Intervista alle autrici di “Storie sbagliate”. La parola contro la violenza.
Come in un racconto nel racconto, parliamo della genesi e dello sviluppo dell’impresa letteraria “Storie sbagliate” edita da Golem Edizioni. Sette donne autrici dell’antologia contro la violenza di genere, unitesi per dar voce alle vittime che non riescono ancora a parlare o che sono state messe a tacere per sempre.
«Non dimenticate. Non sono state vittime per nulla, se non le dimenticherete, se ascolterete le loro vicende, se ne abbraccerete i ricordi e le paure, se ne riempirete le voragini del corpo e dell’anima con la voglia di dire basta.» (Emma Fenu, prefazione di “Storie sbagliate”) Nel suo libro Sii bella e stai zitta la scrittrice e filosofa Michela Marzano denuncia la condizione delle donne nella modernità, spronando alla ribellione verso tutti gli stereotipi femminili sotto i quali la società permeata da una visione fallocentrico-gerarchica ha soggiogato la libertà di essere della donna. L’indignazione che la donna impara a manifestare, nell’intento di sentirsi riconosciuta per il proprio valore, libera di decidere in un contesto di uguaglianza rappresenta, purtroppo, un’arma a doppio taglio. In un passaggio l’autrice infatti afferma: «Paradossalmente, il “declino dell’impero patriarcale” va di pari passo con l’aumento delle violenze contro le donne. L’emancipazione della donna non porta ancora all’equilibrio sperato. Il bisogno dell’uomo di dimostrare la propria superiorità prende al contrario forme estremamente inquietanti. Dietro lo stupro c’è quasi sempre il bisogno di umiliare la donna, la volontà di lasciare una traccia di sé su quest’essere che si continua a considerare inferiore.» È questo lo scenario in cui si inseriscono le storie raccolte nell’antologia Storie sbagliate in uscita il 14 maggio per Golem Edizioni, curata dalle autrici Ilaria Negrini, Ilaria Biondi e Maria Cristina Sferra. L’idea è nata “chiacchierando” sul tema, in rete, fra le autrici e amiche Ilaria Negrini e Ilaria Biondi, alle quali poi si sono unite altre voci di scrittrici e poetesse, quelle di Maria Cristina Sferra, anche lei in qualità di curatrice del progetto, Emma Fenu (autrice anche della prefazione), Serena Pontoriero, Domizia Moramarco e Silvia Cappelli. Protagoniste delle storie raccontate sono bambine strappate troppo presto alla loro condizione di purezza, private dei sogni più innocenti, donne violate nella loro speranza di un mondo d’amore. Il libro si propone infatti di denunciare, attraverso la creatività letteraria, la realtà drammatica di abusi femminili, sia fisici che psichici, nell’intento di sensibilizzare verso quelle condizioni socio-culturali di celata violenza, così come spiegano nella seguente intervista corale le autrici della raccolta. Il progetto di “Storie sbagliate” «Colpita dalla testimonianza di una pratica di infibulazione, ho scritto un racconto – spiega Ilaria Negrini – Mi sono chiesta che cosa poteva aver pensato in quei momenti la bambina sottoposta a questa violenza e ho cercato di vedere la situazione dal suo punto di vista. Poi ho scritto altri racconti in cui cercavo di capire e mostrare quello che vivono a livello psicologico le vittime di atti violenti o di discriminazioni. Ho chiamato “Storie sbagliate” questa mini raccolta che ho successivamente girato alla poetessa Ilaria Biondi che a sua volta, per ogni racconto, ha composto una poesia. Con il successivo coinvolgimento dell’autrice Maria Cristina Sferra, la raccolta ha cominciato così a diventare un progetto più ampio, al punto che è stata invitata anche la scrittrice Emma Fenu, sia come autrice di racconti e poesie sia per la stesura della prefazione dell’antologia.» «Ho accolto con entusiasmo la proposta – racconta a questo punto la Fenu – segnalando altre autrici: Domizia Moramarco, Serena Pontoriero e Silvia Cappelli. Tenaci e coese, le tre curatrici ci hanno fatto innamorare di un progetto che abbiamo sentito subito nostro e che sarà testimonianza del nostro impegno e dei nostri valori in ambito culturale, come donne e come promotrici di diritti inviolabili che sono di tutte e tutti.» Già autrice di un breve testo sulla violenza del linguaggio per il progetto “Mille voci contro la violenza” organizzato da Cultura al Femminile a Milano, Serena Pontoriero spiega così il suo coinvolgimento al progetto: «Ho deciso di partecipare quando ho letto i testi che erano già stati prodotti. Temevo che fossero testi particolarmente violenti o che si scendesse in dettagli scabrosi. Invece, nonostante il tema, le storie sono raccontate con molta delicatezza e una partecipazione commossa. Ho capito che raccontare da quest’angolo prospettico, aiuta la liberazione della parola di coloro che ne sono state private, contribuisce a creare una comunità di aiuto reciproco e, voglio sperare che parlandone, si sensibilizzi l’opinione pubblica e le autorità.» Il potere della parola scritta «Una via d’uscita giusta per una strada sbagliata esiste sempre; anche dove la morte ha fatto calare un gelo di neve nera, le parole possono far germogliare dai semi gettati sulla terra delle tombe i fiori della libertà.» (Emma Fenu, prefazione di “Storie sbagliate”) «Parlare di questi fatti terribili, raccontare quello che sentono le vittime, quale sia il meccanismo psicologico che le accompagna, pensiamo possa aiutare a riflettere e a capire – riprende Ilaria Negrini – È importante anche per non dimenticare che ognuna di loro è una persona, è una storia. La parola scritta è anche questo: impedire di dimenticare e di abituarsi a ciò che è sbagliato.» Al suo intervento si aggiunge Cristina Sferra, dichiarando: «Lavorare su questo progetto mi ha coinvolta profondamente in corpo e in anima. Impossibile restare indifferente di fronte all’orrore della violenza che ogni giorno le donne subiscono. La parola è la nostra forza e con essa abbiamo dato voce alle creature vessate, violate e uccise perché le loro storie diventassero grido di denuncia e stimolo di trasformazione.» Il lavoro di squadra «Collaborare tutte assieme è stato, innanzitutto, un piacere da un punto di vista umano– ci tiene a specificare Serena Pontoriero – Quest’antologia mi ha permesso di entrare in contatto, approfondendone la conoscenza, con le donne che vi hanno partecipato. É stata insomma una esperienza molto arricchente perché ci siamo scambiate opinioni su questa difficile problematica e sul ruolo delle donne nella società. Infine, il fatto di lavorare in coppia, per costruire racconti partendo dalle poesie o poesie partendo dai racconti, è stato un piacevole “esercizio di stile”, come direbbe Queneau.» «Quando mi è stato chiesto da Emma Fenu di partecipare all’iniziativa corale dell’antologia, stavo seguendo un suo corso di scrittura creativa ed era per me un momento di riscoperta dell’espressione attraverso la parola scritta – racconta Silvia Cappelli che nella vita si occupa di cooperazione internazionale e assistenza umanitaria e ha lavorato per cinque anni in ambito di diritti dell’infanzia e violenza contro le donne – Ho accettato perchè ho pensato che avrei potuto imparare qualcosa dallo scambio con altre donne come me e con sicuramente più esperienza di me in ambito letterario. Ovviamente la proposta mi ha anche molto lusingata. In quel periodo mi trovavo in Marocco e sono venuta a contatto con molte donne che avevano avuto un percorso simile: provenienti da famiglie indigenti nelle zone rurali erano state vendute o semplicemente “cedute” a famiglie facoltose in città, che su promessa di crescerle e assicurare loro un’educazione le impiegavano invece in casa come domestiche. Molte di esse, fin da bambine, erano state vittime di violenze e soprusi.» E poi conclude:«Lavorare assieme è stato interessante e molto istruttivo e mi ha permesso di avere uno sguardo “dall’interno” al mondo di chi scrive in maniera regolare e vi dedica gran parte del proprio tempo.» Le composizioni L’antologia è stata strutturata in modo speculare: ad ogni racconto (la maggior parte dei quali si richiamano a tragici fatti di cronaca) fa da contraltare una poesia, ad esso ispirata. Solo in un paio di casi le forme espressive si invertono ed è il racconto che prende ispirazione da una poesia. Due linguaggi diversi, ma complementari, che cercano ognuno a modo proprio di raccontare l’irraccontabile, l’indicibile che è sotteso a qualsivoglia forma di violenza. (dalla sinossi dell’antologia “Storie Sbagliate” – Golem Edizioni) Randagia corolla «Non più/ me/ Morta la rosa nel mio ventre/ spalancato sciupato di maceria./ Stretti gli aghi nel taglio/ scalzo della mia pelle buia./ Si rompe la notte/ a sbiadire il silenzio abbandonato/ di un cielo di bisso./ Raccoglieranno gli spigoli delle stelle/ l’alfabeto spinato di un ricordo di croce./ Vago vuota/ di me.» (Ilaria Biondi – “Storie Sbagliate”) «Ho scritto di pancia, di utero, di cuore, di mani, di occhi – dichiara Emma Fenu – Ho scritto storie non vissute direttamente ma che sono la mia Storia, che raccontano il mio passato e che non voglio macchino il mio futuro. Il mio e di tutte le altre.» Serena Pontoriero, invece, precisa: «La poesia di Maria Cristina Sferra, che ha ispirato uno dei racconti da me scritti per la raccolta, dal