Cinzia Zerba sceglie di mescolare il thriller psicologico al giallo più tradizionale, affidandosi a una vena più “poetica” nelle sottotrame. L’ambientazione è invece un omaggio al territorio natìo, l’Oltrepò Pavese, e per i lettori locali non sarà difficile individuare i luoghi in cui accadono gli eventi, in primis l’abbazia dove si consumano i reati misteriosi sui quali indaga la giovane e neopromossa commissario Viola Ferrari. Sin dalle prime pagine, la protagonista ci viene presentata come una donna determinata, concreta e particolarmente attenta al suo aspetto fisico. Non a caso, la sera in cui si avviano le indagini presso l’Abbazia di San Benedetto indossa un paio di décolleté costose dal tacco dodici. La donna ascolta impassibile la descrizione degli eventi accaduti poche ora prima nell’eremo, definiti “sovrannaturali” da Don Michele, che “si trovava nel chiostro quando aveva udito un urlo disumano, che lui stesso aveva definito demoniaco, e che poco dopo era stato seguito da altri. (…) Si era inginocchiato baciando la statuetta della Madonna, terrorizzato, mentre attorno a lui tracce di sangue spuntavano come tulipani sulle lenzuola bianche, a terra, sui muri, ovunque. Forse il demonio aveva avuto accesso a quel luogo sacro? Lui ne era convinto.” Dall’indole razionale, Viola, invece, ritiene si tratti di una “questione del tutto umana” che di demoniaco non ha alcunché. Affiancata da una squadra di uomini, dal burbero e deciso vicequestore Massimo Castelli, dal risoluto Russo, dal sensibile alle moine femminili Mattia Berardo, e dal premuroso Pieracci, mantiene la sua linea di condotta volitiva e professionale. Quando resta sola, però, le accade di fare incubi e di avere strane visioni che hanno come protagonista un bambino di circa dieci anni. Il passato torna a bussare, con le ingombranti sofferenze che Viola ha imparato a tenere sotto controllo. Proseguendo le indagini, comincerà a ricredersi sulla sua rigida visione razionale della vita. È questo uno degli aspetti singolari di Rosso tulipano. In seguito alle sue ricerche, Viola Ferrari dovrà ravvedersi sui metodi investigativi più tradizionali, conquistando una nuova consapevolezza sull’esistenza umana. Come le nuove protagoniste dei più recenti thriller nostrani, Viola Ferrari si distingue per la voglia di non voler nascondere la sua femminilità, così come i tratti più accudenti della sua personalità, non è insomma indifferente ai richiami dell’amore nel significato più ampio del termine. Lavora in un mondo di uomini senza il conflitto di dover dimostrare la sua competenza. Come la precedente protagonista di Cinzia Zerba in La locanda di Ester, Viola Ferrari rivela una buona dose di resilienza, è una donna che impara a reinventarsi di fronte alle sconfitte e ai dubbi della vita. Rosso tulipano è un thriller basato su una duplice dicotomia: fede-ragione, bene-male, una ambivalenza che richiama il concetto del perturbante di cui ci ha parlato Sigmund Freud. Quanto fino a un dato momento della nostra vita ci è sempre sembrato familiare, conosciuto e sicuro, appare d’improvviso estraneo e inquietante. È proprio nell’incantevole abbazia che avvengono fatti inspiegabili che celano del misterioso. Ed è nell’immagine del tulipano rosso, tra i fiori più graditi e che celano nel loro significato il simbolo dell’amore, che si nasconde la ferocia della violenza. Tutte le sicurezze che Viola riveste nel metodo scientifico dell’investigazione cominciano a vacillare di fronte alle sue visioni, tutto il bene che si crede racchiuda un luogo sacro si rivela nell’altra sua metà in ombra. Tanto più nascondiamo a noi stessi emozioni che riteniamo negative o sbagliate, tanto più queste troveranno sempre un modo per riemergere, e nel riemergere esse ci procureranno angoscia e spaesamento, sentimenti fisiologici di un nuovo divenire di noi stessi, concetto che ritroviamo nei grandi classici del genere gotico e horror, e che per la forza propulsiva che esso contiene li rende intramontabili al pubblico, quelli di Poe, Lovercraft e del contemporaneo King. Scheda del libro Autore: Cinzia Zerba Genere: Narrativa/Thriller Casa editrice: Edizioni Convalle Pagine: 150 Prezzo: Euro 14,00 ISBN: 978-88-85434-94-3 Chi è Cinzia Zerba Vive a Voghera con il marito, i due figli, tre gatti e un cane. Ama viaggiare, leggere e scrivere. A partire dal 2014 partecipa a una serie di concorsi letterari, aggiudicandosi menzioni d’onore e ottime posizioni in classifica. Nel 2015 vince la prima edizione del concorso “Dentro l’Amore”, ideata da Stefania Convalle di Edizioni Convalle con il racconto “Stella Novella”. Nel 2017 collabora alla stesura di alcun iracconti contenuto nel libro “Il silenzio delle donne. Il coraggio delle parole” edito sempre da Primula Editore.È membro dell’Associazione C.H.I.A.R.A., Centro antiviolenza di Voghera. “La locanda di Ester” è il suo primo romanzo, pubblicato da Edizioni Convalle nel 2020. Partecipa ai laboratori di scrittura creativa di Stefania Convalle e contribuisce con il racconto “Un tranquillo Natale a Parigi” alla raccolta Edizioni Convalle Racconti di Natale insieme ai collaboratori del laboratorio stesso, contribuendo al’iniziativa benefica ad essa collegata.“Il colpo di pistola risuonò per la stanza, mentre schizzi di sangue imbrattavano la tappezzeria verde dell’hotel Manatthan, che era diventata in un attimo un campo di tulipani rossi.”
