi non parlava. In mano aveva un assegno che si scoprì essere stato firmato da una signora facoltosa che con tutta probabilità era la responsabile dello stato in cui la ragazzina si trovava. Mi chiesi con sgomento se lasciarle un assegno fosse stata leggerezza o se la signora fosse tanto boriosa da sentirsi al di sopra della legge.»
Il messaggio di “Storie sbagliate”
«Sono fortemente convinta che la comunicazione verbale sia un mezzo potente per contrastare il silenzio che troppe volte nasconde realtà pericolose e possa aiutare a fermare l’atto di violenza prima che venga compiuto», ha dichiarato Maria Cristina Sferra, mentre Silvia Cappelli conclude: «Mi occupo di diritti umani ogni giorno, ma credo che la scrittura e questo genere di libri parlino alle persone molto di più di un rapporto o di una notizia sui giornali. Spero che possa essere un piccolo tassello nella lotta alla stigmatizzazione delle donne vittime di violenza.»