titolo “Libertà in valigia”, è il mio componimento che più si avvicina ad un fatto di cronaca. Per gli altri testi, ho letto testimonianze e le ho rielaborate per farne delle storie verosimili.» «Quando Emma mi ha contattata, sono stata ben lieta di inviare i miei contributi. Uno è una poesia al racconto “fiabesco” della stessa Emma, mentre l’altro è un componimento che avevo già nel cassetto, una storia che mi ero raccontata nella testa durante le mie lunghe passeggiate, frutto di riflessioni su aberranti fatti di cronaca. Ogni volta che i mass media riportano tali omicidi, mi domando incessantemente perché succede tutto questo e ho provato a entrare nella testa dell’omicida, uomo. Ho voluto raccontare, perciò, una delle tante storie possibili, ma dal punto di vista maschile, cercando di intravedere un possibile spiraglio di cambiamento, che poi in fondo è quello che ci si augura con le narrazioni dell’antologia, sensibilizzare e indurre alla meditazione su questa triste piaga sociale. Ci è riuscita Emma nella sua prefazione, ammonendo: “Non dimenticatevi della donna uccisa perché la sua libertà di affermazione faceva crollare le certezze di un maschio senza forza”.» spiega Domizia Moramarco. «Il mio racconto breve è stato ispirato da tante storie – dice invece Silvia Cappelli – ma sicuramente da una in particolare: una ragazzina era stata lasciata da sola al pronto soccorso di un ospedale di Casablanca, piena di ustioni e di traumi. Quasi non parlava. In mano aveva un assegno che si scoprì essere stato firmato da una signora facoltosa che con tutta probabilità era la responsabile dello stato in cui la ragazzina si trovava. Mi chiesi con sgomento se lasciarle un assegno fosse stata leggerezza o se la signora fosse tanto boriosa da sentirsi al di sopra della legge.» Il messaggio di “Storie sbagliate” «Sono fortemente convinta che la comunicazione verbale sia un mezzo potente per contrastare il silenzio che troppe volte nasconde realtà pericolose e possa aiutare a fermare l’atto di violenza prima che venga compiuto», ha dichiarato Maria Cristina Sferra, mentre Silvia Cappelli conclude: «Mi occupo di diritti umani ogni giorno, ma credo che la scrittura e questo genere di libri parlino alle persone molto di più di un rapporto o di una notizia sui giornali. Spero che possa essere un piccolo tassello nella lotta alla stigmatizzazione delle donne vittime di violenza.»Il nero e l’argento di Paolo Giordano
Fra insicurezze e solipsismi, nel suo romanzo breve Il nero e l’argento, edito da Einaudi nel 2014, Paolo Giordano smaschera la fragilità delle famiglie contemporanee.
IL NERO E L’ARGENTO
Paolo Giordano
Romanzo
Einaudi
pagg. 118
Euro 15,00
ISBN 978-88-06-22161-4 – Anno 2014
“Se i nostri anni migliori fossero davvero questi non sarei soddisfatto dell’uso che ne stiamo facendo.”I gambi accuratamente accorciati tengono in perfetto equilibrio il mazzo di tulipani bianchi adagiati nel vaso, sul comodino, nella stanza da letto dove una donna anziana esala lenti respiri. Lo sguardo di suo marito, nella foto accanto al vaso, attende di accoglierla nuovamente fra le sue braccia. Un uomo, una donna e un bambino le sono accanto per l’ultimo saluto. Cosa rimane di noi. Storia di famiglie in bilico “Gli archeologi del futuro non troverebbero fotografie, le poche abbiamo sono racchiuse nel disco rigido del computer che, quando verrà rinvenuto, sarà già inservibile da moli anni. (…) L’esistenza del nostro tempo insieme è affidata alla buona memoria, la nostra e quella in silicio di una scheda madre.” Quello che descrive Paolo Giordano nel suo breve romanzo “Il nero e l’argento” – Einaudi 2014, è un nuovo Medioevo dell’anima, in cui i ricordi svaniscono, soppiantati dalla tecnologa e dagli arredi metallici dai colori freddi e dai design minimalisti. Con il riferimento alla teoria degli umori di Galeno, l’autore osserva e analizza, con il rigore di un fisico, i sentimenti contrastanti che si combinano all’interno di un mini-nucleo familiare contemporaneo e benestante: Nora, la moglie madre impegnata professionalmente, sempre in giro per lavoro, che arreda case altrui e nella sua vita privata non riesce a gestire le incombenze domestiche, il marito padre ricercatore universitario, riflessivo e razionale, alle prese con la precarietà lavorativa che accantona le sue pretese di ambizione presso un centro di ricerca a Zurigo a favore della serenità di Nora, ed Emanuele, figlio unico, attratto dalla tecnologia, che passa il tempo libero con i videogiochi. Il marito è la voce narrante della vicenda, che ruota intorno alla figura della signora A., soprannominata Babette, come la protagonista del noto racconto della scrittrice Karen Blixen. Con la sua presenza, l’anziana donna garantisce equilibrio alla famiglia, che prima del suo arrivo provvidenziale “oscillava pericolosamente al vento come una pianta giovane”. La figura di Babette Babette è una vedova dai modi di fare bruschi ma schietti ed è tirchia ma risoluta nelle sue scelte. Entra nelle vite della giovane coppia in maniera casuale quando Nora è costretta a letto per una complicanza della gravidanza. Quello che avrebbe dovuto essere un aiuto momentaneo, si prolunga nel tempo come una presenza fissa anche dopo la nascita del bambino. Come una fata madrina, Babette culla, vizia, coccola, cucina e sa cucire, è l’emblema dell’antica saggezza che non è stata tramandata alle nuove generazioni, che si muovono su un terreno instabile, privo di radici. Figlia di genitori separati, Nora assapora la fragranza di un affetto mancato, la vicinanza di una figura rassicurante. La signora A. è una credente devota, a differenza dei due coniugi. Il marito di Nora razionalizza tutto di giorno e di notte soffre d’insonnia. Patisce le insicurezze professionali e frequenta uno psicoterapeuta che definisce la sua una depressione filosofica, segnandogli gocce di Xanax per conciliare il sonno. Quando alla signora A. verrà diagnosticato un crudele e rapido carcinoma e a quel male che la mangia interiormente la donna non vorrà dare in tutti i modi via di scampo, finendo per rivolgersi alla medicina alternativa, con il suo rigore scientifico, il ragionevole padre di famiglia finirà per schernire tale scelta. Presagio triste Con lo stesso titolo, “L’uccello del paradiso”, divisi rispettivamente in I e II parte, il capitolo iniziale e quello finale, nella loro specularità, annunciano un presagio. Una rara specie dell’uccello del paradiso si presenta a Babette mentre lavora nell’orto alle spalle del condominio, per poi ricomparire sul davanzale della finestra della donna nel momento della sua dipartita dal mondo. Questa sorta di premonizione mostra così il suo duplice volto: il tempo dedicato da Babette alla famiglia è un limbo in cui ricostruire nuova vita. Mentre la signora A. si aggrappa alla vita, Nora e suo marito tentano di superare il momento di impasse che stava facendo scricchiolare la loro affettività familiare. In quel momento, infatti, l’incrinatura della relazione coniugale dei due protagonisti, ricucita grazie alla presenza della tata, mostra tutta la sua fragilità. La linfa attiva e ruvida di Babette per un istante ha dato densità e, di conseguenza stabilità, ai due caratteri liquidi di Nora e Renato. Equilibrio precario “Ciò che Galieno non spiega con chiarezza è se gli umori siano miscibili fra loro come vernici, oppure se convivano separati come l’olio e l’acqua (…) Per un lungo periodo credetti di sì. Ero sicuro che l’argento di Nora e il mio nero si stessero mischiando lentamente e che lo stesso fluido metallico e brunito avrebbe infine percorso entrambi, un colore simile a quello di certi antichi gioielli berberi (…) L’esuberanza di Nora e la mia malinconia; la fermezza viscosa della signora A. e il disordine etereo di mia moglie; il limpido ragionamento matematico che avevo coltivato per anni e il pensiero ruvido di Babette: ogni elemento, nonostante l’assiduità e l’affetto, restava diviso dagli altri (…) Eravamo, a dispetto delle nostre speranze, insolubili l’uno nell’altro.” La cupezza del temperamento malinconico del protagonista maschile si riflette in una narrazione densa nella lucida analisi dell’amore e viene diluita da uno stile frammentario e dai frequenti salti temporali. Come nel suo primo romanzo con cui si è aggiudicato sia il Premio Campiello che il Premio Strega “La solitudine dei numeri primi” – Mondadori 2008, i personaggi di Paolo Giordano si sottraggono al flusso dei sentimenti, ma questa volta agli atteggiamenti passivi e autolesionisti si sostituisce una riflessione esasperata dell’affettività contemporanea. Per le emozioni sembra non esserci via di scampo, o forse non esistono formule matematiche che possano risolvere equazioni che di complesso, come dimostra la presenza di Babette, hanno solo l’eccessiva cerebralità del calcolo. Chi è Paolo Giordano Classe 1982, Paolo Giordano è laureato in fisica teorica. Nel 2008 pubblica il suo primo romanzo, La solitudine dei numeri primi – Mondadori con il quale si aggiudica il Premio Campiello e il Premio Strega. Seguono nel 2012 l corpo umano -Mondadori, nel 2014 Il nero e l’argento- Einaudi, nel 2018 Divorare il cielo – Einaudi e nel marzo 2020 Nel contagio – Einaudi.