Rosso tulipano di Cinzia Zerba
L’Arminuta di Donatella Di Pietrantonio – Un libro per due bookblogger
Vincenzo è il filo sottile che lega l’arminuta alla nuova famiglia. Adriana, invece, è la pennellata di candore nel grigiore della condizione in cui l’arminuta è costretta a vivere. È curiosa e genuina, ma anche accorta e generosa. È l’anello di congiunzione a un futuro inaspettato per l’arminuta. Eppure, in questo nuovo trapasso d’età, la protagonista cercherà in tutti i modi di ricucire la ferita con il suo passato, affliggendosi con interrogativi che non ottengono facilmente risposte, perché entrare nel mondo adulto è un passaggio arduo e complesso. … e ritrovata «Oggi davvero ignoro che luogo sia una madre. Mi manca come può mancare la salute, un riparo, una certezza. È un vuoto persistente, che conosco ma non supero. Gira la testa a guardarci dentro. Un paesaggio desolato che di notte toglie il sonno e fabbrica incubi nel poco che lascia. La sola madre che non ho mai perduto è quella delle mie paure.» Le due madri della storia possono apparire donne diverse fra loro. Se prima la distanza sociale le rende opposte l’una dall’altra, l’una raffinata e comprensiva, l’altra trascurata e anaffettiva, con il tempo esse si riveleranno due facce della stessa medaglia: entrambe vittime della loro condizione di donne succubi di una mentalità maschilista e chiusa che impedisce loro di disporre liberamente della propria vita. Laddove la prima passa da una relazione all’altra senza poter esprimere del tutto il suo sentimento materno, la seconda deve soffocare miseria e dolori perché non conosce altro modo di stare al mondo. Ed è proprio la conquista di una identità materna che permea le pagine nella seconda parte della storia. La ricerca della vera madre è per l’arminuta un viaggio dentro la sua femminilità. Il disgusto per la condizione dell’altra madre (quella biologica) è la negazione di un aspetto della maternità a cui non è abituata. L’immagine materna che lei conosce è quella dell’immaginario collettivo, della madre buona che accudisce amorevolmente la sua creatura, non le fa mancare nulla e le assicura un futuro luminoso. Al paese, la giovane protagonista scopre una realtà diversa, fatta di sentimenti contrastanti con l’idea di maternità che le è stata trasmessa. La stessa madre buona l’ha abbandonata, ma lei si convince che lo ha fatto perché si è ammalata. La sua vera madre è crudele, percuote i suoi figli, non ha parole buone per loro e la guarda dall’alto in basso, è per lei una estranea. Eppure è sua madre… Donatella Di Pietrantonio aveva già presentato ai suoi lettori il tema della maternità, nel suo aspetto più crudo, nel romanzo di esordio Mia madre è un fiume, dove il legame madre figlia più che abbraccio è un respingimento, una disamina di accuse. «Amava al contrario, non dava per paura del dare a forza che aveva conosciuto come preda.» La figura materna, in questa prima storia, emerge da grumi di ricordi, ed è descritta dall’autrice attraverso immagini acquatiche: «Mia madre è un fiume (…) Era un ruscello (…) È un fiume di vecchi ricordi salvati, che ripete a tutti. (…) Mia madre era un fiume di parole, ora di frasi stereotipate. (…) È un fiume in secca (…) Qua e là una pozza d’acqua ancora, ferma e densa, lambita degli insetti. Fa odore di morte.» Il simbolismo acquatico è per antonomasia il richiamo alla maternità. Come afferma il filosofo Gaston Bachelard in Psicoanalisi delle acque. Purificazione, morte e rinascita: «Ogni acqua viva è un’acqua sul punto di morire. Ora, nella poesia dinamica, le cose non sono quello che sono, sono quello che divengono. Esse divengono nelle immagini ciò che divengono nella nostra reverie, nelle nostre interminabili fantasticherie. Contemplare l’acqua è scorrere; dissolversi, morire.» Tutti nasciamo nelle acque e ci ricongiungiamo alla terra fluttuando nelle acque, torniamo insomma “a casa”, nel grembo materno. La stessa Elsa Morante racconta storie dove il grembo materno rappresenta il paradiso perduto. Quando Arturo si allontanerà dall’isola sarà ri-nato, perchè abbandona per la prima volta quel ventre che lo ha accolto per anni ma che, a contatto con i turbamenti d’amore e la scoperta della femminilità, lo getta nel mondo adulto. La voce narrante di Mia madre è un fiume si misura con la tarda età della madre, l’era dello sfacelo che la allontana per sempre dalle sue origini, che per quanto descritte prive di lusinghe, echeggiano pur sempre di un legame incondizionato. Tornando a Elsa Morante, e quindi alla storia de L’Arminuta, è ravvisabile il binomio nascita-ferita, trauma, ovvero strappo da una condizione di benessere. La protagonista de L’Arminuta è nata due volte, la seconda attraverso un dolore che la ferisce ogni notte, con gli incubi sul cuscino. E, infine, nel suo ultimo romanzo, pubblicato da Einaudi nel 1982, Aracoeli, Elsa Morante scrive: «Vivere significa: l’esperienza della separazione: e io devo averlo imparato fino dal 4 novembre, col primo gesto delle mie mani, che fu di annaspare in cerca di lei. Da allora in realtà io non ho mai smesso di cercarla, e fino da allora la mia scelta era questa: rientrare in lei. Rannicchiarmi dentro di lei, nell’unica mia tana, persa ormai chi sa dove, in quale strapiombo.» Le due figlie ne L’Arminuta «Mia sorella. Come un fiore improbabile, cresciuto su un piccolo grumo di terra attaccata alla roccia. Da lei ho appreso la resistenza. Ora ci somigliamo meno nei tratti, ma è lo stesso il senso che troviamo in questo essere gettate nel mondo. Nella complicità ci siamo salvate.» La giovane arminuta non si dà pace, intende scoprire il perché dell’abbandono da parte di Adalgisa, e parte più volte verso il mare per poterla rivedere e poterle parlare. Ma non è mai pronta alla verità e, quando le verrà crudelmente sbattuta in faccia, dovrà imparare a raccogliere i pezzi della sua vita andata in frantumi per poterne ricostruire una nuova, con la nuova se stessa che, a contatto con la vera famiglia, si è trasformata. E la riconciliazione con il suo materno perduto avverrà grazie ad Adriana, la sorellina devota dal viso sempre sporco e dai vestiti laceri, alla sua prontezza di spirito, ereditata dalla capacità di saper individuare, ormai con naturalezza, i richiami del dolore. Un personaggio, quello di Adriana, che ritroviamo, nell’approfondimento delle sue aporie, nel libro successivo dell’autrice abruzzese Borgo Sud come «un angelo con la spada, ma era un angelo sbadato e feriva anche per sbaglio.»«Sei tutta coccia. Con le mani sai tenere solo la penna.»
Se eravamo nel mondo di Antonella Vitali
Illustrazione di copertina di Valeria Panzironi
Pianoforte. Frammenti di una psicoterapia di Agnese Pianarosa
“Non capita spesso di avere a disposizione un numero di sogni così ampio che urge di essere rivelato, portato alla luce, e in questa urgenza appare la necessità dell’esposizione e il senso di questo lavoro: dare particolare valore a una storia di vita che si presenta inizialmente in modo ermetico e poi si snoda con il linguaggio del sogno mostrando frammenti consistenti della realtà.”
L’autrice incontrerà il suo pubblico dal vivo il 1° aprile 2022, alle 21, presso il Circolo dei lettori di Torino, in via Bogino 9 (ingresso libero).
“La voce delle donne afghane” – Resilienza delle donne nelle strade di Kabul
Con lo zucchero in bocca di Martina Caffo
“Non avevo proprio idea di cosa significasse amare se stessi, incondizionatamente per la bellezza e la perfezione della nostra essenza divina con tutte le luci e le ombre che la compongono. No, non lo sapevo ancora e mi immolai volontaria al mio massacro.”
