Era solo un selfie di Cristina Obber

«Quando ti sembra che il mondo ti crolli addosso, vorresti solo che tutto tornasse come prima.» 
E invece non è più possibile, ed è proprio nel frangente fra il prima e l’adesso che la tua vita resta impigliata in una rete fitta e oscura che ti trascina sempre più in basso. Ma, nello stesso tempo, devi affrontare la tua vita adesso, il punto in cui puoi ricostruire il dopo con la scelta che stai per fare e che determinerà il tuo futuro. Perché è in questo adesso che nasce la possibilità di un riscatto, quando impari a vedere le cose e le persone per quello che sono veramente. Succede ad Anita, quattordicenne, nei confronti di Ste, compagno di squadra, il suo primo grande amore, il ragazzo che l’ha tenuta per mano e l’ha sempre accompagnata a casa dopo la scuola, del quale si è fidata a occhi chiusi, la persona che l’ha fatta sentire importante, che è quasi sempre stato dolce nei suoi riguardi. Anita è vittima di un atto di revenge porn, il reato di diffusione non consensuale di immagini private perpetrato quasi sempre a danni delle donne. Una vendetta tipica del maschio verso la donna che lo allontana. Immaginiamolo ai danni di una giovane preadolescente, piena di vita, nominata capitana di una squadra di pallanuoto maschile, che nel cuore nasconde il grande dolore per la perdita della madre quando aveva solo sei anni. Era solo un selfie di Cristina Obber, Edizioni Piemme 2022, racconta questa storia, una, purtroppo, come tante oggi, sempre più frequenti fra gli adolescenti che, con un semplice click, possono cambiare la vita per sempre di un loro coetaneo. Perché sapere che un tuo momento intimo possa circolare in rete è come consegnare al mondo per sempre una parte di te, che non sarà mai come tu l’hai vissuta o immaginata, ma apparterrà agli altri che ne faranno la loro storia, una storia distorta. Ne uscirà una immagine completamente diversa di te, con il rischio che tu possa finire per identificarti in essa, sentirti sbagliato, sentirti colpevole.
«Perché la vita è così, anche se non fai del male a nessuno le persone possono farne a te. E tanto.»
Un male che arriva inaspettato per la giovane Anita, un male che si insidia dentro come un cancro che si nutre di ansie e paure, che la fa sentire responsabile di un atto di cui in realtà è la vittima, fino a quando il corpo non ce la fa più a trattenere ed esplode in attacchi di panico. Anita tocca il suo fondo, un fondo oscuro che rischia di non farle più vedere la luce attorno, se non fosse per la presenza costante dei suoi leali amici e della nuova compagna di suo padre, Michela, che la ama da sempre come se fosse sua figlia, una figura di rilievo nella storia che rappresenta quanto la vita sia capace di regalare nuove possibilità.
«Un’amica che sta male sei tu che stai male, sei tu che vorresti prenderti un pezzo di quel male e portartelo addosso, per alleggerirla e darle sollievo.»
Anita può contare, infatti, sull’amicizia solida e sincera di Clara, sua compagna di banco che ha un talento per il disegno e conosce molte cose sugli animali, appassionata com’è dei documentari che segue sul canale del National Geographic, soprattutto su quelli della savana, e che ogni giorno subisce, senza fare una piega per non dare loro soddisfazione, le angherie di due compagne bulle di classe. Clara “sa sempre cosa dire. Lei è una maga, una fata, una strega.” Le due amiche si confidano ogni segreto, condividono la passione per la stessa musica, inventano giochi sui numeri e le iniziali delle targhe che associano a nomi e avvenimenti. Poi c’è Yuri, compagno di squadra di Anita, che la ammira da sempre. A sconvolgere le loro vite arriva Ste, che illumina le giornate di Anita con il suo sorriso, che la accompagna a casa e le tiene la mano. Clara incoraggia Anita, dandole consigli affidandosi alle serie tv di cui è appassionata. Insieme gioiscono dei primi baci e insieme impareranno a condividere un grande dolore. Mentre ognuna affronterà il proprio percorso di vita – Clara deciderà di cambiare indirizzi di studio e di porre fine alle angherie delle sue compagne – la loro amicizia non subirà mai un cedimento. Scheda del libro: Era solo un selfie di Cristina Obber, Piemme 2022 Autore: Cristina Obber Genere: Narrativa/Ragazzi Casa editrice: Piemme – Il Battello a Vapore, Collana Luna Pagine: 272 Prezzo: Euro 16,00 ISBN: 978-88-566-8208-3   Era solo un selfie è uno spaccato lucido e feroce della vita dei preadolescenti di oggi, divisi fra grandi passioni, delusioni sentimentali, carenze affettive e scelte importanti. Sì, perché anche se così dinamici e attivi, ricettivi e all’apparenza forti, i ragazzi nascondono una serie di timori e fragilità che li fa sentire sempre sul filo del rasoio. Clara, ad esempio, di fronte agli insulti e agli atti di bullismo che subisce in classe, mantiene una inaspettata calma, che la porterà, però, a cambiare rotta. Anita deve garantire alte performance nello sport e imparare a gestire la convivenza con i suoi compagni maschi che fanno fatica ad accettarla come loro capitana. Nella vita privata, invece, fanno i conti con assenze e abbandoni genitoriali. Stringersi la mano, nei momenti importanti, diventa allora un patto di solidità, la promessa di una presenza assoluta. La storia si svolge ai giorni nostri, nel post pandemia, quando molte cose nei rapporti sociali sono cambiate, e l’autrice ci mostra una faccia di luce di questo periodo difficile appena trascorso. Nel condominio di Clara, ad esempio, finalmente tutti hanno imparato a conoscersi fra di loro, stabilendo un legame di solidarietà forte che persiste anche dopo il lockdown. Ma è cambiato anche l’uso della tecnologia nelle mani dei ragazzi, diventando, il più delle volte, inconsapevole e spietato.
L'altra parte di me, Cristina Obber 2015
L’altra parte di me, Cristina Obber – Piemme 2014. Storia d’amore fra Giulia e Francesca che affrontano ogni difficoltà per realizzare il loro sogno di felicità.
Ste agisce con leggerezza quando condivide un video intimo di Anita, ma poi si pente di non essere riuscito a rispettarla, a tenere a bada i suoi scatti d’ira improvvisi, del suo egoismo, di aver provocato una ferita insanabile nella persona che, sapeva, era davvero importante per lui. Ste è un ragazzo che vorrebbe controllare Anita, mancandole di rispetto e, quando si rende conto di aver esagerato, chiede perdono. Il suo atteggiamento ambiguo confonde Anita, la cui sicurezza comincia a vacillare, e spesso diventa taciturna anche con i suoi amici, credendosi in errore. Allora Anita trova il suo spazio intimo in cui rifugiarsi. 
«Quando Anita gioca, l’acqua diventa il mondo, ciò che sta fuori dall’acqua non esiste.»
Anita ha un rapporto speciale con l’acqua, che considera il suo ambiente ideale, il posto sicuro in cui ritrovare se stessa, una sorta di ritorno al grembo materno, caldo e accogliente. Perché ci sono “momenti difficili, dove gli amori lontani risalgono prepotenti dal profondo e una nostalgia struggente affiora tra le lacrime.” L’acqua che fa sentire Anita persa, invece, è quella della pioggia, quella “che rende grigia ogni cosa, non solo il cielo.” E la pioggia cadeva quando sua madre è andata via per sempre, quando lei era rimasta a sentire sulla sua pelle le lacrime che la madre versava per lei dal cielo.
«A volte ai genitori serve un po’ di tempo per capire, pretendono che tu ti fidi di loro ma sono i primi a non fidarsi.»
E io qui nuda di Cristina Obber - Settenove 2021
E io qui nuda di Cristina Obber – Settenove 2021. Storia di Stella, ragazza ribelle, che si ritrova a combattere contro una malattia, circondata dall’affetto della sua band di musica punk, del suo ragazzo Simone e di sua nonna.
La fiducia è una parola chiave per la storia che Cristina Obber ci racconta. La fiducia non è immediata, ma va conquistata, e per farlo è necessario che ci si sia prima incontrati, che ci sia parlati, ascoltati. Cosa non sempre facile per gli adulti nei confronti dei giovani, verso i quali diventa ovvia la saccenteria senza possibilità di replica. Qual è, allora, il ruolo degli adulti in questa storia? Se da una parte la loro presenza diventa fondamentale per la rinascita di Anita, come la già citata Michela e lo stesso allenatore, che dapprima sembra sottovalutare i silenzi e le assenze della capitana, ma che poi assume una posizione autorevole e severa che redarguisce i ragazzi della squadra per non far circolare il video in rete, dall’altra può accadere che altri si rivelino poco attenti ai sentimenti dei giovani. Lo fa la dottoressa che assiste Anita durante il suo primo attacco di panico, che ne vede “di ogni” quotidianamente, e nel pronunciare quelle parole sembra proprio non dar peso ai disagi concreti degli adolescenti, pur rilasciando diagnosi perentorie. Ascolto è la parola di svolta per l’intera vicenda. Ascolto dell’altro, dei suoi sentimenti, dei suoi timori, delle sue perplessità. Un ascolto che sia attivo, che conduca al rispetto delle diversità, per evitare soprusi e provocare dolore. Perché le parole sono importanti, e solo un ascolto attento può aiutare a selezionarle e a scegliere quelle giuste.
« (…) quando ci innamoriamo noi femmine diventiamo cretine. (…) Perchè siamo noi che sogniamo il principe azzurro e cose del genere. Nelle favole i maschi combattono, fanno cose fighissime, noi dormiamo e aspettiamo che un bacio ci svegli.»
L’attenzione dell’autrice, formatrice esperta di violenza di genere, è sempre incentrata sulla questione femminile, al risveglio delle donne in una società che ancora contiene i segni del patriarcato. La madre di Clara è spesso assente da casa, essendo una regista che lavora perlopiù all’estero. Compare poco nella storia, ma è determinante nella scelta di sua figlia per l’indirizzo dei suoi studi artistici, perché rappresenta la donna che vive in bilico fra ambizioni personali e affetti familiari, ma che non rinuncia a seguire le sue passioni, affrontando il rischio che la sua scelta comporta. Una donna di ieri e di oggi, in fondo, perché questo dilemma appartiene alle donne da secoli e, nel suo caso, la sua determinazione, seppur possa far soffrire la figlia, getta un seme nel terreno per far nascere un fiore forte e rigoglioso per le nuove generazioni. E Clara è proprio il bocciolo candido di questa storia, un personaggio che resiste, senza piegarsi alle tempeste, che sorregge e sa sostenersi, alimentandosi con la sua passione per l’arte e osservando la vita con sguardo attento, che si posa sul dolore altrui e, al contempo, aiuta ad attraversarlo e, infine, a superarlo. Chi è Cristina Obber: Cristina Obber, autrice di libri di ragazzi, formatriceesperta di violenza di genere.Scrittrice e giornalista, è formatrice esperta di violenza di genere. È ideatrice del progetto scuole “Becoming – crescere libere e liberi da stereotipi e violenza”. È coordinatrice del Comitato scientifico di ‘ToBeSafe’, percorso formativo contro discriminazioni e molestie nel mondo del lavoro e dello sport. Con Piemme ha pubblicato “Siria mon amour”, 2014 e “L’altra parte di me”, 2014. Con Settenove, invece, “E io qui, nuda” e i libri per l’infanzia “Giro, GiroTondo” e “W i nonni!”, entrambi illustrati da Silvia Vinciguerra. Il suo sito è: https://www.cristinaobber.it/.  