Intervista ad Alberto Grandi, autore del romanzo noir “La cattiva addormentata” edito da Nulla die.
Dal genere distopico al fantasy mitologico, dallo scifi tradizionale al noir, il giornalista Alberto Grandi si rivela un autore versatile e pronto a mettersi in gioco anche in maniera casuale, come è accaduto per la sua ultima pubblicazione “La cattiva addormentata” – Nulla die Edizioni, di cui ci parla nella seguente intervista.
Ciao Alberto, lieta che tu abbia accettato di chiacchierare in questo salotto virtuale dove Mi libro in volo ospita gli autori per le interviste. Ho appreso con piacere la notizia della tua nuova pubblicazione, questa volta per Nulla die Edizioni. Giornalista per la redazione di Wired Italia e creatore della Community di scrittori Penne Matte, non sei al tuo primo romanzo, alle spalle puoi infatti annoverare diverse pubblicazioni. Ti va di citarcele e di raccontare come sono nate? «Ciao, grazie a te di avermi invitato, è un onore essere qui. Il mio primo romanzo pubblicato da una casa editrice è stato un fantasy mitologico, L’odissea di Timoteo (Delos Digital), una specie di rivisitazione dell’odissea in chiave fantastica e umoristica dove ai miti dell’antica Grecia ho mescolato senza vergogna alieni di ogni tipo. Il secondo romanzo, pubblicato da Prospero Editore, è stato Nubila, un romanzo scifi tradizionale su una galassia dominata da un impero e un manipolo di ribelli che vuole rovesciarlo. Come self publisher ho pubblicato un racconto lungo di genere distopico, La dittatura dei droni, e un’antologia di racconti fantastici, Tutte le bestie del mio giardino. Ora, in piena coronavirus, per Nulla die, sono in libreria e online con il noir La cattiva addormentata.» Autore sperimentatore, ogni volta ti misuri con un genere nuovo. Questa volta hai deciso di cimentarti con una sorta di noir, scandito dal mistero e stilisticamente da un ritmo veloce soprattutto per la predominanza di dialoghi. Come mai questa scelta? «La scelta del genere letterario e dello stile è stata casuale. All’inizio avevo questa idea di raccontare l’incontro di due personaggi diversi, la cattiva in fuga e lo scrittore col blocco creativo, in un grande albergo della Versilia, fuori stagione. Quindi la partenza è stata dettata più da una suggestione paesaggistica. I personaggi e la vicenda su quello sfondo si sono sviluppati quasi da sé.» Lo stile prevalente è quello descrittivo, caratterizzato da frasi brevi e da una terminologia semplice, insomma hai propeso per una narrazione scarna ed essenziale che ricorda quella nordamericana del periodo realista. Cosa c’è, invece, di innovativo nella storia che racconti? «Penso i dialoghi. Dopo le prime pagine mi sono accorto che i dialoghi avevano un peso notevole nella storia e quindi ho proseguito su quella strada. I dialoghi e la velocità. Lo stile semplice e leggero è intenzionale, volevo far sentire al lettore pochissimo il peso della lettura e molto il ritmo della vicenda.» I protagonisti sono Arturo, uno scrittore affetto dal famoso blocco creativo, e quella che si definisce invece una lettrice “non forte” Agata, una ragazza in fuga, che sin dalle prime pagine si rivela sfrontata, nonostante nasconda un triste passato. Come ti sei mosso nel tratteggiare un personaggio femminile psicologicamente complesso? «Con quel po’ di esperienza umana raccolta nei miei 47 anni di vita. Capita o capiterà a tutti di incontrare una ragazza come Agata, un po’ sballata, vuoi per temperamento personale, vuoi per il suo vissuto, ho cercato di rendere sulla pagina questa sua instabilità che, per certi versi è anche un punto di forza.» Nell’intersecarsi dei vari piani narrativi, nel tuo romanzo viene letto un libro, quello che ha portato al successo Arturo. Si rivela un genere singolare, una commistione di generi, una peculiarità che in fondo a te non è nuova. Senza scendere troppo nei dettagli per non togliere il gusto della sorpresa ai lettori, ci sveli quale ruolo ha il libro all’interno della narrazione? «Il libro nel libro, cioè il romanzo con cui Agata si trova ad avere a che fare, è come una porta che le spalanca una nuova prospettiva, una soluzione, per quanto estrema, ai suoi problemi. Insomma, il libro nel mio romanzo fa ciò che ogni lettore spera faccia un libro nel momento in cui lo compra: cambia la vita della protagonista.» Vivendo a contatto tutti i giorni con la scrittura, fra lavoro e passione, che idea ti sei fatto della direzione che ha intrapreso la narrativa contemporanea? Si può, secondo te, parlare di letteratura per alcuni autori e, soprattutto, cosa rende un libro degno di essere definito classico, oggi? «Secondo me la narrativa contemporanea non ha direzioni, nel senso che la globalizzazione e la tecnologia ci hanno dotato di così tanti mezzi di espressione, che si scrive di tutto. Magari ci sono le mode, dettate da una serie tv o da un videogioco che invogliano gli spettatori ad approfondire un certo immaginario e dunque le case editrici ad approfittarne, proponendo saghe che lo rievochino. Insomma, le migliaia di romanzi erotici dopo “50 sfumature” e di romanzi fantasy dopo Il trono di spade. Comunque, penso che una nuova impostazione del narrare ce la darà il coronavirus. Il mondo non è più quello di prima e nemmeno la letteratura che verrà sarà come quella di due mesi fa.» “La cattiva addormentata” è attualmente disponibile sia in versione cartacea, che in formato pdf. In questo particolare periodo il digitale rappresenta la modalità più immediata per dedicarsi alla lettura. Qual è il tuo rapporto con gli ebook come lettore e come autore? «Il mio rapporto con l’ebook dipenda dalla comodità. Ti spiego: se leggessi a casa comprerei sempre cartacei, perché il libro mi piace come oggetto. Ma se devo andare in vacanza o spostare con la metropolitana o l’autobus allora mi porto dietro il Kindle.» In conclusione, ringraziandoti ancora per la disponibilità, mi piacerebbe chiederti se hai già in mente il nuovo genere con il quale sorprenderai il tuo pubblico la prossima volta. «L’anno scorso ho firmato con Robin edizioni per un romanzo che dovrebbe essere pubblicato a maggio, in formato cartaceo, sempre coronavirus permettendo, è di fantascienza, ma non ci sono alieni. È una rivisitazione del mito di Edipo in chiave robotica. Coronavirus permettendo…» Di spunti per leggere Alberto Grandi ne ha dati, adesso tocca a voi lettori fare la vostra scelta.Aspettando che venga sera di Gianfrancesco Timpano
Nel romanzo breve Aspettando che venga sera di Gianfrancesco Timpano edito da Letteratura Alternativa Edizioni, luci e ombre si alternano in una narrazione, ora intimista e frammentaria, ora discorsiva e incalzante, nella commistione di dramma, intrighi e azione, abilmente intrecciati fra loro.