Le storie vere hanno sempre qualcosa in comune con quelle fantastiche, solo che a differenza di quelle classiche non c’è il principe che salva la principessa, ma è la principessa che impara a salvarsi da sola. E in questa favola vera e moderna la principessa deve farsi regina di se stessa per scoprire chi è e cosa vuole realmente. Capisce, a un certo punto della sua vita, che desidera diventare madre:E così la vita le dona due figli, non biologici, ma arrivati da lei per mano “divina”. Dall’Occidente all’Oriente la Chicca europea si trasforma. In terra indiana, dal bozzolo pesante si libra una farfalla dal volo leggero, dalla materia si passa allo spirito.“essere madre per me non significava trasmettere i miei ricci, il mio vizio di mordere il labbro inferiore o i miei piedi egizi; essere madre per me significava e significa, prendersi cura di un esserino puro come un diamante grezzo e donargli ali e radici per renderlo una persona libera e felice. Non mi è mai interessato lasciare mie tracce somatiche in qualcun altro, non i miei capelli ma il piacere di sentirli strofinati dal vento; non la mia pelle ma i brividi che la percorrono quando mi emoziono; non i miei occhi ma la curiosità del mio sguardo quando sbircio la Vita. Questo per me era diventare madre di qualcuno: regalargli, regalarle la mia Anima attraverso il semplice esistere.”
“Quando cominci a ritrovarti, a scoprire quanto sei sacra e bella e completa e perfettamente imperfetta così come sei, cominci a vibrare a nuove frequenze che non si armonizzano più con quelle vecchie e disarmoniche di chi da sempre ti vorrebbe diversa e inadeguata.”
Rinasce ancora, Chicca, riemerge dall’acqua che prima l’ha inondata e poi l’ha trascinata verso una nuova riva, che è finalmente la sua Vita.“Certo non è diventare pazzi conoscere se stessi, scandagliare il nostro profondo e realizzare cosa ci fa bene e cosa ci fa male e questo, inevitabilmente, porta ad allontanare le persone che non sono più in sintonia con le nuove frequenze emesse.”
Il percorso che porta alla sua evoluzione non viene però raccontato in maniera dettagliata e forse questo è un aspetto che spiazza un po’ il lettore, che si ritrova catapultato da un evento all’altro in maniera un po’ troppo affrettata, ma la storia di Chicca che parlava con lo zucchero in bocca è comunque il cammino di vita di una donna e, in fondo, di tutte le donne, che devono scoprire che il vero amore non è fuori, ma dentro di sé. Non va cercato o elemosinato, il vero amore va ritrovato dentro di noi. È questo il tesoro più prezioso, il gioiello che potremo indossare con orgoglio al collo e far risplendere sul cuore. È questo il segreto per scoprire la magia dell’universo che ci parla e ci conduce lontano, dentro e fuori di noi, dal centro all’infinito. Scheda del libro Autore: Martina Caffo Genere: Narrativa Casa editrice: Letteratura Alternativa Edizioni Pagine: 88 Prezzo: Euro 14,90 ISBN: 978-88-31468-10-7Intervista a Leandro Conti Celestini, autore del romanzo di formazione “L’educazione sentimentale di un ragazzo”
Raccontata con una notevole padronanza stilistica, un intreccio cinematografico e una matura coerenza narrativa, la storia de L’educazione sentimentale dell’autore, designer e artista Leandro Conti Celestini, classe 1978, laureato in Storia dell’Arte, è un’iniziazione alla vita attraverso la scoperta di pulsioni sconosciute, brutali e al contempo necessarie. Mi libro in volo ha intervistato l’autore per approfondire le tematiche trattate nel suo secondo romanzo. Ciao Leandro, e benvenuto nello spazio dedicato alle interviste di Mi libro in volo. Ho letto con piacere il tuo romanzo e devo ammettere che offre una serie di spunti di riflessioni. Vorrei, innanzitutto, sottolineare l’audacia dimostrata sia nella selezione delle tematiche affrontate, di cui parleremo a breve, sia della tecnica adottata, ovvero la narrazione in seconda persona per buona parte della storia. Come mai hai optato per questa scelta stilistica? «Ciao, grazie a te per lo spazio, è un piacere fare due chiacchiere! La scelta della seconda persona risale a un paio d’anni prima, quando iniziai a scrivere il mio primo romanzo “Alle corde”. In entrambi ho messo esperienze personali e nello sperimentare a scrivere (non mi ero mai approcciato alla scrittura, sono sempre stato intorno alle arti visive) mi rendevo conto che né la prima né la terza persona, le classiche usate, riuscivano a rendere quello che volevo. La terza “staccava” troppo il personaggio dalle mie esperienze, la prima risultava un po’ troppo presuntuosa e forzata… la seconda invece mi ha dato la possibilità di rivolgermi quasi ad un alter ego in un modo che ho trovato sorprendentemente poetico, fluido e cinematografico. Da lì è diventato un po’ il mio marchio di fabbrica.»“La fama è una gara, certo, e il traguardo è così lontano che a volte sembra non esistere davvero, ma per ora non c’è fretta di raggiungerlo, ed è più bello viaggiare insieme… basta non avere paura di andare avanti, aggrappandosi al proprio talento e prendendo la mano dei tuoi compagni di viaggio.”
Passiamo adesso a parlare del tuo protagonista, Andreas, giovane milanese disorientato per la sua identità sessuale e per il suo futuro da modello, difficile da realizzare. Da subito si intuisce che, nonostante il suo aspetto naïve, nasconde una forte personalità: è ambizioso, curioso e disposto a tutto. Quando gli viene chiesto il perché del suo sogno, lui risponde così: “Non saprei bene il perché, vivo in un piccolo paese dove non succede mai niente, non ho molti amici e mi sembra di sprecare i miei giorni. Non so cosa fare, dove andare, e tutto è così… (…) tutto così fermo. Io voglio vivere, o almeno sapere cosa si provi a esserlo!” È come se con queste parole segnasse il suo destino. Appassionato di Flaubert, hai tu stesso confessato che per Andreas ti sei ispirato a Frédéric Moreau de L’educazione sentimentale. In cosa sono simili, e in cosa invece il tuo Andreas si distingue da Moreau? «Sinceramente io li trovo molto simili, a parte che Andreas è gay! Mi ha sempre affascinato la figura del protagonista francese, da molti giudicato come “debole” ma che io invece considero semplicemente “dolce” nelle sue espressioni, nel suo modo di fare e anche nelle sue paure. Frédéric, inoltre, ha moltissime qualità positive: è altruista, rispettoso, onesto e, soprattutto, sa amare sinceramente… Spero che Andreas susciti la stessa empatia.»“Tu sei sereno, luminoso… così… bello… non ci sono ombre sul tuo viso.”