La psichiatria nelle più recenti uscite narrative

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C’è stato un periodo in cui, durante la mia prima adolescenza, al cancello di casa si arrampicava il paziente di un centro riabilitativo assistenziale, situato a poche centinaia di metri dall’abitazione dei miei genitori. Era alto poco più di un metro e cinquanta, aveva capelli radi, una pancia pronunciata, e indossava tute di maglina, mentre in estate sopra i pantaloni portava solo la maglia intima. In punta di piedi sulle traverse inferiori, afferrava i quadrelli con le mani e spingeva con forza il cancello, urlando. Ogni volta che sentivo le sue urla, correvo a nascondermi, assalita da un miscuglio di sentimenti contrastanti. Da una parte il viso sparuto contratto in smorfie di dolore mi provocava terrore, dall’altra il tono stridulo delle urla insistenti instillava il dubbio che forse la sua fosse una richiesta di compagnia, forse chiedeva solamente di entrare a giocare con noi ragazzi. Cercava compagnia, momenti di amicizia, condivisione di sguardi e sorrisi. E noi glieli abbiamo sempre negati. Disorientati, spaventati e inconsapevoli. Venivano a prenderlo gli assistenti dell’ospizio e noi per alcuni giorni non lo vedevamo più. Molti della mia generazione, nati fra gli anni ’70 e ’80, conservano nei loro ricordi episodi simili, quando ancora persistevano residui manicomiali, quando ancora non era ben chiaro come fosse cambiata, nel nostro Paese, la vita dei pazienti un tempo rinchiusi. A testimoniarlo ci hanno provato pellicole cinematografiche e romanzi, attraverso storie di denunce per sensibilizzare la società su una situazione di degrado e soprusi taciuta fino alla soglia degli anni ’80. Ma cosa resta, oggi, dei vecchi pazienti riabilitati, cosa ne è dei nuovi pazienti affetti da disturbi mentali, e come si destreggiano centinaia di famiglie italiane nella loro gestione? Perché quella della psichiatria resta una questione socio-politica ancora aperta. “Tutto mi chiede salvezza. Per i vivi e i morti, salvezza. Per i pazzi, di tutti i tempi, ingoiati dai manicomi della storia.” Negli ultimi anni e, in particolare nelle ultime settimane, nelle più recenti pubblicazioni di narrativa italiana si nota un crescente interesse nei confronti delle tematiche psichiatriche. “Tutto chiede salvezza”, Edizioni Mondadori – 2020, è la storia di Daniele, sottoposto a un TSO in seguito a una esplosione di rabbia, durante il suo soggiorno nella stanza del reparto di psichiatria assieme ad altri pittoreschi e alienati pazienti. L’autore romano Daniele Mencarelli descrive con lucida e spietata analisi la condizione degli “internati”, che ha ispirato l’omonima serie Netflix in uscita il prossimo 14 ottobre. I personaggi (Daniele, un saggio maestro, un giovane catatonico imboccato amorevolmente dal padre, un omosessuale bipolare e un ragazzo che si porta addosso le ferite per la scomparsa improvvisa della madre) convivono in una sorta di bolla all’interno della quale, una linea di confine dal corridoio del reparto e da altri mondi, peggiori del loro, più indifferenti del loro. “Un uomo che contempla i limiti della propria esistenza non è malato, è semplicemente vivo. Semmai è da pazzi pensare che un uomo non debba mai andare in crisi”. Fra le novità del mese appena trascorso, possiamo citare due libri sull’argomento: il romanzo edito da Mondadori dello storico e giornalista Giorgio Boatti “Abbassa i cielo e scendi”, il racconto, tenero e autentico, di oltre cinquant’anni dell’Italia in una fase di trasformazioni sociali con l’attenzione al rapporto della voce narrante con il fratello maggiore affetto da schizofrenia, e il romanzo edito da Neri Pozza “Shock” del medico e romanziere Carlo Patriarca, la biografia romanzata dello psichiatra che inventò l’elettroshock, Ugo Cerletti. Abbassa il cielo e scendi di Giorgio Boatti - Mondadori, 2022Due storie che narrano il dramma di una condizione umana da salvare, per rifarci al titolo di Mencarelli. Nel caso del libro di Giorgio Boatti la riflessione è incentrata sull’importanza di accogliere e includere pazienti come il protagonista, vittima di anni di trattamenti che lo hanno dimenticato nella sua misura umana. “ … la prima volta che a psichiatria mi fanno rivedere Bruno, lui in realtà non c’è. O meglio, c’è a modo suo. C’è – ma questo non l’ho capito subito – come segno del suo sparire. Perché è esattamente questo che mi portano a vedere i due psichiatri dai quali, tanto per cambiare, sono andato a bussare chiedendo notizie: in fondo a un corridoio che mi è sembrato non finire mai, non c’è Bruno, c’è la sua fuga. È scappato dalla stanzetta dietro l’ambulatorio degli elettroshock dove stavano per ripetergli – reiterare, no? – lo stesso trattamento che gli avevano già fatto il giorno prima, appena arrivato, fresco fresco, dal pronto soccorso. Pare che lì in quella stanzetta i messi in elenco per il trattamento della mattinata siano radunati per le iniezioni di preparazione – le pre-morfine e soprattutto i miorilassanti, che dovrebbero servire a impedire che nelle convulsioni, al momento delle scosse elettriche, il paziente si fratturi qualche arto o si provochi qualche trauma, divincolandosi per liberarsi dalle fasce di cuoio che lo stringono. Questo resistere in ogni forma possibile a quello che ti immobilizza e ti imbavaglia è il campo di battaglia dove mio fratello ha preso a lottare.” Schock di Carlo Patriarca - Neri Pozza, 2022Con Shock si intende invece segnalare l’ambiguità delle strade percorse dalla psichiatria nella ricerca della cura per i disturbi mentali. Alla fine degli anni ’30, Ugo Cerletti ideò la terapia elettroconvulsivante con l’utilizzo di un apposito macchinario, di cui non volle ottenere il brevetto, deciso ad astenersi dal ricavarne benefici economici. Il suo scopo consisteva infatti nell’estrazione di molecole benefiche attivate durante l’elletroconvulsione, da iniettare nei pazienti proprio per evitare l’elettroschock. Il libro intende affrancare la figura di Cerletti dall’immagine del carnefice caduto nel vortice della brutalità delle cure psichiatriche adottate nel secolo scorso. “Fluiva però lungo i corridoi dell’istituto l’idea e il nome di un’energia nuova, una corrente che illuminava le scrivanie e forse la cura dei nostri malati.” Una questione, dunque, quella psichiatrica, scottante e sempre aperta come ho scritto poco prima, e allora mi sento di concludere questa mia riflessione domenicale con un brevissimo estratto dal romanzo sopracitato di Daniele Mencarelli, “Tutto chiede salvezza”: “Perché i matti, i malati, vanno curati, mentre le parole, il dialogo, è merce riservata ai sani. Questo abbrutimento è la scienza? Non aprirsi mai alla pietà, svuotare l’uomo sino a farlo diventare un ingranaggio di carne. Sentirsi padroni di tutte le risposte.”  