Le ferite, quelle inferte in età precoce, si richiudono soltanto a metà, suppurando negli strati più profondi della pelle, una pelle irruvidita dall’assenza di carezze. Non batte più il sole su quella corteccia, vive nell’ombra di ricordi sbiaditi che si perdono ogni notte negli stessi incubi. La storia che racconta Gianfrancesco Timpano è l’incontro di due solitudini che infrangono lo schema del loro dramma, nel tentativo inconscio di spezzare le catene di un passato che continua a ripetersi nella sua crudele insensatezza. Lei(la) e Lui(gi), l’atavica pazienza, sopportazione femminile in cui risiede la forza per affrontare le avversità e l’istinto a proteggere dalla rude sopraffazione fallocentrica, si osservano da lontano, si scelgono e si ritrovano per intrecciare le loro vite a un nuovo destino. Afa, nebbia, paesaggi paludosi fanno da sfondo a vicende torbide ma mai oscene. Scandita da frequenti cambi di punti di vista, la narrazione adottata da Timpano si mantiene infatti lucida, senza mai scadere nel morboso o nel violento, grazie a una scrittura suadente e precisa. La modulazione del ritmo narrativo è ben equilibrata dall’alternarsi delle sequenze riflessive che frammentano la linearità del racconto nei frequenti cambi di punto di vista, al dinamismo delle azioni fino a raggiungere picchi di tensione. “… sei come ti immagino, come ti sogno mentre guardo nel vuoto: buono, protettivo, generoso, coraggioso, pronto ad ascoltare e desideroso di amare e lasciarsi amare?” si chiede Leila alla finestra osservando Luigi passare sulla sua bicicletta sgangherata. “Il mio sguardo si va a poggiare sui vetri di un’imposta fiocamente illuminata, sofferente, come lo sguardo della donna che sta al di là e mi fissa: conosco quell’espressione triste e vuota, gli occhi non sono gli stessi, ma il dolore è il medesimo di quelli del mio unico ricordo ricorrente.” Pensa Luigi passando sotto la casa di Leila. Rinchiuso nel suo silenzio, nascosto dal mondo, Luigi si muove impacciato nei pressi del lago in cui si rifugia “nonostante tutto, incespico spesso nelle asperità e nelle fenditure del terreno”. Schiacciata dai soprusi, Leila sopravvive violata nella sua innocenza di bambina e deposta come una merce tra le mani di un nuovo boia assalitore: “Da bambina dovevo sottostare al volere di mio padre e alle sue voglie perverse, senza che mia madre avesse il coraggio e la forza di opporsi, di contrastarlo” perché da adulta per lei la storia si ripete: “Tale condizione non è cambiata nel matrimonio, è diverso solo il porco, ma fetore e rantoli sono sempre gli stessi di prima.” Come la foschia che avvolge lo scenario della narrazione, in Aspettando che venga sera edito da Letteratura Alternativa Edizioni, le ombre del passato restano in agguato e calano insidiose sull’anima quando finalmente riposa, oscurando la luce ritrovata. La paura, il vuoto, il turbamento possono ancora assalire quando la pace non è sempre la chiave di volta per aprirsi al futuro, ma l’autore regala speranza nella scoperta di un nuovo modo di amare, una tenerezza mai provata, un rifugio sicuro tra mani nuove, non più rudi e violente, ma grandi, forti e piene di calore, mani che accolgono e proteggono, nell’intreccio di abbracci in cui i corpi, adesso padroni delle loro emozioni, sono consenzienti a un richiamo docile e sincero, : “Non è il bisogno di un piacere momentaneo, ma l’inconsapevole desiderio di una condivisione amorosa mai conosciuta, che si è fatta strada nel cuore e nei sensi e che lo guida con spontaneità a trovare il caldo rifugio che Leila gli offre tra le gambe” proprio perché:“Lei sta sempre dietro i vetri, quando torno; mi va che ci sia il suo sguardo ad accompagnarmi, mi fa sentire più allegro e un po’ meno solo. A casa ho finalmente un pensiero bello da tenere con me nel disordine più totale.”
“Ora sento che posso permettermi di sognare, ci sei tu ad alimentare il mio desiderio di liberarmi del mio passato, ma soprattutto del mio presente, fatto delle stesse cose di allora.”
“Il calore che si danno ha l’effetto di rassicurare entrambi dalle paure tremende del tempo andato.”
Chi è Gianfrancesco Timpano
Appassionato di sport sin da giovanissimo, diventa insegnante di Educazione Fisica, senza smettere di allenarsi e gareggiare presso il campo di Atletica Leggera e di dedicarsi alle attività sportive della montagna e alla vela. Per i suoi 50 anni decide di scalare il Monte Bianco. Inizia a suonare il basso elettrico e si esibirà con le sue canzoni assieme al cantautore ternano Carlo Ruggiero nel 2011. Nello stesso anno esce per la Thyrus Editore il suo primo libro, un racconto, una favola di montagna ispirata dalle sue esperienze alpinistiche. “Aspettando che venga sera” segna invece il suo esordio con la casa editrice Letteratura Alternativa Edizioni nel 2018, romanzo breve che viene selezionato con altri tre titoli della casa editrice per rappresentare la letteratura italiana all’estero in occasione della FRANKFURTER BUCHMESSE, la Fiera internazionale di Francoforte.Bianca Cataldi racconta il suo libro “Acqua di sole”
Intervista a Bianca Cataldi, autrice della saga “Acqua di sole” edito da Harper Collins
Classe 1992, Bianca Cataldi, giovane autrice di origine pugliese,editor e traduttrice, ha già all’attivo diverse pubblicazioni, di cui la prima risale al 2011, con il romanzo Il fiume scorre in te edito da . Seguono In vista dell’uscita in versione cartacea del suo nuovo romanzo Acqua di sole edito da Harper Collins Italia, abbiamo voluto fare due chiacchiere con lei per scoprire i retroscena del libro. Ciao Bianca, è un vero piacere ospitarti nel salotto virtuale di Milibroinvolo dedicato alle interviste e ti ringrazio per aver accettato di parlare del tuo libro in anteprima. Vorrei subito partire con una curiosità: quando hai scelto di dedicarti a una saga familiare, hai pensato che forse oggi si tratta di un genere inflazionato nel panorama della narrativa italiana? Alla luce di ciò, ti chiedo in cosa si distingue la tua storia dalle altre saghe che spopolano in libreria? “Ciao Domizia, e grazie infinite per la tua disponibilità! È per me davvero un piacere e un onore essere ospite del tuo blog. La passione attuale per le saghe familiari, per quanto riscoperta solo di recente e in particolare con la pubblicazione della serie de L’Amica geniale, è in realtà parte della nostra cultura da sempre. Siamo sempre stati un Paese legato alla famiglia e alle tradizioni, e la narrativa rispecchia questi nostri valori. La mia saga si basa prevalentemente sui ricordi della mia famiglia, per quanto ci sia stata una forte manipolazione da parte mia a livello di fiction. Ho voluto rendere omaggio a due città, Bari e Terlizzi, che al momento sono ancora un po’ messe da parte a livello di produzione letteraria, soprattutto Terlizzi. Ogni famiglia ha una storia a sé e delle storie da raccontare, e quella contenuta in Acqua di sole è quindi la mia versione dei fatti.” Il nuovo romanzo è ambientato a Bari, la città che ti ha dato i natali, da dove ora sei distante per seguire un dottorato in Irlanda. La lontananza ha in un certo qual modo influito su questa scelta? “In parte sì perché scrivere questo libro è stato senz’altro un modo di sentirmi vicina alla mia terra d’origine. Questa saga è stata itinerante sin dall’inizio: ho iniziato a buttar giù le prime idee mentre ero in un albergo di San Benedetto del Tronto; ho poi scritto la prima bozza del romanzo mentre mi trovavo a Bari, in vacanza durante l’estate, e ho consegnato la seconda versione (quella che è poi largamente diventata la versione definitiva, con le dovute correzioni) mentre ero a Tallinn, in Estonia, per lavoro. Scrivere delle famiglie Gentile e Fiorenza mi ha aiutato quindi a mantenere le mie radici anche mentre saltavo da un aereo all’altro o mi trovavo a chilometri di distanza dalla città in cui sono nata.” L’epoca storica in cui si svolge la vicenda è la fine degli anni ‘50, periodo che per l’Italia rappresentò una risalita sul piano economico. Il meridione, è risaputo storicamente, è sempre rimasto più indietro rispetto al resto della nazione per quanto riguarda innovazione e sviluppo economico. Come ti sei documentata al proposito e come si muove, dinanzi a questo boom, la famiglia imprenditrice protagonista della tua storia? “La famiglia Gentile (quella dei coltivatori di fiori) è senz’altro quella che più approfitta della risalita economica. In un momento in cui Terlizzi non era ancora conosciuta per i suoi fiori, come lo è adesso, la famiglia protagonista del romanzo capisce che questo campo sarà presto in pieno sviluppo e ne sfrutta tutte le opportunità. La seconda famiglia presente nella storia, quella dei Fiorenza, è invece già economicamente stabile, avendo aperto il suo negozio nel centro di Bari già sul finire del diciannovesimo secolo. A risentire del momento storico, tuttavia, saranno soprattutto i Fiorenza, per via di coinvolgimenti politici poco felici. A livello di documentazione, ho agito su due fronti: quello accademico, che è naturalmente il mio pane quotidiano, e quello della testimonianza diretta di chi quei tempi e quei luoghi li ha vissuti in prima persona.” Uno dei focus trattati nel romanzo è sicuramente quello dell’amicizia che si sviluppa fra i due personaggi Teresa e Michele