Da Milano alla California, questi i luoghi in cui ambienti la tua storia, e negli anni ’90, trent’anni prima dell’epilogo, quando la capitale lombarda, come specifichi nel romanzo, non è ancora l’attuale città multietnica, mentre Los Angeles, che descrivi piena di “una moltitudine di stili che si accozzano in risultati variopinti e sorprendentemente belli da guardare” e che “dove se vuoi una cosa, te la prendi senza chiederne il permesso” rappresenta la libertà di espressione per Andreas, nonostante la durezza a cui bisogna sottoporsi per emergere. Si tratta di una città che conosci bene poiché ci abiti. Come mai hai scelto di trasferirti a Los Angeles e quanto di finzione ci hai messo, invece, nel romanzo? «I miei romanzi hanno sempre elementi autobiografici, alla fine si parla sempre di quello che si conosce! In questo libro ho scelto di parlare di alcuni avvenimenti che ho passato come Andreas quando ero ragazzo, mentre nel primo romanzo rifletto sulla mia adolescenza e su come la vedo adesso attraverso i due personaggi principali. Ho scelto Los Angeles proprio per il senso di libertà che il Sogno Americano (dove appunto lì è fortissimo) ti permette di ottenere! Almeno così è successo per me, dopo che ho capito il meccanismo. Anche lo scrivere e molte altre esperienze che non mi sarei mai immaginato di incominciare sono state rese possibili proprio dall’atmosfera creativa che si respira: qui tutti fanno tutto, aprire un business è semplicissimo, anzi sei ispirato a farlo proprio vedendo i tuoi amici o semplicemente scambiando idee con altri creativi.»“La città ti cattura sin dal primo momento: una distesa piatta di strade a scacchiera, edifici, case e palme a perdita d’occhio fino all’orizzonte, contro un cielo sempre azzurro e senza nuvole. Ti colpisce il suo stile veramente eclettico, a tratti vagamente latino, a tratti antico o americano: edifici dai colori vivaci, murales che occupano l’intera facciata dei palazzi, grattacieli di vetro, marciapiedi larghi e affollati, affiancati da strade ancora più larghe e battute da macchine moderne, d’epoca o stravaganti.”
Ed è proprio nella selvaggia America di cui parli che Andreas vive il suo passaggio da ragazzo ingenuo e sognatore a uomo deciso e sicuro di sé, non senza essere passato per un inferno fatto di dure prove con se stesso che lo segnano profondamente. Quello hollywoodiano, è risaputo, è un sogno perverso da vivere, ma in molti ne sono attratti, consapevoli, il più delle volte, di dover accettare difficili compromessi. Andreas questo lo impara. Nella storia hai voluto focalizzare l’attenzione proprio su questa sua scelta. Il tuo protagonista è l’eroe che va dritto incontro al suo destino come quelli greci, cosciente di quello che fa, sacrificandosi in nome di ideali più grandi. Nonostante i suoi azzardi, mantiene intatta un’aurea di candore. Quali sono gli ideali che lo tengono in vita? «Direi che più che ideali sono la sua essenza e personalità a tenerlo in vita: la sua caratteristica principale è il non mollare mai, neanche quando tutto sembra perduto. Forse è per questo che lui viene sottovalutato e in qualche modo ne esce vincitore. Alla sua età tutti noi siamo pieni di ideali (a volte anche un po’ semplicistici e scontati) ma con il raggiungimento della maturazione essi diventano più profondi e più veri. Non avendo davvero “vissuto” fino al suo arrivo a Los Angeles, il suo ideale più forte è il desiderio di amore, anche più del successo di cui ha solo un’idea vaga, senza sapere cosa davvero comporti.»“Sono stati gli anni peggiori della tua vita: non visto, non cercato, assetato di amicizie, amori o qualsiasi cosa pur di non restare solo.”
Andreas, dunque, matura attraversando momenti di euforia giovanile, delusioni cocenti, fino a reazioni di rabbia e grinta. La violenza rappresenta per lui una nuova forza propulsiva che lo mette di fronte alle sue ombre nascoste, proprio come afferma Freud a proposito di Thanatos “trassi la conclusione che, oltre alla pulsione a conservare la sostanza vivente e a legarla in unità sempre più vaste, dovesse esistere un’altra pulsione a essa opposta, che mirava a dissolvere queste unità e a ricondurle allo stato primordiale inorganico. Dunque, oltre a Eros, una pulsione di morte; la loro azione comune o contrastante avrebbe permesso di spiegare i fenomeni della vita”. Quella del ring che racconti vuole essere una metafora di questa duplice pulsione? «Nei momenti sul ring Andreas (e chiunque altro) è come se entrasse in un altro mondo, dove l’inizio è il segnale del gong e la fine è la vittoria o la sconfitta. Non esiste nient’altro, solo buio attorno, quindi le uniche sensazioni sono la ricerca della “conservazione della sostanza vivente” ma anche una sorta di anestesia, dove tutto perde di importanza. Quindi potrebbe decisamente essere una buona metafora!»“Anche tu hai fatto così? Forse non sei sicuro di quale sia il tuo talento ma inizi a non avere più paura di come sarà il tuo futuro; nel presente di adesso hai iniziato qualcosa che ti sembra giusto.”
Il tema della conoscenza di sé attraverso il sesso nella letteratura erotica ha portato a diverse interpretazioni psicoanalitiche, a seconda degli orientamenti, dalla regressione infantile a un processo di completamento fra le due sfere, maschile e femminile, che tendono a compenetrarsi fra loro per compiere il percorso di individuazione/maturazione della coscienza individuale, fino a quella collettiva. In quale dei due ascriveresti il percorso del tuo protagonista? «Non ho mai pensato a queste due alternative, forse dovrei fare un po’ di psicoanalisi per scoprirlo! Elementi femminili in Andreas… non ne vedo troppi mentre elementi infantili decisamente di più (il pianto ma anche l’ingenuità e l’onestà) anche se non lo abbandoneranno mai. Forse invecchiare senza diventare adulti è proprio il mio augurio nei confronti della vita.»“Tu sapevi di paura selvaggia, di sogni, di ragazzo affamato, di solitudine e di strade perdute.”
Le immagini sono opere dell’autore Leandro Conti Celestini, che ha creato anche un suo brand di underwear Tigerheat Productions, commercializzato con grande successo negli Stati Uniti: il modello di bodysuit che Andreas, il protagonista del romanzo, indossa sul ring nel corso della storia è diventato un classico nuovo pezzo di abbigliamento nel guardaroba maschile.
Intervista a Luca O’Connor, autore del romanzo “L’aquila e la stella”, Edizioni WE – 2020
“Sei un compagno di classe come tutti gli altri. Non hai nulla di diverso. E nemmeno io.”