Due chiacchiere (ancora) con Bianca Rita Cataldi

Bianca Rita Cataldi, una giovane autrice nostrana che ama parlare della famiglia, che fruga tra i ricordi intimi e sociali, e dà vita a storie che sono state e potrebbero essere sempre, circondate da un alone di mistero e sacralità che solo coloro che condividono sangue, affetti e segreti possono riconoscere. La stagione del tuono, pubblicata sempre da Harper Collins Edizioni, segue a Acqua di sole, e i lettori, ormai affezionati al piccolo Michele, alle sue zie, alla piccola Vittoria e alla ribelle Teresa, non potranno fare a meno di ritrovare i protagonisti delle due famiglie, i ricchi profumieri di città, i Fiorenza, e gli umili e onesti contadini della provincia, i Gentile, alle prese questa volta con la loro adolescenza e le ribellioni sociali. Chiediamo subito, allora a Bianca, ringraziandola ancora per la sua disponibilità, cosa dobbiamo aspettarci dai giovani protagonisti della sua saga, visto che il titolo preannuncia già grandi stravolgimenti … «I nostri giovani protagonisti si stanno ormai avviando per il cammino impervio dell’adolescenza e, come tutti gli adolescenti di ogni epoca, diventano preda di grandi sconvolgimenti, a livello fisico e psicologico: il loro corpo inizia a cambiare, si affacciano i primi desideri e le prime consapevolezze dell’età adulta e, soprattutto, il rapporto tra loro si trasforma, perdendo l’innocenza dell’infanzia e assumendo spesso i colori della ribellione e della gelosia.» Come è stato per te ritrovare i tuoi personaggi? Per quanto li hai “abbandonati”, se lo hai mai fatto, e come hai strutturato le vicende di questo secondo volume? Avevi già pianificato tutto a monte del primo capitolo, o ti sei fatta trasportare dall’ispirazione del momento? «Queste due famiglie sono sempre con me ormai da anni, quando ho steso i primi appunti per questa saga. Ho deciso tutto a monte, delineando un percorso di vita per ciascun personaggio. Detto ciò, mi concedo comunque talvolta di ‘sgarrare’ e di introdurre dei cambiamenti nella trama iniziale, perché il processo creativo è sempre piuttosto soggetto a sconvolgimenti. Tornare a scrivere di queste due famiglie è stato un po’ come tornare a casa, e spero di poterlo fare ancora in seguito.»
Acqua di sole di Bianca Rta Cataldi, Harper Collins 2020
Acqua di sole di Bianca Rta Cataldi, Harper Collins 2020
Un personaggio che in Acqua di sole restava in ombra come un mistero, e che però affascina proprio per i non detto su di lei dalla famiglia e per il suo anticonformismo, è la zia Betta, personalità artistica e sensibile. Ne La stagione del tuono le concederai più spazio? «Betta appare molto spesso nella Stagione del tuono, ma il suo ruolo è diverso perché è cambiato il rapporto che la lega a sua nipote Vittoria. Vittoria è cresciuta, e ha iniziato a cogliere delle sfumature che in passato le erano sfuggite. Il legame tra le due è sempre profondo e indelebile, ma acquista complessità perché non è più solo tra zia e nipote, ma tra due donne.» Particolare attenzione in questa tua storia è data alle donne della famiglia, che sono a volte madri, altre solo zie, ma la maternità è un aspetto insito in ciascuna di loro, a prescindere dal fatto che il loro ventre sia pieno o vuoto. Questo tratto si percepisce nel senso di accudimento, nel desiderio di aver cura di un qualcosa che va oltre la crescita del bambino, è proprio un senso di responsabilità verso il futuro, che si esplica nell’urgenza di educare all’istruzione. Sono curiosa di sapere come se la caverà Betta, attenta lettrice e appassionata di disegni, nei panni di madre. Puoi accontentare, senza svelare troppo, questa mia curiosità? «Betta è, in fondo, una ‘madre naturale’, e lo è stata sempre, anche quando ancora non lo era dal punto di vista biologico, dato che è stata lei a guidare Vittoria e a essere il suo punto di riferimento per gran parte della sua vita.»   Leggendo il primo volume è possibile cogliere un tipo di narrazione onnisciente che ricorda soprattutto i romanzi della tradizione inglese dell’Ottocento, che invece oggi la maggior parte degli scrittori ha abbandonato a favore di una scrittura più immersiva. Cosa ti ha spinto a rimanere ancorata al passato? «Avere a che fare con la storia di due famiglie non mi avrebbe permesso di utilizzare un tipo di narrazione in prima persona. Non volevo concentrarmi solo su uno o due personaggi, ma volevo che le due famiglie potessero avere il proprio spazio, e per far ciò era necessario avere un narratore esterno.»   Sempre in merito alle scelte di scrittura, i tuoi lettori sono abituati a trovarsi di fronte a giovani personaggi. Anche per Acqua di sole avevi deciso di focalizzare l’attenzione sul mondo dell’infanzia. Come è stato passare a narrare del loro ingresso nel mondo più adulto? «Da un lato mi è dispiaciuto di accompagnare i miei personaggi fuori dall’infanzia, perché ho sempre amato scrivere dal punto di vista dei più piccoli. Al tempo stesso, però, un punto di vista più adulto mi ha permesso di aggiungere complessità al testo, e di potermi sbilanciare con riflessioni più profonde che non mi sarei potuta permettere nel primo volume.»
La stagione del tuono di Bianca Rita Cataldi, Harper Collins 2022
La stagione del tuono di Bianca Rita Cataldi, Harper Collins 2022
La grande Storia fa da sfondo alle vicende familiari della tua saga. Dagli anni Cinquanta si passerà a leggere del decennio successivo. Gli anni Sessanta per l’Italia furono molto turbolenti, specie verso la fine. Mi sbaglio a pensare che forse c’è un parallelismo tra l’infanzia di Michele negli anni in cui il Paese, specie il sud Italia, si affaccia lentamente e con stupore al rinnovamento economico, e la sua adolescenza in un momento di grande crescita e corsa verso il benessere socio-culturale della nazione? «È una giusta osservazione, e mi piace pensare che la storia privata dei miei personaggi possa fare da specchio alla Storia con la S maiuscola. In fondo, nessuno di noi è un’isola, e ciò che siamo e che diventiamo dipende dal contesto circostante. Michele cresce, e con lui cresce il Paese in cui è nato.» Nell’intervista precedente ci hai raccontato delle letture e della musica che ti hanno ispirata durante la stesura del primo capitolo. Cosa puoi dirci, al riguardo, per le nuove vicende narrate ne La stagione del Tuono? «Il mio punto di riferimento letterario resta sempre Elizabeth Jane Howard con la sua saga dei Cazalet, che ritengo una delle opere più riuscite nella storia delle saghe familiari. Per quanto riguarda la musica, mi sono concessa di riascoltare le hit di quegli anni, da Morandi a Mina a Tenco, per immergermi il più possibile nel mondo abitato dai miei personaggi.» In conclusione, ti chiedo se anche Bianca è cresciuta con i suoi giovani personaggi, in cosa ha riflettuto attraverso le loro decisioni, e quali scelte si prepara a compiere per le sue uscite narrative future. «Ogni libro che scriviamo opera delle trasformazioni dentro di noi, per cui senz’altro penso di essere cresciuta con i miei personaggi, che hanno sempre tanto da insegnarmi. Per il futuro, spero di continuare a scrivere di famiglia, ma anche di soffermarmi su argomenti diversi che riguardano la mia generazione, come il precariato e la mancanza di stabilità.» Con la sua chiacchierata, Bianca Rita Cataldi ci conferma le parole dell’autore francese Alphonse de Lamartine:
La famiglia, evidentemente, è un secondo noi stessi, esistente prima di noi e sopravviventeci con quello che vi è di migliore in noi.”
Leggendo La stagione del tuono potremo allora di sicuro scoprire ancora tanto sull’autrice. Leggi l’intervista  di Mi libro in volo su Acqua di sole di Bianca Rita Cataldi.              