che, quando la storia ha inizio, sono praticamente molto piccoli. Anche nel tuo precedente romanzo “I fiori non hanno paura del temporale” la storia si sviluppa prevalentemente nell’età dell’infanzia dei personaggi femminili principali. Ti trovi a tuo agio a parlare di questo periodo della vita e quanto hai proiettato di Bianca, data la tua giovane età, nei tuoi protagonisti? “Mi piace molto narrare dal punto di vista dei bambini perché trovo che il loro sia un punto di vista pulito, scevro da manipolazioni. A livello narratologico, il bambino è quasi sempre un narratore affidabile, talvolta suo malgrado. Per quanto un narratore giovanissimo non sia ancora in grado di dare un’interpretazione accurata dei fatti, il lettore – essendo un adulto – riesce a ricostruire la realtà grazie ai suggerimenti che ritrova nel corso della lettura. Trovo che, in questo modo, la lettura diventi più partecipativa e meno passiva. In questo libro in particolare c’è davvero poco di me in quanto Bianca, non riuscirei a identificarmi, a livello autobiografico, con nessuno dei personaggi, che sono più che altro ispirati ad altri membri della mia famiglia o sono inventati di sana pianta. Nel romanzo precedente, invece, c’era molto di più di me e dei miei ricordi d’infanzia nella voce della narratrice.” Lavorando all’estero, leggi molti libri in inglese, per i quali ti occupi anche di editing, in lingua. Ritieni che lo studio e l’analisi di uno stile differente da quello italiano abbia trasformato o arricchito il tuo modo di scrivere? “Da un lato l’analisi aiuta e, ancora di più, aiuta l’insegnare l’italiano agli stranieri, perché ti permette di guardare la tua lingua madre da un’altra prospettiva e di carpirne i segreti più nascosti. Al tempo stesso, però, leggere costantemente in inglese rischia di impoverire il proprio lessico nella lingua madre. Per questo motivo, cerco quantomeno di inserire una lettura italiana qui e lì, per non perdere il contatto con la mia lingua, e di avere sempre qualcosa in stesura in italiano, anche solo un diario personale. Perdere pezzi della propria lingua è effettivamente possibile, e bisogna starci attenti.” Attraverso la storia che un autore scrive e sviluppa, c’è sempre una parte di sé che nel lungo processo di stesura viene, inevitabilmente, portata allo scoperto. Nel tuo romanzo precedente già citato, Corinna, la protagonista. è una cantastorie, a lei è attribuito il dono del racconto, la potenza alchemica della trasmissione della memoria più antica. “Acqua di sole”, invece, in quale parte del tuo labirinto inconscio ti ha condotto? “Sicuramente questo libro è stato importante per rivalutare i miei rapporti familiari e, soprattutto, le mie origini. Uno dei miei nodi cruciali è senz’altro quello del concetto di ‘casa’: casa Dublino e casa Bari. Scrivere questo libro mi ha ricordato l’importanza delle mie radici, al di là del fatto che il posto che adesso chiamo casa si trovi a duemila chilometri dalla città in cui sono nata.” Sempre riferendoci a “I fiori non hanno paura del temporale” , fra i tanti elementi, a fare da sfondo alla vicenda c’è la musica, quella degli anni ’80, che non conosci proprio a fondo, essendo nata nel decennio successivo. In questo nuovo romanzo, invece, ti sarà capitato di approfondire la cultura musicale degli anni ’50 e ’60 e se sì, in che modo ti sei documentata al riguardo? “Qui è stato fondamentale l’aiuto dei miei familiari. Anche in questo romanzo, la musica è importante (e anche Sanremo, come vedranno i lettori). Ho ascoltato il più possibile e mi sono lasciata guidare dai gusti della mia famiglia, da ciò che loro veramente ascoltavano in quegli anni.” Ci sono particolari letture che ti hanno ispirata o accompagnata mentre scrivevi il tuo nuovo romanzo? “Sicuramente Elizabeth Jane Howard, con la sua saga dei Cazalet, mi è stata di ispirazione. Mi sento infatti più vicina a lei (con le dovute distanze, naturalmente) che a Elena Ferrante. Il mio modello è quello della saga familiare anglosassone, che ho cercato di adattare agli usi e alla cultura italiani.” Sei una giovane autrice prolifica, alle spalle hai già molte pubblicazioni con diverse case editrici. Viene spontaneo, a questo punto, chiederti da dove nasce la tua urgenza di scrivere e come si sviluppano le idee nella tua testa? “Non saprei dire con esattezza perché le storie fanno parte di me da sempre, come il bisogno di mangiare. Lo vivo come un processo completamente naturale. Non sono un’amante delle scalette, dei libri che ti insegnano come si scrive, della didattica della scrittura creativa (non critico nulla di tutto questo, e io stessa ho insegnato scrittura creativa, ma semplicemente non fanno per me). Al tempo stesso, non vivo la scrittura con ansia. Ci sono stati lunghi periodi in cui non ho scritto neppure una riga (benché abbia sempre tenuto un diario) e non è mai stato un problema. L’ispirazione viene e va, si trattiene più o meno a lungo, e va via di nuovo. Non è un dramma. Non capisco quelli che si fanno venire i sudori freddi se non sganciano un libro all’anno. Ancor meno capisco i lettori che pressano gli scrittori affinché tirino fuori una nuova opera dal cappello. Non sono solo una scrittrice. Sono una donna, una dottoranda di ricerca, una fidanzata, una figlia, una gattara. Lavoro a maglia, preparo plumcake allo yogurt con le gocce di cioccolato. Il giorno in cui mi costringerò a farmi venire l’ispirazione anche quando non ce l’ho sarà il giorno in cui smetterò di essere una scrittrice e diventerò la ghostwriter di me stessa, ma so che non permetterò mai a quel giorno di arrivare.” Rivolgendo un appello al giovane pubblico che ti segue, quali consigli di lettura daresti, motivando la tua scelta? “Consiglierei di variare il più possibile le proprie letture e di sperimentare con nuovi generi. So di molti lettori che, per tutta la vita, leggono lo stesso genere. Non c’è nulla di male in questo, ma talvolta è bello scoprire nuove storie e mettersi alla prova come lettori.” Avrà un seguito la storia delle due famiglie di “Acqua di sole”? “Nella mia mente (e in parte sulla carta, almeno in forma di bozza) sicuramente sì. Molto, tuttavia, dipenderà da come i lettori accoglieranno Acqua di sole. Al di là dell’ispirazione, infatti, contano anche le possibilità che l’autore e l’editore hanno di investire sull’opera e, in questo, i lettori (e i librai) giocano senz’altro un ruolo chiave.” E allora noi lettori non facciamoci sfuggire questa nuova saga nostrana, dal titolo “Acqua di sole” – Harper Collins, scritta da una penna fresca e vivace, con l’intento di scoprire presto i nuovi capitoli.Nelle tasche di un amore di Alberto Oliveri
L’impetuoso sentimento dell’amore, vissuto nella sua passionale interezza, nella silloge poetica “Nelle taschi di un amore” edito da Letteratura Alternativa Edizioni di Alberto Oliveri trova uno spazio intimo come ricerca, un desiderio che, valicando i confini del corpo, raggiunga un appagamento interiore di fusione con l’altro.
“e t’osservo… anima fragile di un velato rossore abbandonata alla carnalità di un amore appagato.”L’amore stilla come nettare nei verso di Oliveri, nei sapori più svariati, nei profumi più inebrianti che vanno dalla voluttà, passione e attrazione fisica all’amore puro, traducendo il classico contrasto fra eros e agape. L’amore si trasforma da amor terreno a forza totalizzante che unisce corpo e anima, un amore che ambisce a raggiungere un posto nascosto, un Graal quasi impossibile da scovare: “Perché Donna tu ne hai il mio senso nelle tue parole mai scritte…” L’amore carnale descritto dal poeta è dunque il desiderio di raggiungere l’altro in “antiche tristezze, desideri infiniti”, E’ quell’amore che il corpo anela vivere, ma che la voce non riesce a dire, quasi non esistessero frasi per definirlo, come accade nella poesia INCASTRO Non vi sarà mai il modo per enunciare il brivido che corre nel corpo quando cerco di te solo te non ho mai quella parola che possa essere l’incastro di un attimo perfetto perché ogni attimo è l’incastro che ancora devo realizzare ed io mi perdo mi perdo accecato del tuo immenso nel tuo immenso muoio senza te non dimenticarlo mai. E’ un sentimento irraggiungibile nella sua interezza, pregno di struggente nostalgia di una meta difficile da raggiungere: “… sfioro la felicità con il prezzo della sofferenza io esisto se esiste il viaggio io non esisto se non per tutta la durata del viaggio.” E’ un sentimento che desidera appartenere, competere con le parole che non lasciano via di scampo: APPARTENGO Appartengo nella grazia di un perdono appartengo ad un orizzonte terreno appartengo alla preghiera e a un cantico appartengo alla tua parola verbo che sfama verbo che disseta parola che mi appartiene io sono la tua memoria. E’ la percezione di una mancanza difficile da esprimere, una emozione che balla gitana lungo i confini del cuore per sfiorare l’intimità più intima dell’amata attraverso il suo corpo: “…ogni attimo è nostalgia di pensiero ogni attimo è desiderio del tuo corpo e di te” E’ la percezione di un timor panico che sconvolge, ma eccita la ricerca che racchiude l’antica paura dell’abbandono, nella consapevolezza di non poter mai appartenere all’altro del tutto e in tutto quel cercarsi non si ritrova altro che “una stilla di piacere”.