In occasione della Giornata della Memoria Mi libro in volo ha deciso di intervistare Luca O’Connor per indagare più a fondo una storia che ha avuto l’urgenza di essere raccontata proprio per non dimenticare atrocità perpetrate nell’indifferenza collettiva. Ciao Luca, ringraziandoti per aver accettato l’invito di Mi libro in volo nello spazio dedicato alle interviste, ci tengo a chiederti subito qual è stata la genesi di questa storia e cosa ti ha spinto a volerla scrivere? «Grazie a te Domizia per avermi dato questa possibilità. La genesi dell’opera risale al lontano 1998 quando, in terza elementare, le mie maestre mi fecero leggere alcuni dei testi sulla Shoah più importanti come Il Diario di Anne Frank e in seguito Se questo è un uomo di Primo Levi e L’amico ritrovato di Fred Uhlman. Queste letture si sono ripetute successivamente anche alle scuole medie. Ma una cosa rimase uguale, ossia un commento che gli insegnanti ripetevano in continuazione: “queste cose non vanno mai dimenticate”. Così posi una domanda a me stesso su cosa avrei potuto fare nel mio piccolo, affinché non venissero assolutamente dimenticate le atrocità lette in quei testi drammatici. Mi balzò subito l’idea di provare a scrivere anche io qualcosa per poter dare il mio piccolo contributo.» La storia è ambientata a Pavia, tua città natale. Come mai questa scelta e come ti sei mosso per la documentazione? «Ho scelto Pavia perché la trovo una città meravigliosa e che, a mio parere, andrebbe valorizzata di più. Nel mio romanzo non viene mai nominata espressamente, ma ci sono i nomi di strade ed edifici che la fanno riconoscere benissimo. Un altro motivo per cui ho scelto la mia città è perché i protagonisti che hannp ispirato la storia sono essi stessi di Pavia, realmente esistiti. Ho portato avanti una lunghissima ricerca ascoltando in continuazione le interviste dei sopravvissuti nei vari programmi tv, oppure leggendo i loro libri. Ma la documentazione più grande è avvenuta visitando un vero campo di concentramento vicino Praga, Theresienstadt, dove ho percepito atmosfera, temperatura, l’area in cui si stanziava il campo, e tutto quello che è sopravvissuto, come le baracche e gli oggetti vari. Uno degli aspetti più difficili è stato reperire informazioni in merito alla Pavia degli anni ’40, che si è trasformata in 80 anni. Ho rinvenuto preziose informazioni sui siti internet che ricostruiscono le città negli anni passati, così ho scoperto i vecchi nomi delle strade, degli edifici, delle usanze degli anni ’30, dei mestieri di una volta (come le lavandaie e gli spazzacamini) e preziosi riferimenti sulla lingua tedesca e sulle severe regole che vigevano nella scuola a quei tempi.» Chi sono Gabi Goldshmiedt e Fredrich Von Schifflen, e come si evolvono le loro giovani personalità nel corso delle vicende che attraversano gli anni della salita al potere del Fascismo e del Nazismo, fino alla disfatta dei Tedeschi? «Gabi è un giovane ragazzo ebreo, solare, amante della vita e della città in cui vive, crede nella vera amicizia, gli piace divertirsi, è altruista, simpatico, divertente e, all’inizio della storia, ingenuo e poco incline allo studio e al rispetto dei suoi doveri. Friedrich, invece, è il figlio di un militare tedesco che, in poco tempo, viene obbligato dal padre a diventare soldato per combattere in Europa. È un giovane ragazzo molto scaltro, una guida per Gabi e per tutti, sveglio, pieno di talento, con l’obiettivo di fare il professore. I due si incontrano tra i banchi di scuola all’inizio dell’anno scolastico, ma il rapporto tra i due non è dei più felici. Friedrich capisce all’istante che Gabi è un ebreo e quindi lo tratta con freddezza e disprezzo. Il motivo: suo padre lo spinge a trattare così tutti gli ebrei. Ma presto Friedrich realizza che ci sono sentimenti che vanno oltre e che l’amicizia non ha né limiti né confini.» Una parte della storia è ambientata ad Auschwitz, Birkenau e Bergen-Belsen. Cosa hai provato immedesimandoti nei prigionieri? «Ho impiegato sette lunghi anni in ricerche e approfondimenti di documentazioni varie per poter comprendere il modo più esatto per descrivere i campi di concentramento e non è stato per niente facile. Ho provato una sensazione di tristezza enorme mentre scrivevo, perché sapevo che quello che raccontavo è stato vissuto realmente.» La storia da te raccontata, come altre simili testimonianze, vuole essere un monito per non dimenticare. I protagonisti, dapprima ragazzini spensierati tormentati dalle comuni problematiche adolescenziali, devono fare i conti con l’imprevedibilità della Storia, con una tragedia che piomba sulle loro teste inaspettatamente e che divide chi come loro in realtà non si sente diverso l’uno dall’altro. In una parte ambientata nel 1945, a Bergen- Belsen, accanto ai malati indeboliti e privi di speranza, Gabi pensa: “Credo sia questo il motivo per cui siamo qui (…) Rinchiudere tutti insieme i malati non più abili al lavoro e lasciarli morire lentamente. Da soli. Questa è la tortura peggiore.” Cosa si può fare, secondo te, per evitare che simili catastrofi accadano ancora? «Sembrerà una banalità, in realtà non lo è per niente, ma l’unico modo per non dimenticare qualcosa è conoscerla e, di contro, ignorare qualcosa diventa una sconfitta per tutti. La nostra senatrice a vita, Liliana Segre, ha fortemente voluto che diventasse famosa questa parola: “indifferenza”. Una parola che forse fa male più delle cattive azioni. Se imparassimo a odiare di meno e ad amarci di più, non ci sarebbero guerre, intolleranze, discriminazioni di nessun genere.»