Giorgio Boatti apre la rassegna letteraria Un castello di libri a Voghera

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All’interno di una delle sale del Castello visconteo di Voghera, nella serata del 23 settembre, si è svolto il primo incontro di Un castello di libri, manifestazione letteraria che da sette anni ospita a Voghera una serie di autori con i loro i libri. È stato Giorgio Boatti, storico, giornalista e saggista natìo della Lomellina, ad aprire l’evento, con il suo ultimo romanzo uscito per Mondadori il 6 settembre, dal titolo tratto da un testo dei salmi “Abbassa il cielo e scendi”, una storia che, come ha sottolineato lo stesso autore dialogando con la libraia ed editrice Elisabetta Balduzzi, fonde la narrazione privata a una più universale. Quello che narra Giorgio Boatti è infatti l’insegnamento di una esperienza che abbraccia un sapere umano in tutte le sue dimensioni, storico-esistenziali, in una Italia che cambia, a partire del Dopoguerra, alla luce degli eventi storico-economici che la travolge completamente: dal rapporto con le generazioni durante il boom economico alle lotte studentesche, dalla precarietà lavorativa fino alla dolorosa realtà della sanità all’avvento della riforma Basaglia. E in questo macrocosmo di trasformazioni si svolgono le cronache di una famiglia nella Lomellina, tra le rogge e le risaie avvolte dalla nebbia, provata da un dramma intimo, che l’autore affronta in punta di piedi, perché, come dice sempre la libraia, quella di Boatti è “una potenza narrativa che passa e non distrugge nulla.” Un castello di libri di libri di Voghera 2022 Abbassa il cielo e scendi è il racconto, a tratti magico, di una comunità rurale contadina arcaica, dove la vita e la morte si intersecano in un singolare concetto di imprevedibilità, quello che Giorgio Boatti ha definito “una altro modo di stare al mondo”, quello che gli ha insegnato suo fratello Bruno, un ragazzo che aspira alla santità, dotato di una sorta di preveggenza e che nel tempo sente le voci e scrive lettere ai potenti della terra. Bruno, il fratello che la voce narrante, lo stesso Giorgio Boatti, “è diventato il fratello da conoscere dopo che è uscito dal seminario, dunque negli anni in cui siamo arrivati in città. Di quello che era stato prima sento di avere ricordi apparentemente potenti, come scolpiti con veridicità impressionante dentro la memoria; e tuttavia questa memoria, capace di conservare in modo totale e vitale ogni istante della mia vita in paese, sembra aver deciso di tenere tutto per sé. Visto che mi accontento di strapparle, di tanto in tanto, sparsi frammenti, non mi restituisce più niente. Così è come avere per la prima volta un fratello. E al contrario di quanto pensavo quando ero alle elementari e lui in seminario, via via che lo conosco meglio, condividendo, nonostante gli anni che ci separano, momenti della giornata, scopro quanto siamo diversi. O meglio, quanto lui è diverso. Da me. Da noi. Come appartenesse a un’altra famiglia dalla quale si è staccato ma che tuttavia continua a vivere nelle sue maniere quotidiane, nei suoi gesti e modi di parlare e pensare.” Abbassa il cielo e scendi di Girgio Boatti- Mondadori 2022Abbassa il cielo e scendi narra, con una scrittura pulita che infonde tenerezza, un legame profondo e indissolubile, un legame che resiste all’asprezza di un mondo di incomprensioni e respingimenti, di una umanità attonita di fronte alla schizofrenia che, come Boatti scrive nelle prime pagine
 “Rende chi la patisce ma anche chi gli sta accanto immensamente distanti. Gli uni dagli altri. Da quello che siamo. Lontano, soprattutto, da come avremmo voluto essere.”
E se è vero che il romanzo di Giorgio Boatti è un libro di denuncia, lo è in maniera priva di acrimonia, nonostante il dolore racchiuso in fondo al cuore, e lo fa attraverso un monito di tenerezza e responsabilità verso scelte di vita private e sociali, perché a questo mondo le generazioni, ha sottolineato lo scrittore, “devono essere ricucite, e per farlo occorre includere persone come Bruno.”   La rassegna Un castello di libri prosegue sabato 24 settembre con Storie di Resistenza. Partigiani in lotta per la libertà in Oltrepò di Ambrogio Arbasino, Italica. – Libreria Ticinum Edizioni, Il Novecento in trenta racconti (e tre profezie) di Giacomo Papi – Edizioni Rizzoli, D’improvviso l’Italia di Franco Antonicelli con prefazione di Bruno Quaranta, Pasolini. Morire per le idee di Roberto Carnero – Edizioni Bompiani, e domenica 25 settembre con L’eleganza del killer. La nuova indagine di Enrico Radeschi – Marsilio Editore, La maledizione del Dakota. Rosmary’s Baby, Cielo drive, John Lennon e altri fatti oscuri di Camilla Sernagiotto – Arcana Edizioni, Stringimi a te si Sarah Maestri – Edizioni Garzanti e infine I cani del barrio. Un’indagine dell’ispettore Ferraro – Edizioni Guanda.

La liberazione della farfalla di Marco Zaccarelli

«Più che fare anima, abbiamo deciso di fare più ego.»

Esiste un sentiero, il più impervio di tutti, il più durevole, il più doloroso che l’uomo possa decidere di intraprendere. È il viaggio dentro se stessi, negli abissi più bui e profondi dove da insetto strisciante rinasce in un essere alato, librandosi in un volo leggero. Ma è nel mezzo del viaggio, nello stadio della crisalide, che egli si misura con il senso di impotenza e fragilità umane. Ogni convinzione, aspettativa e pretesa si rivelano fuochi fatui, inganni dell’ego che dimentica la parte anima, il soffio leggero che vive in noi, quello che noi siamo, esseri spirituali. Non a caso in greco psichè vuol dire proprio respiro, anima, farfalla. Ed è proprio attraverso questo simbolo che l’autore conduce il lettore, al quale si rivolge con umiltà, invitandolo a lasciar fluire dentro sé le sue parole, ad abbandonarsi a esse come se fossero musica che trasportano nel profondo dell’umano sentire. Le varie storie, parabole che fungono da preamboli a ciascun capitolo, sono l’esempio di come la sapienza affondi le sue radici nell’antico sentire mitologico. Riferendosi ai miti, Sallustio ha infatti detto:

«Queste storie non avvennero mai, ma sono sempre.»