E allora, il senso dell’amore cos’è? Ci prova, a dircelo, l’autore nella sua poesia: NON SENSO Se mi chiedessi cos’è il senso dell’amore credo ti risponderei così dove l’infinito sa andare l’oltre e come l’oltre è eterno nella mia consapevolezza di cos’è l’amore nella sua complessità e di ogni giorno che trascorro in essa ne avverto il mio avvicinarmi ma conscio di un senso/non senso amare nell’amore seppure sfiorandolo il valore aggiunto nel dire ti amo ad una persona perché non vi è certezza in nulla ma solo istanti che scorrono come poliedrico vestito cucito addosso ai nostri desideri e alle nostre volontà questo è il mio senso. Chi è Alberto Oliveri Torinese, nato sotto il segno dell’Ariete, Alberto Oliveri presta servizio come sottufficiale della Marina Militare Italiana a …. presso l’Istituto Idrografico dove ha conseguito il brevetto in Idrografia – Oceanografia – Topografia. , Ha partecipato a diverse operazioni in teatri “operativi” tra le quali va ricordata quella svoltasi nel Golfo Persico e conosciuta come Operation Desert Storm (1990/1991). Ama leggere romanzi di avventura e fantascienza ed è autore di poesie, aforismi e racconti.“… ho una leggerezza chiamala di poesia ma ho una leggerezza che si racconta in puntini d’inchiostro come macchie di versi nella leggerezza di un mi manchi scritto a penna nel cuore e ti amo dove tu sei leggerezza fra le righe scritte di un velluto fiato di noi.”
Mini intervista all’autore
Da sottoufficiale della Marina Militirare ad autore di una raccolta in versi che denunciano un bisogno di fusione, carnale e spirituale nella relazione amorosa. Come scopre la vena poetica Alberto Oliveri e come convivono Ares ed Eros in te? “Innanzitutto ti ringrazio per questo spazio che mi hai gentilmente concesso, devo dire che la sensazione di un’intervista, per me che non sono molto abituato, mi emoziona parecchio, ma è anche fonte di grande piacere. Sì Sottufficiale ancora in servizio presso l’Istituto Idrografico della Marina Militare, ente cartografico delle Stato, organo ufficiale per la produzione e la divulgazione di tutta la documentazione nautica atta alla sicurezza della navigazione. Alberto in veste di scrittore si scopre per caso… Nasce un po’ di anni fa, quandi ero agli inizi su un social e trovavo tantissime immagini e foto che, essendo amante della fotografia, mi davano soddisfazione ed erano spunto per i miei pensieri. Ritengo che la svolta effettiva sia avvenuta dopo aver trascorso un periodo di terapia intensiva a causa di un infarto. Quando la gente parla di vedersi scorrere la vita davanti gli occhi è ver, è ciò che ho vissuto. Ricordo che provavo materialmente con la mano a prendere alcuni fotogrammi della mia vita, i primi ricordi che la mia mente custodiva, ma era tutto troppo veloce ed è stata quella la svolta. Sentivo il bisogno di esprimere, in qualche modo, il mio modo, forse delle volte criptico, duro e difficile da leggere, ma era mio e sapevo che nessuno poteva portarmelo via. Ares ed Eros, che connubio! Sono un Ariete, che dire di più? Il mio è un andare al massimo, un confronto continuo, è eccezionalità, differenza… Non posso legare o frenare la mia natura, se lo faccio, essa quanto prima riemerge. La forza che porto dentro delle volte fa male e non solo a me e la passione mi necessita come l’acqua. Se amo dò all’altra persona tutto l’oltre di me, non ho mezze misure.” Il mare fa da sfondo alle tue giornate, che nell’immaginario collettivo artistico si carica di un forte e variegato simbolismo. Cosa rappresenta per te, che scrivi poesie? “Il mare…Non mi piace il mare calmo, amo la burrasca del mare. Per dieci anni sono stato imbarcato. Il mare in burrasca è vivo, ti urla contro, ti sfida, ti chiama…è capace anche di premiarti, non sempre ma certamente ti lascia il suo segno dentro. Il mare per taluni è un orizzonte finito, per me è ricerca continua, rappresenta forse l’unica entità in grado di sapermi leggere sino in fondo, perchè sa custodire ciò che solo io posso sentire.” La tua produzione spazia dai versi alla prosa. Da cosa dipende la scelta dell’una e dell’altra e, soprattutto, per una tua prossima pubblicazione, quale sceglierai? “Ad esser sincero non ho mai ponderato scelte o differenze fra l’una e l’altra perché tutto nasce dal momento, da ciò che tre elementi (testa…pancia…cuore) entrano in sintonia, quindi è un tutto spontaneo per com’è, senza metriche o altro. Il prossimo tascabile sarà solo e semplicemente quell’emozione fuori da ogni riga di normale pensiero.”
Quattro chiacchiere con GAEditori, casa editrice indipendente attiva nel sud Italia
Dall’amore per la lettura e la scrittura nasce nel 2016 un ambizioso progetto di due ex-matricole universitarie presso l’università Kore di Enna. Il territorio siciliano, con la sua storia e la cultura classica in cui affonda le sue radici, è terreno fertile di idee e ispirazioni per i due fondatori del progetto editoriale GAEditori, raccontato da Gaetano Amoruso a Mi libro in volo.
Ciao Gaetano, grazie per essere qui a condividere lo spazio che Mi libro in volo dedica agli Editori. Comincerei subito col chiederti di presentare la realtà editoriale che gestisci assieme al tuo co-fondatore Antonello La Piana, evidenziando i punti di forza che la contraddistinguono sul mercato.
“GAEditori è una straordinaria avventura iniziata tanti anni addietro, forse inconsapevolmente, ma che di fatto si è concretizzata solo da quattro anni in maniera improvvisa ed entusiastica. Un’idea rimasta tale per tanto tempo e poi, tolto il tappo – personalmente ero legato contrattualmente con un’altra casa editrice – è implosa nelle nostre vite con la passione di sempre. Il logo bicolore ne riproduce l’essenza, e la crisalide che diventa farfalla è il giusto passaggio, accompagnato dall’amicizia, rappresentata dal colore giallo, e dalla spiritualità, rappresentata dal colore fucsia. Oggi la farfalla di GAEditori campeggia ad Agira, in provincia di Enna, attuale sede legale, e a Catania.
Dedichiamo due parole anche allo Staff che ti affianca?
La nostra è una piccola realtà che si diverte un sacco nello svolgere il proprio lavoro. I collaboratori sono prevalentemente donne: Giada che si occupa degli eventi, Egle, la più piccola, testarda come il padre, che supervisiona il lavoro grafico, Grazia, spirito libero e fine voce narrante, Cettina che da Roma si occupa degli autori della capitale e della regione. E adesso passiamo ai maschietti: Mario, il nostro fotografo anziano… ma non ditegli così, Antonello occulto regista del nostro presente e futuro imprenditoriale e infine ci sono io che mi sono riservato la divisione e-book e audiolibri.”
Dai testi classici della tradizione occidentale e orientale, pubblicati sia in italiano che in lingua originale a quelli degli autori locali, sia del passato che contemporanei, il vostro catalogo si presenta vasto e variegato. Come selezionate la scelta dei vostri testi?
“Per quanto riguarda i testi destinati alla pubblicazione cartacea, la selezione è rigida. Pubblichiamo quello che riteniamo valido soprattutto dal punto di vista della scrittura in sé. Niente orrori grammaticali, ottima semantica, testo scorrevole e interessante. Gli autori devono avere il dono della sintesi e non perdersi in meandri oscuri e ripetizioni che allungano, impastano e abbruttiscono il libro. Siamo curiosi e quindi pubblichiamo tutti i generi. Dopo aver concluso la collana “Il primo passo” attualmente i nostri testi destinati alle librerie rientrano nella collana “Il porta lettere”, nata dopo la scomparsa di mio padre. Fin dall’inizio, il postino, com’era conosciuto in paese, ci ha dato coraggio e speranza.”
Qual è, secondo i vostri criteri, il quid che deve avere un manoscritto per convincervi a pubblicarlo e, soprattutto, quanto conta nella scelta l’orientamento del mercato?
“Antonello solitamente è la figura che avalla o meno l’eventuale pubblicazione. Segue il proprio istinto, l’esperienza degli studi personali, la passione che riversa nel mondo dell’editoria e della cultura in genere, spesso a prescindere dalla richiesta del mercato che vuole soprattutto testi facilmente vendibili, preferibilmente ad un pubblico già individuato e targettizzato.”
Come spieghi il fenomeno tutto italiano del “si pubblicano più libri di quanti se ne leggano”?
“Penso che questo fenomeno riguardi alcune case editrici nate con l’intento esclusivo di pubblicare chiunque e qualunque scritto formato da grafemi neri su dei fogli bianchi per un calcolato ritorno economico. Il contenuto quindi diventa del tutto irrilevante…purtroppo.”
Quali strategie deve adottare allora una realtà editoriale per incentivare l’amore per la lettura?
“Solo una, si chiama passione e se questa è vera saprà trovare la strada per coinvolgere chi ti segue, dagli autori ai lettori.”