La donna degli alberi di Lorenzo Marone
E se gli alberi fossero esseri speciali, scesi sulla terra per nutrire, dare stabilità e, allo stesso tempo, insegnare a guardare in alto? All’interno, ogni albero brulica e freme di vita: scorre linfa che va dalle foglie alle radici, quelle che ondeggiano al vento e quelle che penetrano la terra. Gli alberi sono microcosmi nel macrocosmo che abitiamo. Ogni albero sta e osserva, resta e resiste, cresce e sfiora il cielo. Siamo abituati a osservare gli alberi lungo i viali di città, nelle stagioni più fredde, come braccia che ci proteggono il capo dalla pioggia, ci sollevano dal basso sul tappeto di strato di foglie. Ma è in montagna, nei boschi, che sentiamo gli alberi abitare il loro posto e sussurrare alla natura le loro storie. Scheda del libro Autore: Lorenzo Marone Genere: Narrativa Casa editrice: Feltrinelli Pagine: 224 Prezzo: Euro 16,00 EAN: 9788807034145 Lorenzo Marone, nel suo ultimo romanzo edito da Feltrinelli nel 2020, La donna degli alberi, si ferma e ascolta queste storie. Prende un lungo respiro e raccoglie tutto l’ossigeno possibile da un contesto che impone una pausa, una sosta dai luoghi e dalle troppe parole. L’incipit è difatti una lettera della protagonista ai lettori e, come albero che perde le sue foglie, pian piano si alleggerisce. È un invito a svuotarsi, a lasciarsi andare prima di accingersi a una lettura che conduce nel mondo di una protagonista che non ha nome, non ha tratti fisici delineati, ma che vive attraverso i suoi pensieri, i passi, il lavoro manuale, gli incontri del bosco. Attorno a questa donna si animano presenze, giunte a lei come per magia, sembra quasi sia lei stessa a invocarle: la volpe selvatica, che da diffidente si fa sempre più vicina, il gufo che ammonisce durante la notte, la ghiandaia che saluta il giorno, la Guaritrice che lenisce, la Rossa che nutre, la Benefattrice che sostiene, lo Straniero che ridona fiducia e coraggio, e che al contempo insegna perdita e dolore. Dall’incipit: “Sono stata donna in fuga. In me c’era l’inquietudine della partenza, la vulnerabilità del sopravvissuto, camminavo con il passo spezzato. Mi costruivo le ritirate che non ho preso, ho accettato gli allontanamenti che non ho scelto, ho accolto chi è entrato nella mia vita per evadere dalla sua, sono stata fuggiasca e non vincitrice, rincorsa ma perdente. Ora inseguo l’amor proprio, coltivo il piccolo ambizioso progetto di non restare dove non c’è amore. Mi ritaglio lo spazio per ripassare le mie mancanze, e mi affanno a farmi trovare preparata spettatrice del minuscolo che accade. Mi propongo di mantenere inviolata la fame di vivere pienamente. In armonia con quello che c’è, con chi c’è. Cerco la fede senza fede. Lascio la mia vita, per costruire un nuovo pezzetto di terra da abitare, da seminare e far fiorire. Imparo a stare, senza rimpianti, senza voler essere continuamente altrove. Questo è il mio onesto patto da onorare. Il mio piccolo contributo.” La donna è in fuga dai rumori e dalla frenesia della città, per trasferirsi nell’isolamento montano, nella baita in cui un tempo ha trascorso la sua infanzia con i genitori, dove trascorrerà un lungo anno, dall’autunno alla fine dell’estate. E nella solitudine con cui impara a convivere, le figure genitoriali le appaiono come fantasmi benevoli che le sussurrano ricordi, immagini e sensazioni che nel presente per lei si caricano di nuove consapevolezze.“Tra i rami dei grandi alberi mi sono arrampicato per guardare il cielo… con la loro frutta mi sono sfamato, con il loro legno mi sono riscaldato: a loro devo la mia vita…” (Mario Rigoni Stern)
“È un dolore strano il ricordo, è abbraccio che toglie l’aria, carezza che graffia, è immaginazione senza via di fuga, c’è anche quando sembra non esserci.”
Nel lungo anno trascorso in montagna, la donna mette radici in quella terra impervia, fondendosi, stagione dopo stagione, alla natura stessa, scoprendo il miracolo della vita che la natura contiene e che l’uomo ha eclissato, schiacciato da dolori e miserie.“Penso alla farfalla, che si posa sul fiore e agita piano le ali per prendersi il calore del sole che l’aiuterà a volare per il resto del giorno, fra boschi e sopra i ruscelli, in cerca dell’unico atto d’amore prima della scomparsa silenziosa in un ciuffo d’erba, dentro un campo fiorito che canta incessante. (…) Stolti come falene, attendiamo la notte e teniamo chiuse le ali, perdendoci tutto il cielo che c’è.”
La donna degli alberi di Lorenzo Marone è un ritirarsi per ritrovarsi, è una storia la cui trama si nutre di silenzi e di pause. Racconta di uno sguardo stanco e di un cuore vuoto che imparano a illuminarsi e a riempirsi, di passi stanchi che riempiono vuoti, di braccia asciutte che accolgono sorgenti di vita.“Un piccolo fiore a dirmi che viviamo tutti senza futuro, e che il nostro compito primario è attendere il sole che verrà, per aprire ancora un giorno la corolla.”
Come nelle fiabe I personaggi che circondano la protagonista della storia sembrano uscire dalle fiabe. Presenze silenziose, appaiono all’improvviso, elargendo doni inaspettati alla protagonista. Dalle sembianze di strega, la Guaritrice in realtà ha movenze di fata. Con discrezione, ricurva e muta, la donna ricuce le ferite e rianima dal dolore con sguardi, abbracci e pozioni. La Rossa invece è la mano benefica che la sostiene, con gesti sicuri, la Benefattrice dona i frutti della terra e sfama il vuoto di vita. Lo Straniero, invece, turba con il rosso della sua giacca il paesaggio candido e innocente, l’angolo di cuore che la donna protegge e nasconde. L’uomo sogna di piantare abeti sul versante nord della montagna nell’intento di sostenere la terra e ridarle vita, si fa madre che con forti braccia vuole proteggerla e darle forza, affidando a lei tutto il suo coraggio. E fa lo stesso con la donna che si rifugia lassù in montagna, che lui cerca con lo sguardo, che le mette “a posto un ciuffo di capelli in burrasca col gesto posato di chi sa dosare la forza, dell’artigiano che si prende cura dei dettagli della sua opera.” La protagonista si muove tra i monti e le valli, circondata sempre dagli alberi, intorno a lei e lungo i fianchi scoscesi della montagna. Si addentra nei boschi, la zona d’ombra da affrontare, il luogo in cui gli eroi incontrano nemici e creature magiche, il posto solitario dove essi si misurano con se stessi.“Da quando c’è il Cane, la Volpe viene molto di rado.”
Anche le presenze animali si caricano di una forte valenza simbolica, sono compagni immaginali. La volpe, selvatica e non addomesticata, si avvicina lentamente alla baita della protagonista e ogni volta si fa messaggera di nuove prese di coscienza. Secondo alcune tradizioni orientali, la volpe ha il potere di tramutarsi, specialmente in donna, per altre tradizioni occidentali si fa messaggera fra il mondo dei vivi e dei morti, e soprattutto non dimentichiamo che è una volpe che funge da maestra di vita per Il Piccolo Principe, insegnandogli che “l’essenziale è invisibile agli occhi.” Oltre alla flora, dunque, anche la fauna si fa veicolo di consapevolezza per la donna. Osservando con il cuore, scopre la potenza delle immagini che la circondano: “Dalle vacche ho imparato la compostezza nello stare al mondo (…) In loro rivedo ancora oggi mia nonna, o quelle come lei, anime timide che sapevano attendere e che però si sono consumate lentamente nell’ignavia, divorate da dentro dalla paura e da insegnamenti scorretti. (…) E mi chiedo quando davvero arriverà l’insurrezione delle donne, quando anche questi grandi bovini, e gli animali tutti, torneranno a prendersi le loro vite liberandosi dall’uomo.” L’Anima ne La donna degli alberi“Se ognuno di noi avesse il garbo del fiore, che regale sta a lasciarsi fecondare, se ci limitassimo a cospargere di bellezza il nostro pezzetto di mondo, se lasciassimo al vento la decisione delle cose e ci limitassimo a fiorire nella vita.”