Il mito è dunque ovunque, è la materia in cui si nasconde lo spirito, e la storia del mondo è la manifestazione di tali rivelazioni. Nel rincorrersi delle ere, l’uomo cade e si rialza, muore e rinasce, in uno sciabordio continuo. A volte la nave resta ancorata al porto, altre si lancia nelle tempeste, altre ancora naviga su mari apparentemente tranquilli. È il viaggio dell’anima tra Catabasi e Anabasi (discese e risalite) che racconta la dea Mnemosyne, in versi, in suoni, in miti. L’uomo se la racconta da sempre, la sua storia, fra teoria e pratica. Ora pensa (troppo), ora agisce (d’impeto). «Piuttosto che ripristinare l’antica regia della psiché abbracciata alla coscienza del nostro vivere – ammonisce l’autore  –  ci affidiamo totalmente all’arbitrio del nostro Io, una piccola banderuola piantata sui territori di quella stessa coscienza e abile a passare sistematicamente, e con disinvoltura, dalla razionalità tecnologica alla tecnica della razionalità.» È l’ego che spesso prende le redini e crede di aver trovato la giusta direzione, dimenticando il proprio divenire, che non è affatto stabilito a priori né determinato da una unica esperienza. Il divenire umano è un flusso continuo, dove la meta assoluta non è dato conoscere e, forse, neanche propriamente raggiungere. Il pellegrino che compare nella narrazione e che si fonde con l’autore-lettore è il viandante eterno, l’archetipo dell’eremita che, lanterna alla mano, acquisisce la saggezza passo dopo passo, che raccoglie seme dopo seme, che fa e disfa, corre e torna sui suoi passi, perché socraticamente sa di non sapere, ma lo impara solo liberandosi dei pesi che si porta dietro e dentro atavicamente, per scoprire finalmente quanto leggera sia la farfalla dentro sé, la sua anima, il suo vero sé. Marco Zaccarelli intinge la penna nell’inchiostro dell’umiltà intellettuale, spogliando se stesso come autore, uomo e terapeuta . «Il terapeuta (…) – dichiara coraggiosamente – Cosa farebbe o direbbe al fedele-cliente nel momento in cui percepisse la presenza di qualcos’altro intervenire nella terapia? Non occorre provocare, ma percepire e credere. Se uno crede, sa che l’azione del Numinoso accompagna l’anima finché questa partecipa al ciclico susseguirsi del suo esserci e del suo temporaneo allontanarsi.» È nel cambio di prospettiva, dunque, quella che copre di veli lo sguardo umano, recuperando il passato, «sensazioni e credi millenari» che l’uomo può cogliersi, percepire il suo soffio vitale nascosto, represso, imprigionato. Ecco che La liberazione della farfalla diventa il viaggio dell’uomo, ma anche dell’intera comunità, perché il rinnovamento dell’uno diventa rinnovamento del Tutto. Scheda del libro La liberazione della farfalla di Marco Zaccarelli, Letteratura Alternativa Edizioni 2020 Autore: Marco Zaccarelli Genere: Saggio Casa editrice: Letteratira Alternativa Edizioni Pagine: 212 Prezzo: Euro 14,99 ISBN: 978-88-31468-19-0   Chi è Marco Zaccarelli Marco Zaccarelli, autore de La liberazione della farfalla, Letteratira Alternativa Edizioni 2020Astigiano, è uno psicologo clinico e un pranopratico, che durante l’iter professionale psicologico ha creato una sinergia nella complementarietà dei suoi numerosi percorsi terapeutici: sportivi, yogici, meditativi, astrologici, immaginativi ed energetici. Da anni  si applica allo studio della dimensione d’anima nell’essere umano, alla sua presenza, alle sue necessità e ha preciò condensato e modulato i frutti di questi vissuti nella sua attività di terapeuta e di scrittore. La liberazione della farfalla è il saggio pubblicato nel 2020 per la casa editrice astigiana Letteratura Alternativa.

Le parole per curare (prima) se stessi e l’umanità.

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Leggo spesso dell’importanza di scrivere di sè, di scrivere vere e proprie memorie autobiografiche, mettendosi a nudo per creare unità alla propria esistenza. I coach di scrittura guidano in un percorso che mette in scena una rappresentazione della nostra vita che nasconde altro da quello che “fenomenicamente” appare. La scrittura è dunque uno strumento di travaso di inquietudini, dove noi siamo gli sceneggiatori del copione della nostra esistenza.  Mettere nero su bianco diventa un processo “terapeutico” in momenti dolorosi o rivelatori della nostra vita. Nel suo saggio Le storie che curano, lo psicoanalista junghiano James Hillman dichiara: Le storie che curano di James HillmanOramai sappiamo che la psicoterapia è inutile: raramente i sintomi ne sono guariti, difficilmente i matrimoni salvati, gli impieghi trovati; dipendenze, depressioni, suicidi non sono evitati. I miei colleghi mi rammentano le statistiche secondo cui, per chi ha avuto un trattamento psicologico e per chi è invece stato curato con farmaci o lasciato a se stesso, il risultato è più o meno il medesimo. Nei capitoli di questo testo si fa proprio questo tentativo: si cerca di vedere l’arte narrativa nella psicoterapia e la psicoterapia come un’attività narrativa. La psicoterapia è riuscita a inventare una narrativa che cura“. Attenzione, ritenere la scrittura autobiografica terapeutica è cosa ben diversa dall’intenderla “una narrativa che cura” in senso hillmaniano. La nostra mente, secondo lo psicoanalista, ha una base poetica nel senso greco del termine di processo creativo. Il paziente, secondo Hillman, “racconta la sua vita perché la vita è il mezzo per arrivare al racconto.” e lo fa attraverso i miti, perchè ognuno di noi, quotidianamente, mette in scena le sue finzioni (fantasie, convinzioni). Il lavoro di scrittura su di sè è pertanto un processo di rielaborazione di queste finzioni, perchè la scrittura rappresenta lo strumento per fare un viaggio dentro se stessi. Diventa a questo punto importante capire cosa raccontare della propria vita. Se scriviamo di noi, non dobbiamo necessariamente raccontare tutta la nostra vita, ma quello che accade nel momento in cui sentiamo la necessità di scrivere, quanto ha fatto scaturire l’urgenza,  e che ci fa mettere in atto le nostre fantasie. Nel 1941 nel suo Diario, la giovane ebrea olandese Hetty Hillesum, scrive:

«Se mai scriverò – e chissà poi che cosa?-, mi piacerebbe dipinger poche parole su uno sfondo muto. (…) Più tardi, se sarò sopravvissuta a tutto quanto, scriverò delle piccole storie su questo tempo, e saranno come rade pennellate su un ampio, muto sfondo fatto di Dio, Vita, Morte, Dolore, Eternità».

Hetty Hillesum morirà a soli 29 anni ad Auschwitz, il 17 aprile 1943. Non volle salvarsi dalla deportazione, ma accettare il suo destino di ebrea, per quanto non fosse osservante. Sempre attratta dai temi religiosi, Hetty era animata da una indagine del profondo, dall’ascoltarsi dentro. Tra i suoi autori preferiti, di cui riporta interi passaggi, il poeta Rainer Maria Rilke, il quale scrisse: “Se accade che il mondo si frantusmi sotto i piedi, l’arte – in quanto principio creatore – resiste per sola sua forza ed è ciò che medita possibilità di nuovi mondi e tempi. Per questo l’artista, colui che fa dell’arte la sua concezione di vits, è l’uomo della mente ultima,colui che, giovane, attraversa i secoli senza passato dietro di sè.”
"Un'estrema compassione: Etty Hillesum testimone e vittima del Lager" di Nadia Neri
“Un’estrema compassione: Etty Hillesum testimone e vittima del Lager” di Nadia Neri
Hetty Hillesum, spiega nel suo saggio Un’estrema compassione: Etty Hillesum testimone e vittima del Lager, con le illustrazioni di Claudia Tesini, la psicoanalista Nadia Neri: “avrebbe voluto fare di queste parole anche il suo stile di vita e il suo punto di arrivo come artista. La storia però l’ha costretta a un compito terribile: essere la cronista del primo sterminio programmato degli ebrei su scala europea.” La testimonianza scritta che ci ha consegnato Etty Hillesum non è “un travaglio interiore per esprimere sentimenti o problemi personali, ma (…) misurarsi con l’inadeguatezza delle parole, con la difficoltà di esprimere l’orrore dei campi.” La ragazza cominciò a scrivere il suo diario su consiglio dello psico-chirologo junghiano Julius Spier del quale fu paziente, a seguito di uno stato di depressione. “Avrei voluto andar via e mettermi a scrivere. Credo di capire anche questo. È un altro modo di “possedere”, di attirare le cose a sé con parole e immagini. L’impulso che mi spingeva a scrivere dev’essere stato soprattutto il desiderio di nascondermi agli altri con tutti i tesori che avevo accumulato, – di annotare ogni cosa e di goderla tenendomela per me. E adesso, improvvisamente, questo atteggiamento che per ora chiamo “possessivo” è cessato.” Diario, Hetty Hillesum. AdelphiE Hetty Hillesum inizia a scrivere per testimoniare gli spaventosi eventi che accadevano intorno a lei: “Voglio diventare il cronista di tanti fatti di questo tempo.” Ha narrato la verità, dunque, la parola è stata per lei uno strumento etico di ricerca di una verità, non assoluta, ma del suo tempo. E questa verità si racconta in un religioso silenzio, in un raccoglimento esistenziale, in un ascolto continuo, necessario. «Tutta l’Europa sta diventando pian piano un unico grande campo di prigionia. Tutta l’Europa finirà per disporre di simili, amare esperienze. Sarà monotono se noi ci riferiremo scambievolmente i fatti nudi e crudi – le famiglie lacerate, le proprietà sottratte, le libertà perdute». Hetty Hillesum non smetterà mai di scrivere. Assalita dalla stanchezza fisica, spossata dall’orrore circostante, sarà sempre la ragazza con il carboncino in mano che trascrive su pezzi di carta le parole che mai induriranno il suo cuore, ma lo lasceranno, nonostante gli eventi terribili, “un cuore pensante.”  