E adesso, entrando nello specifico dei vostri titoli, citiamo una pubblicazione dello scorso autunno, La delusione di Dio, di cui sei tu stesso autore assieme a Eveljn Emmanuello, progettista multimediale e digital strategy consultant. Di questo libro la sinossi afferma che è un: “titolo diretto e provocatorio, è una narrazione appassionante che prova a descrivere un mercato dei consumi alla perpetua creazione di nuovi bisogni, un mercato del lavoro che ha smarrito il valore della dignità del lavoro, un mercato finanziario che ha perduto il suo ruolo di servizio verso l’economia reale. E la vittima prescelta è l’uomo.” Da dove nasce l’intento di mettere a confronto l’aspetto economico con quello religioso?
“È stato lo stesso Papa Francesco che ci ha ispirato titolo e testo. La delusione di Dio è stata una meditazione proposta dal Pontefice per la messa del giorno 30 marzo 2017 a Santa Marta, un piccolo esame di coscienza come da lui stesso definita. Il libro anticipa di fatto l’Economy of Francesco , ovvero un invito ad una economia più sostenibile e inclusiva per cambiare quella attuale, per affrontare un radicale processo di cambiamento, come scritto nella sua Laudato Sii, senza più quei lati oscuri che contraddistinguono il mondo del lavoro e del marketing più aggressivo. Ci sarà un pre-evento a fine marzo ad Assisi e poi una grande manifestazione verso novembre alla quale hanno risposto imprenditori di circa 120 paesi di tutto il mondo. Da buoni ex studenti universitari io ed Eveljn ci siamo divisi i compiti: lei, marketer di professione, si è occupata del marketing e dell’attuale sistema economico visto dalla prospettiva digitale, mentre io ho analizzato il lavoro perverso. È nato così il testo La delusione di Dio presentato ufficialmente a Torino il 5 ottobre 2019 presso la Libreria Belgravia. Nessuno di noi però avrebbe mai pensato di incontrare Papa Francesco. Nel corso di un’udienza privata, il 31 dello stesso mese, visibilmente emozionati, abbiamo avuto modo di scambiare qualche parola e donargli due copie del libro.”
Fra le pubblicazioni più recenti, quali ti senti di citare per incuriosire i lettori di Mi libro in volo?
“In primis l’ebook dell’autrice australiana Catherine Helen Spence, la storia di una donna del 1888 che si ritrova a passare una settimana nel 1988 tra incredibili conferme e poche novità sostanziali, A week in the future, in inglese, destinato prevalentemente al mercato statunitense dove abbiamo un notevole riscontro di vendite. Poi il testo dello scrittore cinese del secolo scorso Lu Xun, in cartaceo e digitale, dal titolo Diario di un pazzo, un libro molto surreale, una metafora sulla società cinese moderna, all’epoca in un momento storico molto sanguinario.
In conclusione, ti chiedo: quali progetti futuri la GAEditori ha in serbo per il suo pubblico di lettori?
“GAEditori è una commistione di conoscenze diverse che ci ha portato in pochi anni ad essere presenti al Book Fair di Francoforte, a Tempo di Libri di Milano nel 2017 e 2018, al Taobuk di Taormina e quest’anno a Una marina di libri, fiera del libro che si terrà a Palermo agli inizi di giugno. Nel febbraio 2019 si è dato il via al comparto e-book e successivamente al filone degli audiolibri. Abbiamo toccato quasi tutte le regioni d’Italia con le nostre presentazioni, con una rapida capatina a Londra, grazie alla nostra autrice Anna Powar. Il 2019 è stato un anno fuori da ogni previsione. Abbiamo pubblicato un libro per conto del Vaticano e incontrato il Papa. A breve andremo in Sardegna, poi nel Lazio e in Calabria, in un continuo impegno che ci rende sempre più soddisfatti.”
Intervista a Skribi Bistrot Letterario – Parole Suoni Gusto.
Skribi Bistrot Letterario – Parole Suoni Gusto. Intervista alle librerie d’Italia
Elena Manzari racconta di Skribi, lo spazio pugliese dinamico e multiforme dedicato alla lettura e a tutto il mondo che le ruota attorno, che presto diventa anche bistrot letterario con il sostegno prezioso della amica e socia Marica Tricase. Con lei inauguriamo la nuova rubrica mensile delle interviste alle librerie d’Italia.
Conversano, anticamente chiamata Norba, è una cittadina delle Murge Basse a 30 chilometri dal capoluogo pugliese che vanta, tra le sue origini storiche, l’appartenenza all’impero romano, il dominio normanno e aragonese che ne hanno fatto nel tempo un centro architettonico di rilievo fra monasteri, chiese e palazzi nobiliari, come il prestigioso castello risalente all’epoca normanna, appunto, che oggi i visitatori possono ammirare nella Piazza della Conciliazione. In questa cornice storico-artistica, nella primavera del 2018 la vivace, intraprendente e appassionata Elena Manzari inaugura uno spazio variegato votato alla lettura e alle attività ad essa correlate, che lo rendono un vero e proprio laboratorio culturale.
Fino a qualche anno fa le statistiche mettevano in luce che nelle regioni del sud Italia il numero delle librerie era veramente esiguo. Oggi le cose stanno cambiando e, seppure quella di aprire una libreria in piccoli comuni rappresenti una sfida spesso rischiosa, c’è chi non si abbatte di fronte ai numeri ma, sfoderando spirito imprenditoriale e puntando su passione e competenza, investe in progetti dinamici e innovativi. E così, tra sogni, prove di coraggio e iniziative sempre nuove, la libraia indipendente conversanese parla della sua attività dando il via alla nuova rubrica di Mi libro in volo dal titolo Interviste alle librerie d’Italia.
Ciao Elena, grazie per aver subito accettato di partecipare a questa prima chiacchierata che Mi libro in volo dedica ai librai d’Italia. Che ne dici di presentarti subito, assieme al tuo impegno di libraia indipendente, ai lettori del blog?
“Ciao Domizia, sono io che devo ringraziare te per l’attenzione che mostri per il mio lavoro. In poche battute, posso dire che ho cominciato parecchi anni fa, nel settembre del 2001 per la precisione, in una piccola Feltrinelli di Bari, ero appena fresca di laurea e avevo una passione/ossessione: i libri. Da allora non mi sono mai fermata cambiando cttà (sono stata molti anni a Roma) e formandomi nel dettaglio anche sul lavoro redazionale (correzione bozze, editing, ufficio stampa). Ho avuto con alcuni soci una piccola casa editrice che ormai non c’è più mentre attualmente sono l’ufficio stampa di un altro interessante progetto editoriale, TerraRossa edizioni. Da appena cinque anni, da quando cioè è nato mio figlio Leonardo, la mia attenzione si è spostata anche all’editoria per bambini ed ho scoperto un mondo meraviglioso dietro illustrazioni e storie per i più piccoli.”
Immaginando di essere un’autrice che presenta un luogo speciale, in cui si respira un profumo inebriante e si vivono incredibili avventure, descriveresti lo spazio di Skribi al pubblico che ancora non lo conosce, compresa la trasformazione che ha subito di recente?
“La libreria Skribi era una piccola libreria di 40 mq che si prestava benissimo alla definizione di “una meravigliosa stanza piena di libri”. Con il passare del tempo (per fotuna pochissimo tempo) ho compreso che 40 mq mi stavano stretti. Da qui l’idea di ampliare lo spazio e integrare un angolo ristorazione, la conoscenza di una lettrice diventata amica e poi socia, Marica Tricase, e l’idea di far nascere un bistrot letterario nel nostro paese.”
Elena e la lettura sono i due poli di un binomio inseparabile. La tua è una vera e propria esistenza votata ai libri. Sei praticamente cresciuta fra di loro: leggendo per passione prima, poi studiando e infine lavorando. Come la definiresti questa tua grande passione?
“Non saprei fare altro perché ho sempre e solo fatto questo. Diciamo… uno stile di vita, dài!”
Avendo avuto modo di osservare il mondo dei libri da diverse prospettive, cosa diresti del rapporto che i lettori italiani hanno con la lettura?
“Mal digerisco le persone che parlano male dei lettori italiani, in Italia abbiamo tanti lettori (non tantissimi, eh!) che tuttavia leggono male. Ma demonizzando la cattiva lettura non facciamo altro che allontanarli, dovremmo invece sostenerli e far capire che una volta letto Fabio Volo (autore che tutti snobbano ma che tutti leggono, classifiche e dati vendita alla mano) dovrebbero passare ad altro. Con i piccoli ci riesco molto bene, con i grandi è più faticoso ma so che prima o poi ci riuscirò.”
Un libraio rappresenta, in fondo, un vero e proprio confidente per il lettore. Il contatto che si stabilisce sin dal primo incontro è diretto, vis à vis e, inevitabilmente, empatico. Come ti comporti davanti a un nuovo lettore-cliente che entra nella tua libreria?
“Sono me stessa. Non fingo, non faccio smorfie se mi chiedono cose strambe; se accettano il consiglio mi rendo disponibile; se mi consigliano qualcosa prendo davvero appunti perché appartengo alla categoria delle persone che credono che la cultura sia scambio infinito e reciproco di sapere. E chiacchiero, chiacchiero molto. Perché un libraio indipendente, soprattutto in un piccolo centro come il mio, oltre a librofilo e contabile diventa anche uno piscologo e un confidente.”
Se un lettore è indeciso sul libro da leggere, che tipo di consigli ti senti di dargli?