Con il personaggio de La donna degli alberi, Lorenzo Marone esprime la sua parte Anima, l’energia archetipica del femminile. Attraverso la sua ultima protagonista, l’autore si lascia guidare nel suo mondo interiore vivificando l’immagine di Madre Natura. Tutto vibra di Anima nel romanzo, dalla madre terra che accoglie e sconvolge, dona e toglie la vita, alle comparse femminili e animali che accompagnano la protagonista nella sua ricerca di nuove leggi, nuovi ascolti, nuovi miracoli. E per questo non si poteva che scegliere un diario intimista, sostenuto da uno stile poetico che si fonde al flusso della narrazione come l’acqua fa con la terra. Chi è Lorenzo Marone Autore dei romanzi La tentazione di essere felici (Longanesi, 2015), 18 edizioni in Italia, Premio Stresa 2015, Premio Scrivere per amore 2015, Premio Caffè Corretto – Città di Cave 2016, che ha ispirato un film, La tenerezza, con regia di Gianni Amelio, La tristezza ha il sonno leggero (Longanesi, 2016), Premio Città di Como 2016, Magari domani resto (Feltrinelli, 2017), 8 edizioni, Premio Selezione Bancarella 2017, Un ragazzo normale (Feltrinelli 2018), Premio Giancarlo Siani, la raccolta Cara Napoli (Feltrinelli, 2018), due edizioni, Tutto sarà perfetto (Feltrinelli 2019), il saggio per Einaudi Inventario di un cuore in allarme (2020), e La donna degli alberi (Feltrinelli 2020). Nel 2021 ha pubblicato il racconto Il bosco di là all’interno della collana “Il bosco degli scrittori” di Aboca Edizioni. Tradotto in 17 paesi, cura la rubrica domenicale (I Granelli) su ‘La Repubblica di Napoli’, collabora con TuttoLibri de La Stampa e Il Venerdì di Repubblica. Dal 2018 è direttore artistico della fiera del libro di Napoli “Ricomincio dai libri”. Dal 2021 dirige, inoltre, la collana di letteratura italiana di Marotta&Cafiero editori.Intervista a Manuela Bassetti e Edoardo Gagliardi, fondatori della rivista culturale online La Nuova Decade.
Non si raggiunge l’illuminazione immaginando figure di luce, ma portando alla coscienza l’oscurità interiore.
(Carl Jung)
Con questa citazione del noto psichiatra svizzero, si apre il primo numero de La Nuova Decade, dedicata ad approfondimenti psicoanalitici e filosofici all’interno di opere letterarie e cinematografiche, e che si compone di cento pagine, in cui gli articoli sono corredati da immagini particolarmente evocative. Innanzitutto ringraziamo Manuela Bassetti e Edoardo Gagliardi per essersi resi disponibili a rispondere alle domande del blog. Con i dovuti ringraziamenti per la disponibilità ricevuta, apriamo l’intervista chiedendo subito loro … Come nasce il progetto de La Nuova Decade? «Il progetto de La Nuova Decade nasce nell’estate 2021, in un periodo storico che sappiamo essere molto complesso dal punto di vista sociale e psicologico. Il nostro desiderio, sin dall’inizio, è stato quello di creare una realtà culturale in cui rilanciare tematiche per noi importanti, che potessero contribuire alla salvaguardia e al rinnovamento della dimensione più profonda, essenziale diremmo, dell’essere umano. In particolare, aspetti per noi fondamentali, che ci auguriamo di trasmettere ai lettori attraverso la nostra rivista, sono la consapevolezza di sé e della realtà che ci circonda; la concezione dell’arte e della cultura non soltanto come esperienze estetiche e d’intrattenimento ma anche come forme d’introspezione e di crescita interiore; la possibilità di creare ponti tra le diverse discipline umanistiche al fine di realizzare una vera e propria rete culturale, in cui le persone possano immergersi per approfondire la propria visione del mondo, entrare in contatto con il proprio universo psichico ed emozionale, nonché stimolare la propria curiosità intellettuale, per noi sinonimo di energia vitale e di crescita personale. In una fase storica in cui i temi della morte, della sofferenza e del lutto hanno contraddistinto duramente la nostra società, noi abbiamo scelto di scommettere su un progetto che fosse insieme un omaggio e un inno alla Vita, alla Bellezza, alla speranza della Rinascita.» Che significato ha per voi il titolo La Nuova Decade e in cosa si distingue dalle altre riviste online? «Con il titolo La Nuova Decade intendiamo porre l’accento sulla decade che stiamo vivendo (2020-2030) e sul nuovo secolo appena iniziato. In particolare, è nostro desiderio mettere in evidenza gli aspetti peculiari di questo decennio così da contribuire a caratterizzarlo, esattamente come è avvenuto per le decadi precedenti, tanto che ancora oggi si fa riferimento agli anni Sessanta, Settanta, Ottanta e così via come veri e propri nuclei storici, culturali e sociali, ciascuno caratterizzato da elementi specifici e in un certo senso irriproducibili. Allo stesso tempo, occupandoci soprattutto di letteratura, psicoanalisi e filosofia, ci piace l’idea di realizzare un ponte tra passato, presente e futuro, attingendo a queste discipline, nate nei secoli precedenti, e rilanciandole nel nuovo Millennio, così da poterle utilizzare come lenti privilegiate sia per osservare la realtà attuale, sia per provare a immaginare la realtà futura. Per quanto riguarda la nostra rivista, ciò che la contraddistingue maggiormente è il fatto di essere una rivista nel senso più classico del termine. Pur sfruttando una piattaforma online al fine della diffusione dei contenuti, La Nuova Decade si rifà alle grandi riviste che hanno fatto la storia del Novecento. Essa, infatti, è sfogliabile come una rivista cartacea e contiene articoli lunghi e approfonditi, ciascuno frutto sia del nostro background professionale, sia di continuo studio e aggiornamento. Per concludere, potremmo riassumere che La Nuova Decade è un prodotto online soltanto per quanto riguarda il sopporto informatico che ne consente la distribuzione, ma per tutto il resto, dallo stile di scrittura, all’impaginazione, alle scelte grafiche, si configura come una rivista tradizionale, in quanto il nostro desiderio era proprio quello di rilanciare questa forma editoriale e di lettura.» Come sono suddivisi, invece, i vostri ruoli all’interno della redazione degli articoli, e come è strutturata la rivista? «Un altro aspetto peculiare della nostra rivista è che la redazione è composta soltanto da due persone, le quali rappresentano le due anime del progetto. Benché ci relazioniamo con personalità terze, come gli ospiti delle nostre interviste o gli artisti che ci donano le loro illustrazioni, Manuela ed Edoardo restano, per scelta, gli unici autori degli articoli de La Nuova Decade, la quale diventa così lo specchio del nostro sguardo sul mondo e della nostra personale sensibilità. Per quanto concerne i nostri ruoli, Manuela è il Direttore Editoriale della rivista e, in quanto medico psicoterapeuta, si occupa soprattutto delle tematiche inerenti la letteratura e la psicoanalisi, mentre Edoardo, filosofo e giornalista, è il Direttore Responsabile della rivista e si dedica principalmente agli argomenti di natura filosofica. Come si evince dalla suddivisione dei nostri ruoli, La Nuova Decade comprende due grandi aree, quella dedicata all’analisi di opere narrative, sia classiche che contemporanee, per investigare in chiave psicoanalitica ciò che