Batti il muro di Antonio Ferrara

“Avevo un grido, nell’anima, delle passioni, dei sospiri, e qualcuno li aveva costretti in un armadio e chiusi a chiave.”
  Armadio, dal latino armadiourm, ripostiglio delle armi. Al chiuso, nel silenzio, si depongono gli strumenti tafferuglio di emozioni violente, spesso incomprensibili, che ci guidano nella lotta quotidiana. La vita è una battaglia e noi siamo lottatori disorientati, ma guidati da una forza che sempre ci fa sopravvivere. Di fronte a una bestia feroce puntiamo il nostro sguardo nei suoi occhi, di fronte a una montagna da scalare chiediamo ai nostri piedi il coraggio di non fermarsi, di r-esistere. Il respiro, al chiuso, al buio, ci dice che siamo ancora vivi. Lo siamo anche di fronte alla paura più disumana, alla disgrazia più inspiegabile. Quando parole da dire non se ne trovano, allora arrivano le storie a ricordarcele. Tenute assieme dal filo del racconto, esse sono il respiro che ci ridona la vita. Può una bambina comprendere perché sua madre passa tutto il giorno in poltrona a osservare fuori dalla finestra e, all’improvviso, si alza e le ordina di infilarsi in un armadio, dove resterà rinchiusa per ore, dimenticata persino per l’intera giornata? Lei obbedirà, rannicchiandosi al buio, in uno spazio sempre più stretto, dove “l’aria aveva odore di lana vecchia. Paura mista a sudore e legno. E un silenzio vischioso.” In quel nascondiglio troverà le armi con cui combattere quell’inspiegabile condizione. Con una torcia fra le mani e un libro sulle ginocchia, Caterina vivrà vite, visiterà luoghi, condividerà emozioni. E troverà la sua forza. Scheda del libro Batti il muro di Antonio Ferrara, Rizzoli 2011 Autore: Antonio Ferrara Genere: Narrativa/Ragazzi Casa editrice: Rizzoli Pagine: 180 Prezzo: Euro 11,00 ISBN: 9788817048019   Caterina, la sorellina minore, la loro madre e la loro nonna, sono le quattro protagoniste donne di Batti il muro. Quando i libri salvano la vita, romanzo pubblicato da Rizzoli nel 2011, scritto dall’autore di narrativa per ragazzi Antonio Ferrara. Una storia drammatica, che colpisce i lettori di tutte le età, e che è un omaggio alla passione per la lettura che, molto spesso, capita ci salvi per davvero. “E mi sembrava pure, a leggere quei libri, che tutti quanti quegli scrittori sconosciuti fossero stati rinchiusi in un armadio, da bambini, e ne avessero ricavato una speciale capacità di vedere nel buio, e di sentire nel silenzio.” Caterina legge, legge sempre, prima dentro e poi anche fuori dall’armadio. Impara a respirare al buio e a trattenere il respiro anche alla luce del sole, che comunque non rischiara il dramma che affligge la sua famiglia, ma di sicuro accarezza con il calore la sua fragile anima di giovane adolescente. Le quattro donne condividono il dolore silenzioso della malattia mentale, un feroce artiglio che non molla mai la presa. Di madre in figlia, come una maledizione al femminile che aspetta l’arrivo dell’eroina in grado di spezzarla. Tutte le mattine, mentre si reca a scuola, che Caterina considera la sua salvezza, la ragazza viene perseguitata da una supplica che la mette a disagio “Cercavo di non guardare in alto. Cercavo di non ascoltare la loro richiesta assurda, la loro voce disperata. “Batti il muro!” urlavano. “Batti il muro!” Ma alla fine obbedivo, picchiavo la mano aperta sui mattoni ruvidi e scappavo via.” Durante il tragitto, Caterina percorre un tratto di strada buia, che si snoda tra la biblioteca e il manicomio, dalle cui finestre spuntano occhi sgranati, visi dalla pelle bucherellata, mani che implorano un saluto. Sono gli invisibili della società che chiedono solo di essere visti, una carezza dal mondo esterno, e Caterina da bambina ne ha paura. Cosa nasconde quella solitudine mentale che li ha allontanati dal mondo e li ha costretti a essere rinchiusi, come accade di tanto in tanto anche a sua madre? Come i prigionieri del mattino, Caterina si sente sola, nel triste silenzio della sua casa, ma può contare su un papà premuroso, sempre assalito da un singhiozzo di pianto, un papà che, appena può, ama disegnare volti di donne. Un papà al quale la vita ha chiesto troppo e che non riesce a contenere tanto dolore. La giovane protagonista si misura dunque con le fragilità umane delle figure genitoriali, ma quanto costa alla sua età vivere fra le macerie di un amore che anziché sostenere crolla, giorno dopo giorno? “Quello che provavo per mia madre non era proprio rabbia, ma qualcosa che oscillava continuamente tra sofferenza e dolcezza.” La battaglia di Caterina si combatte all’interno di una anima sensibile che impone a se stessa di controllare i moti ribelli che rischierebbero di trascinare nella rovina anche la sua sorellina e il suo fidanzato Pietro. Nonostante il buio adombri la sua anima, Caterina incontra fate buone che arrivano in soccorso con i loro benefici incantesimi: dalla premurosa Agata alla paziente Elena. Quest’ultima, dal cognome augurale Speranza, le cuce il cuore dalla profonda ferita: “Si beveva tutte le parole che tiravo su dal pozzo del cuore, e in cambio me ne regalava altre (…) come un filo magico che cuciva tutte le ferite.” A lei Caterina impara a confidare il dolore, lasciandosi guidare per fare finalmente pace con i fantasmi che la divorano, fino a scoprire la propria unicità che la farà diventare, come lei desidera, “una brava sarta di cuori, una capace di aiutarti a trovare le parole giuste per ogni dolore. Un libro per il raffreddore, uno per la pertosse, ecco, uno per il mal di pancia, uno per la varicella, uno per il prurito, perché no, uno per le ginocchia sbucciate, uno per la malinconia, uno per la rabbia, uno per la paura del buio, uno per la paura di diventare grande, uno per la paura di leggere.” Caterina si lascia così attraversare dall’implacabile vento di impotenza che ha rischiato di cancellare la speranza in un domani più clemente, cogliendo il seme di una nuova fioritura. A piantarlo contribuisce il suo fedele fidanzato di sempre, Pietro, che non ha mai smesso di indossare, anche nelle stagioni più calde, la sciarpa rossa di lana che lei gli ha regalato. Il loro legame è saldo, indissolubile, e Pietro vuole rammentarlo sempre, come un marchio a fuoco che gli toglie il respiro ma lo fa sentire vivo, perché sa che quell’amore esiste e resiste. “Poi guardai meglio e finalmente la vidi, e la luna mi guardò con il viso di mia madre.” Principio femminile per eccellenza, la luna include un ampio simbolismo alchemico: fertilità, ciclicità e, soprattutto, maternità. Inoltre, il simbolo lunare racchiude in sè il dualismo luce-ombra, e ciò che l’uno nasconde, l’altro rivela. Nei suoi libri Antonio Ferrara tende spesso a demonizzare la figura materna, a scardinare una idea del materno impeccabile e sacrificale, come a voler mettere in guardia che la madre sufficientemente buona non sempre esiste, che ogni madre è un frammento di umana fragilità. Un lato oscuro di cui l’autore non ha paura di parlare, come accade per tutte le sue storie, che con coraggio racconta nella loro reale drammaticità, senza alcuna intenzione di edulcorarle per renderle più accessibili a un pubblico giovane. Perché la sofferenza è vita, come il coraggio che nasce dalla paura. I libri di Antonio Ferrara sono pieni di vita vera, dove non esistono scorciatoie per arrivare alla vittoria, esiste solo la vita da attraversare, nel suo inferno buio e incomprensibile. Il dolore va affrontato, guardato negli occhi e preso per mano. È la dialettica degli opposti che guida la nostra esistenza: luce-ombra, vita-morte, in lotta fra loro, ma che esistono proprio in virtù l’uno dell’altro. E mentre essi lottano, la vita accade. Il dolore non va evitato, per essere superato il dolore va vissuto. Non c’è altro modo. È così che si insegna la vita ai ragazzi.
 “A questo punto, diventa straordinariamente facile comprendere la nostra vita: comunque siamo, non potevamo essere altrimenti. Niente rimpianti, niente strade sbagliate, niente veri errori. L’occhio della necessità svela che ciò che facciamo è soltanto ciò che poteva essere.” (Il codice dell’anima, James Hillman)
  Batti il muro di Antonio Ferrara, Rizzoli 2011Chi è Antonio Ferrara Scrittore, illustratore e formatore, Antonio Ferrara è nato a Portici nel 1957 e attualmente vive a Novara. Ha lavorato per diversi anni in una comunità alloggio per minori. Autore di romanzi e racconti con le maggiori case editrici italiane per ragazzi, nel 2012 ha ottenuto il premio Andersen per la categoria over 15 con Ero cattivo Edizioni San Paolo, nel 2015 sempre il premio Andersen per le illustrazioni per la categoria miglior libro fatto ad arte con Io sono cosi Edizioni Settenove nel 2017 si è classificato al secondo posto per il premio Cento con il libro Il fiume è un campo di pallone Bacchilega Editore, e nel 2018 ha vinto il premio Bancarellino con Pusher Edizioni Einaudi ragazzi e il premio Giallo Garda con Visti di profilo ed. Bacchilega Editore. Tiene laboratori di illustrazione e scrittura creativa “per emozioni” in scuole, biblioteche, librerie, carceri, associazioni culturali e ospedali. Respiro è la sua ultima pubblicazione per Edizioni Einaudi Ragazzi.    