“Cerco di capire quali siano i suoi gusti e consiglio sempre libri che ho letto e apprezzato. Al massimo libri che non ho letto integralmente ma di cui mi sono informata. Insomma: il consiglio deve essere onesto, se consigliassi una schifezza pur di vendere il cliente non tornerebbe più da me. Fiducia, sempre.”
A leggere si comincia da bambini. Oggi il pubblico dei piccoli è sempre più attratto dalla tecnologia, uno spazio virtuale e rumoroso che sta sostituendo quell’atmosfera magica che la lettura solitaria e, al contempo fantasiosa, regalano da sempre i libri. Che tipo di approccio proponi ai tuoi piccoli lettori, che partecipano numerosi alle iniziative che Skribi offre loro?
“Li faccio ridere. I bambini hanno bisogno di divertirsi con i libri, ai libri seri ci pensa la scuola. Se catturi un bambino con un libro divertente lo hai conquistato al primo colpo e poi, piano piano, puoi pensare di passare ad altro. Immagina, per avvicinare i piccoli alla lettura ho creato le feste di compleanno in libreria: lettura animata, merenda e laboratorio. Torta finale, canzoncina e divertimento garantito.”
Adesso passiamo ad approfondire il rapporto libreria-editoria. Tu sei, forse, uno dei pochi esempi sul nostro territorio che vanta alle spalle una collaudata competenza nel ramo dell’editoria, che tradotto vuol dire che conosci bene quello che vendi, non solo per il loro contenuto, ma perché sei direttamente coinvolta nelle dinamiche che ruotano attorno al sistema della pubblicazione. Quali sono, allora, le strategie che Skribi adotta per lanciare i titoli e offrire alternative al dannoso, per la vostra categoria, acquisto sugli e-commerce?
“Il lettore che viene da me sa perché è in libreria. Perché io riesco a dargli qualcosa che l’acquisto online non gli dà: competenza, professionalità, conoscenza e empatia. Non sono un automa, in quello che faccio ci metto l’anima. E il lettore lo sente e rinuncia volentieri allo sconto.”
In qualità di agente di servizi editoriali sei spesso presente alle Fiere dei libri. Come pensi possano tali eventi arricchire, non solo in termini economici, il legame lettore-libri?
“Ultimamente per esigenze familiari alle fiere ci vado poco. Però posso dire che sono un momento davvero particolare per capire le dimamiche dell’intera filiera editoriale.”
E adesso la domanda che forse un po’ tutti i librai si sono sentiti fare o sperano sempre che i lettori pongano loro: quali libri non devono mancare sul comodino di un vero appassionato di libri?
“Come lettrice sono davvero stramba, leggo più cose insieme e blocco la lettura se ciò che sto leggendo non mi prende. Sì, perché il libro deve catturarmi e conquistarmi. E siccome la lettura è un piacere se leggendo questo piacere non lo provo io mi fermo (ovvio, mi capita di riprendere libri dopo mesi o addirittura anni: alle volte mi ricredo altre… proprio no!). Te ne dico uno su tanti, Il giovane Holden di Salinger.”
Se invece di un consiglio libresco ti venisse chiesto se vale la pena, oggi, investire in una libreria, con tutte le difficoltà che l’impresa comporta, quale sarebbe la tua risposta?
“Se sei un lettore appassionato non aprire una libreria. Finirai con l’odiare i libri. Ci vuole preparazione, esperienza, umiltà e pazienza, tantissima pazienza.”
Quest’anno ricorre il centenario della nascita del noto autore definito genio della fantasia, orgoglio della letteratura nostrana, Gianni Rodari. Egli ha affermato: «Vorrei che tutti leggessero, non per diventare letterati o poeti, ma perché nessuno sia più schiavo.» In conclusione, ti chiedo dunque di citare la frase sul valore dei libri che Elena porta da sempre nel cuore…
“Talvolta penso che il paradiso sia leggere continuamente, senza fine. Virginia Woolf.”
E noi auguriamo a tutti i lettori affezionati di continuare a leggere con i consigli della libraia Elena Manzari.
Lucrezia Borgia di Antonio De Cristofaro
Lucrezia Borgia di Antonio De Cristofaro è la cronaca romanzata di una figura femminile in evoluzione, che lontana dalla sua famiglia, di fronte alle avversità e alle dolorose perdite, scopre la forza che è in lei grazie alle arti e alla religione.
“Penso che se io morissi e che con i miei mali finisse il desiderio, un amore così grande si spegnerebbe e il mondo intero rimarrebbe senza amore.”Alla sua seconda pubblicazione con Letteratura Alternativa Edizioni, dopo Il perdente, Antonio De Cristofaro si cimenta con un romanzo a sfondo storico, la cui protagonista, Lucrezia Borgia, è una figura lontana dalla donna spietata che ordisce tranelli, così come ci tramanda la tradizione leggendaria. La narrazione si apre con il commiato della giovane aristocratica dalla sua città di origine, Roma, nel giorno delle nozze, quando suo padre, il Papa Alessandro VI, la osserva con sguardo commosso e animo orgoglioso. La ragazza, promessa in sposa ad Alfonso I d’Este, affronta un lungo viaggio prima di giungere alla sua nuova vita, che la allontanerà per sempre dal suo, seppur complesso e ricco di imbrogli familiari, idilliaco passato. La Lucrezia di De Cristofaro è dunque una fanciulla che cresce e matura in un clima di efferatezze militari e ragion di stato alle quali è destinato il suo consorte e di cui lei si tiene alla larga. É la descrizione della condizione che spettava alle nobili donne della società rinascimentale, dedite alla cura di sé, del proprio fisico da mostrare perennemente abbigliato e impreziosito da gemme preziose. In questo l’autore si rivela molto attento, dilungandosi in descrizioni meticolose su stoffe, broccati e gioielli. L’operazione di vestizione delle nobili era lungo e stancante e Lucrezia Borgia poteva contare su uno stuolo di ancelle operose e devote, delle quali De Cristofaro ci offre accurati ritratti psicologici. La figura di Lucrezia nel corso della narrazione si evolve, da fanciulla viziata a donna che prende seriamente il suo ruolo di moglie e madre, ed è proprio dalla maternità che apprenderà le lezioni di vita più dure. Vittima di gravidanze difficili, aborti e lutti, svilupperà una ben salda forza d’animo, rifugiandosi con sempre maggiore devozione nella spiritualità. Lucrezia ci tiene al suo angolo di preghiera che ha fatto allestire nella stanza da letto, dove si inginocchia per ore rivolgendosi al Signore. Lontana dalla sua famiglia di origine, dovrà sopportare la distanza e le tristi notizie di gravi lutti e in questi casi affidarsi ai ricordi, di una dolce e ingenua bambina dai lunghi boccoli dorati, ignara del destino che il futuro le avrebbe riservato. Tra una perdita e un dolore, Lucrezia riemerge, ricolma della fede cattolica, come una fenice, ogni volta. Si spegne per un lungo periodo, ma si rialza con coraggio e torna più forte di prima. Sopporta le invidie di corte e le infedeltà coniugali, ma lo fa riconquistando il consorte, contando sul suo fisico sempre giovane e florido. L’atmosfera della narrazione è prevalentemente drammatica, rotta, nella parte centrale, da una spesso ilare e grottesca vicenda di commercianti che arredano la dimora destinata a Lucrezia e ad Alfonso, episodio che in ogni caso fornisce interessanti notizie circa il lavoro artigianale dell’epoca. Lucrezia Borgia di Antonio De Cristofaro edito da Letteratura Alternativa Edizioni è dunque un libro per riscoprire una nuova immagine del personaggio storico tramandato, quello di una donna pacata, dall’animo sensibile, dedita alla poesia e alla preghiera, e donna amorevole. Chissà, allora, dopo la lettura della Lucrezia di De Cristofaro, il lettore per quale immagine parteggerà. Chi è Antonio De Cristofaro Di origine casertana, Antonio De Cristofaro studia e si laurea all’Istituto Orientale di Napoli in Lingue e Letterature Straniere Moderne, indirizzo europeo, specializzandosi in lingua inglese e francese che insegnerà a Milano, dove si trasferisce subito dopo la laurea e dove tutt’oggi vive con la sua famiglia. Nel 2007 pubblica il suo primo racconto ”Vite spezzate, il sogno e la memoria” che ottiene il terzo posto al Concorso Letterario Internazionale della città di Savona. Nel 2014 pubblica “Giada”, romanzo che si classifica sesto nel concorso letterario internazionale “Pegasus” città di Cattolica e che ottiene il premio speciale: “Il porticciolo”al concorso letterario internazionale “Montefiore”. Seguono, nel gennaio 2016 i romanzi ”L’inganno” per la casa editrice Silele Edizioni e, nel 2018, “Il perdente” per la casa editrice Letteratura Alternativa, premiato con la targa di merito nella sezione “romanzi inediti” al primo concorso letterario Milano International 2017. Nel 2019 pubblica il suo secondo libro per Letteratura Alternativa Edizioni, il romanzo a sfondo storico “Lucrezia Borgia”.