Patrizia Cavalli, la poeta che “può venire in Paradiso”

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“Qualcuno mi ha detto che certo le mie poesie non cambieranno il mondo. Io rispondo che certo si le mie poesie Non cambieranno il mondo.”

… ma forse un poeta può cambiare il mondo. Manipolando parole, orchestrando il verso, architettando il pensiero, egli canta il mondo di questa vita, di un presente che è come era e come, forse, ancora sarà. Chi può dirsi veramente poeta, oggi? Lo sono stati, davvero, ieri, i poeti? Ce ne saranno, domani? Laureata in Filosofia, musicista, sulla scena dei teatri, giocatrice di pocker, affamata di audacia, Patrizia Cavalli ha osato con i suoi versi, veloci e brevi, tracciare una scia di sentimenti, immaginazione e intelletto, con una metrica tradizionale che si avvale di un linguaggio contemporaneo, fatto di gerghi e di parole quotidiane. È una poesia fatta di domande quella di Patrizia Cavalli, di un interrogarsi dell’io nel suo duplice essere corpo e anima, nel dualismo di luce e ombra, vita e morte. È ricerca che parte dall’Io e si estranea nel mondo. È la sfida prometeica di una conoscenza che da assoluta poi si fa concreta, come l’amore che per il poeta, come amò definirla la sua grande amica Elsa Morante, non esiste come condizione, ma esiste solo chi amiamo:

“Tutto di me ti piace eccetto me,

Io amabile soltanto nel fenomeno

Di me che spargo e dono.”

Come quella negazione che sostiene la falsità nelle parole: Vita meravigliosa di Patrizia Cavalli, Einaudi 2020“Cosa non devo fare per togliermi di torno la mia nemica mente: ostilità perenne alla felice colpa di essere quel che sono, il mio felice niente.” (Vita meravigliosa, Einaudi, 2020) Scompare oggi dalla terra una grande poetessa nostrana, ma assurge in quel Parnasso popolato di amici che la accolgono poeta fra i poeti. Ridendo vi entrerà, ripetendo alcuni fra i suoi primi versi: “Elsa ogni tanto ci portava in Paradiso. E a chi chiedeva: «A me mi porti?» «No», lei subito, decisa, «Non c’entri niente tu. Tu non ci puoi venire in Paradiso». «E allora chi ci porti», insistevano delusi, «Patrizia ce la porti?» E Elsa: «Sì, Patrizia può venire in Paradiso».” (Con Elsa in Paradiso, da Le mie poesie non cambieranno il mondo, 1974)    

Il cuore di tutto di Sara Rattaro

«Ero giovane anch’io quando mi sono innamorata. L’ho capito subito che era lui…» «E come hai fatto?» «Quando si allontanava mi sentivo come un albero a cui erano cadute tutte le foglie.»

Sara Rattaro arriva dritto al centro, al cuore di tutto, all’Amore con la maiuscola. Un amore che non è né incondizionato né folle, semplicemente è … vero.
Ne Il cuore di tutto l’amore è un prisma: ovunque lo giri, esso rifrange una luce bianca che combina diverse frequenze. Sara Rattaro ci parla dell’amore che troviamo all’interno del nucleo familiare, quello fra un padre e una figlia, fra una madre e un figlio, una madre e una figlia; dell’amore che lega due adolescenti piegati dal dolore causato da perdite inaspettate e abbandoni crudeli, dell’amore tra amici che dimostrano lealtà fra di loro, dell’amore che si impara a provare per se stessi.
Non è un caso che l’autrice abbia optato per il genere young adult, dove protagonista è quel periodo della vita in cui le emozioni sono amplificate, nel bene e nel male, dove un giorno l’amore ti porta in alto e quello dopo ti spiaccica al suolo, dove ogni giorno diventa ora una conquista, ora una perdita. Sara Rattaro sceglie di mostrare entrambe le facce di uno stato d’animo interiore che spaventa sia ragazzi che adulti, affrontando le problematiche che affliggono la società giovanile contemporanea: il cyberbullismo e la paura del diverso. Una decisione coraggiosa, considerando che la stessa è stata adolescente qualche anno fa, e subito dopo tutto è andato troppo veloce e il salto generazionale si è complicato.
«Da qualche parte ho sentito che i veri amici ti danno una mano quando neanche sai di averne bisogno.»
Il tema dell’amicizia nel romanzo si muove parallelo a quello dell’amore. L’amicizia fra gli adolescenti, si sa, è tutto. È forte e dà coraggio. Ne Il cuore di tutto essa è un sentimento costruttivo, dove il vero amico comprende il bisogno dell’altro prima che questi si accorga di essere in pericolo. Al contempo, è anche la dimostrazione che in gruppo si può gioire, come anche soffrire, perché il gruppo può proteggerti, così come può distruggerti. Alessandra, detta Ale, lo capisce a sue spese. 
«Le persone che scappano una volta, poi, scappano per sempre.»
Ale è una adolescente in fuga (da se stessa). Si è trasferita da poco da Roma a Genova, dove suo padre ha accettato un nuovo impiego. Nasconde un peso troppo grande per la sua età. Si sente in colpa e prova vergogna per quello che è accaduto a Roma, e che ha avuto una risonanza dolorosa per le persone che la circondano. Si definisce “una stronza”, e si porta «addosso la solita sensazione di poter rovinare tutto da un momento all’altro.»
Ogni qualvolta in cui le sembra di sfiorare la felicità, qualcuno accanto a lei soffre. Finisce quasi per convincersi di non meritarsela la felicità.
«Sembrava caduta dal cielo al centro della mia vita nel momento giusto per essere d’aiuto, come accade nei romanzi. Se non l’avessi mai vista prima avrei creduto che non fosse lì per caso.»
Matteo vorrebbe diventare uno scrittore, ma ai suoi non lo dice. Ama leggere più di ogni altra cosa e trascorre molte ore in biblioteca, dove deciderà di salvare un libro, il diario della prozia Costanza.
Il cuore di tutto è infatti un romanzo corale, con le voci di Ale, Matteo e di Costanza, che nel suo personale racconto è anche lei una adolescente di altri tempi, ma con le stesse paure e incertezze degli altri.
Gli adolescenti di Sara Rattaro
I giovani protagonisti del nuovo romanzo di Sara Rattaro sono alla ricerca della propria identità, un percorso che insegna a essere chi si è veramente senza averne paura. Succede a Elia, che impara a liberarsi del giudizio che gli altri hanno nei confronti della sua “diversità”, succede a Matteo, grazie a suo fratello, la cui perdita si trasforma in una sorta di sacrificio ( dal latino sacrum, azione sacra e –ficium per facere fare) che assieme al vuoto lascia un’impronta di riscatto.
«Tu vuoi scrivere e devi almeno provarci. Con il sangue e le malattie non c’entri niente. Preferisci diventare un medico mediocre o rischiare di essere un grande scrittore?»
I personaggi della storia sono anime luminose: sensibili, riflessivi, appassionati, hanno un mondo tutto da scoprire dentro sé. Sono anime che guardano il mondo con gli occhi da poeti. Quando vede per la prima volta Costanza, Matteo la trova bella, al di là della sua magrezza e del suo sguardo perso. In lei ritrova un calore perduto.
«Mio padre amava sottolineare che la persona che vuoi diventare da grande non si crea all’improvviso, ma è il frutto di prove da superare e sacrifici da affrontare.»
I genitori di Sara Rattaro
Trafelati, preoccupati e disorientati, i genitori de Il cuore di tutto sono adulti acrobati, in bilico fra il desiderio di amare incondizionatamente e la paura di sbagliare. Tra di essi, emerge il papà di Alessandra, il quale si distingue, oltre che per la leggerezza con cui aiuta la figlia ad affrontare la quotidianità dopo il buco nero in cui è sprofondata qualche mese prima di trasferirsi a Genova, anche per una naturale empatia. Siamo soliti individuare nelle mamme le figure genitoriali accudenti per eccellenza, amorevoli e complici, Sara Rattaro decide invece di lasciare più spazio a un papà, che quando sorprende sua figlia innamorata, le regala un consiglio che è in sé una dichiarazione di amore e di fiducia:
«Voglio che però ci pensi bene. Lo so che innamorarsi è bello e non c’è niente di male ad avere un ragazzo, ma ti prego vivilo con la spensieratezza dei tuoi anni.»
I luoghi de Il cuore di tutto
La nuova storia di Sara Rattaro è ambientata nella sua città del cuore, già presente in altri suoi libri, Genova, questa volta afflitta dalla profonda ferita del 2018, il crollo del ponte Morandi. Anche Genova diventa un cuore, palpita in ciascun personaggio quando il dolore torna a farsi sentire.
«Quando siamo scesi, abbiamo camminato per un po’ nei carruggi, fra vicoli bui e odorosi di muffa, salmastro e ricordi, e case alte e strette, addossate una all’altra, tinteggiate di caldo e vento, e non c’era nulla che potesse preoccuparmi fino a un edificio transennato e diroccato.»
Il primo incontro fra Ale e Matteo avviene in biblioteca, un luogo speciale che, nella sacralità del silenzio, preserva i due ragazzi dal rumore del dolore.
«Mi piaceva andare lì perché ormai ci andava sempre meno gente e di solito non incontravo nessuno che conoscevo. Era l’unico luogo in cui mio fratello non aveva mai messo piede, l’unico che non mi strillava addosso la sua mancanza.»
Il cuore di tutto è anche un omaggio alla lettura, all’amore per gli amici più complici che ci siano: i libri. Tra i romanzi preferiti di Matteo c’è il distopico Farenheit 451, in cui il protagonista, sovversivo, mette in salvo i libri dalla furia incendiaria di una spietata tirannia. Anche Matteo, in fondo, salva le storie. Non solo quella di Costanza, ma quella di suo fratello e dei sognatori coraggiosi, quando riprende a scrivere dopo un lungo periodo di blocco. E a salvarlo è proprio l’amore, candido e sincero, verso Ale.
Grazie a uno stile fluido e diretto, e a un intreccio dinamico e avvincente, Sara Rattaro ci consegna una storia che profuma di nostalgia, di quella voglia di riscattare la parte di sé più fragile, ma vera, che spesso dimentichiamo essere la nostra umana e profonda essenza.
Con l’augurio che questa nuova storia arrivi al cuore di … tutti.
  Scheda del libro Il cuore di tutto di Sara Rattaro - Mondadori 2022Autore: Sara Rattaro Genere: Narrativa/Ragazzi Casa editrice: Mondadori Pagine: 150 Prezzo: Euro 16,00 ISBN: 9788804752646   Chi è Sara Rattaro Sara RattaroLaureata in Biologia e Scienze della comunicazione, Sara Rattaro ha conseguito il master in divulgazione scientifica “Rasoio di Occam” e ha lavorato come informatore farmaceutico prima di dedicarsi completamente alla sua grande passione, la scrittura. Ha esordito nel 2010 con Sulla sedia sbagliata vincitore nel 2015 del premio Speciale “Fortunato Seminara” al Rhegium Julii pubblicato per Morellini Editore, per cui dal 2019 coordina la collana di narrativa VariantiÈ autrice di grandi successi, a partire da Un uso qualunque di te pubblicato per Giunti nel 2012, che in poche settimane scala le classifiche dei libri più venduti, a cui segue per Garzanti Non volare via grazie al quale vince il Premio città di Rieti 2014, mentre nel 2016 con Splendi più che puoi si aggiudica il Premio Rapallo Carige per la donna scrittrice. Successivamente con Sperling & Kupfer pubblica L’amore addossoAndiamo a vedere il giorno e Una felicità semplice. Per Mondadori scrive nel 2017 il suo primo romanzo per ragazzi, Il cacciatore di sogni, cui segono nel 2019 Sentirai parlare di me , nel 2020 La formula segreta  e nell’ottobre 2021 I miracoli esistono . Il cuore di tutto è il suo nuovo romanzo, young adult, edito da Mondadori.

Novità in libreria: Il cuore di tutto di Sara Rattaro

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Torna in libreria Sara Rattaro con Il cuore di tutto edito da Mondadori, un romanzo young adult che sonda le emozioni di Ale e Matteo, due studenti delle superiori alle prese con profondi e inaspettati dolori. Un viaggio nel mondo di quel periodo della vita in cui tutto diventa forte, dalla sofferenza al coraggio di affrontare la vita, spesso ingiusta e inspiegabile, un confronto generazionale, quello fra i giovani e gli adulti di oggi, che Sara Rattaro affronta con la sua abituale, ma mai scontata, delicatezza d’animo. L’autrice genovese, alla sua diciottesima pubblicazione, rivela, ancora una volta, la sua vena sperimentale.

“Perché l’amore può tutto, anche sconfiggere i dolori più grandi.”

  Scheda del libro Il cuore di tutto di Sara Rattaro - Mondadori 2022Autore: Sara Rattaro Genere: Narrativa/Ragazzi Casa editrice: Mondadori Pagine: 150 Prezzo: Euro 16,00 ISBN: 9788804752646     La trama di Il cuore di tutto Ale vive a Roma, ha quindici anni e una grande passione per le commedie romantiche. Ma basta una chat su WhatsApp a sconvolgere la sua vita per sempre. Costretta a trasferirsi con la famiglia a Genova, affronta la seconda superiore in una nuova città, in una nuova scuola e con nuovi amici: Giulia, eccentrica e curiosa, ed Elia, sensibile e desideroso di farsi conoscere per quello che è. In biblioteca Ale incontra un ragazzo dai misteriosi occhi verdi, Matteo, che sogna di diventare scrittore e che, dopo il tragico crollo del ponte Morandi, teme il crollo della propria famiglia. E poi c’è Costanza, la zia di Matteo, malata di Alzheimer. Comparsa all’improvviso dal nulla, affida a un diario segreto un passato che potrebbe riscrivere il presente. Ognuno, in questo struggente racconto a tre voci, tenta di dimenticare qualcosa, un dolore, ma si può dimenticare solo ricordando. E per arrivare al cuore di tutto ciò che conta davvero è solo l’amore in tutte le sue forme.