contraddistingue l’essere umano (la sua interiorità, le sue relazioni interpersonali, il rapporto da conscio e inconscio), e quella dedicata alla filosofia, che attraverso articoli di saggistica e dialoghi filosofici a due voci, cerca di fare luce sulle tante sfaccettature che definiscono l’essenza dell’uomo, nonché la realtà in cui siamo immersi. Accanto a questa struttura di base, ci piace inserire nei vari numeri anche contenuti diversi, in grado di stimolare la nostra curiosità e quella dei lettori, per cui si possono trovare interviste a personaggi del mondo dell’arte, brevi excursus storici o cinematografici e altre novità che per il momento non sveliamo per non perdere l’effetto sorpresa. Sebbene i nostri due ruoli possano sembrare distinti, in realtà lavoriamo insieme in modo creativo e collaborativo. Entrambi partecipiamo alla realizzazione della linea editoriale, entrambi portiamo idee e proposte per i numeri da realizzare, pertanto il nostro è un rapporto ideativo assolutamente alla pari e di continuo scambio. Infine, riteniamo interessante il fatto di rappresentare all’interno della rivista sia una voce femminile che una voce maschile, le quali, lungi dal voler apparire contrapposte, desiderano dialogare insieme, senza che nessuna delle due prevalga sull’altra, a testimonianza che maschile e femminile sono due dimensioni entrambe preziose, specialmente quando entrambe portano il proprio contributo, anche sul piano culturale, in modo dialogico e armonioso.» Avete scelto di dare particolare risalto all’uso delle immagini, suggestive e d’autore, che per voi non hanno soltanto una funzione grafica. Potete approfondire questa decisione? «Come redazione crediamo molto nell’interconnessione sia tra le diverse forme d’arte, sia tra le diverse forme di espressione. Per questo motivo, accanto al linguaggio delle parole, abbiamo deciso di dare ampio risalto al linguaggio delle immagini. Per noi la scelta delle illustrazioni non avviene soltanto su una base estetica, ma anche comunicativa, in quando cerchiamo immagini che possano amplificare il potere evocativo delle parole e mettere in evidenza le tematiche più significative presenti negli articoli. La ricerca delle immagini è un lavoro lungo e laborioso: esse devono creare armonia grafica, essere in equilibrio tra loro e con i contenuti della rivista e allo stesso tempo possedere quel potere suggestivo, a tratti onirico o surreale, che permetta al lettore di addentrarsi anche nel proprio mondo psichico. Per scelta, inoltre, abbiamo voluto inserire non illustrazioni qualsiasi, ma opere d’arte e d’autore, che possano impreziosire la rivista e renderla, da un certo punto di vista, un prodotto anche da collezione.» Vi avvalete di una piattaforma, issuu.com, dove è possibile scaricare gratuitamente la rivista, per consentire una divulgazione più ampia e immediata. Come conciliate l’aspetto divulgativo con quello dell’approfondimento? «Per noi l’aspetto divulgativo e quello dell’approfondimento sono strettamente intrecciati. Da un lato ci piace l’idea di divulgare i temi che ci appassionano e che ci interessano, temi che siamo noi stessi ad approfondire prima ancora di trasformarli in articoli per la rivista. Allo stesso tempo, come ama dire Edoardo, siamo stati coraggiosi, nel senso che abbiamo voluto scommettere sull’esistenza, ancora oggi, di un pubblico di lettori capace di approcciarsi a un modello di fruizione di contenuti che non è quello tipico del web (spesso caratterizzato da contenuti brevi e “virali”) bensì a quello più tradizionale, caratterizzato da contenuti di più ampio respiro, che richiedono tempo e concentrazione per essere letti e assaporati. Se dunque una piattaforma online, come quella che usiamo noi per diffondere la rivista, resta una scelta privilegiata per una realtà appena nata e gratuita come la nostra, nondimeno la volontà d’inserire tra le nostre pagine articoli ben approfonditi rispecchia anche quello che noi crediamo essere un bisogno delle persone: tornare in contatto con un tempo più lento, più “interiore”, che faccia da contrappeso al tempo della modernità, dove tutto scorre talmente veloce da non permettere più un vero contatto con il proprio mondo interiore e con proprie capacità riflessive.» La vostra è una fusione delle arti (filosofia, psicoanalisi e letteratura) che riconducono tutte a un’esplorazione di se stessi, proprio come accade in tutte le storie che leggiamo, in cui l’eroe si mette in cammino per tornare, prima o poi, a casa. Gli articoli proposti sono infatti veri e propri focus su tematiche esistenziali, pertanto esaustivi e approfonditi. Proponete, insomma, una lettura introspettiva che prevede un tipo diverso di fruizione dell’informazione da quello a cui siamo abituati ormai da alcuni anni. Ci spiegate, ricorrendo ad alcuni riferimenti del primo numero della rivista, in cosa consistono i vostri articoli? «Il primo numero della rivista si è molto concentrato su tematiche riguardanti il Sé e il rapporto tra luce ed ombra all’interno della psiche umana (rapporto luce-ombra che è stato ripreso anche in un ampio articolo riguardante le connessioni tra cinema horror in bianco e nero e inconscio dello spettatore). Dal punto di vista letterario (attraverso la disamina di romanzi come Delitto e Castigo, Il ballo o L’età incerta) abbiamo scandagliato tematiche psicologiche complesse, tra cui la triade colpa-perdono-redenzione e il rapporto tra adolescenza ed età adulta. D’altro canto, nei numeri successivi, è nostra intenzione ampliare il panorama investigativo, portando sotto la nostra personale lente d’ingrandimento nuovi argomenti e nuovi nuclei tematici, tra cui la filosofia orientale e il legame sia tra l’Io e l’altro, sia tra l’Io e la società. Per quanto riguarda il modo di lavorare di Edoardo, egli parte da un’idea filosofica, idea che lo porta ad approfondire quel particolare tema, così da offrire ai lettori un articolo che sia il più completo e il più comprensibile possibile. A seconda degli argomenti, naturalmente, alcuni focus saranno più ampi, come nel caso del concetto di Ombra in chiave filosofica, altri saranno più ristretti e mirati, come nel caso del concetto di non-azione secondo il Taoismo. Per quanto riguarda l’approccio di Manuela invece, ella parte da una storia che per qualche ragione l’ha affascinata o colpita, e al cui interno risiedono aspetti per lei interessanti sul piano psicoanalitico. A quel punto, addentrandosi nello studio dei personaggi, delle ambientazioni e dei dialoghi, cerca di mettere nero su bianco una serie di riflessioni che possano stimolare nel lettore una maggiore presa di consapevolezza del proprio universo psichico e dei molteplici modi con cui gli esseri umani si relazionano con se stessi, con gli altri e con la realtà che li circonda.» La Nuova Decade è rivolta a un ampio pubblico, senza distinzioni di credo in particolare, in un’ottica maieutica, socratica, della conoscenza. Siamo curiosi di sapere, a questo punto, come vi piacerebbe fosse risucchiato il lettore nei vostri articoli e come ne dovrebbe uscire, a fine lettura? «Trattandosi di una rivista, il primo aspetto che ci auguriamo di trasmettere è la piacevolezza della lettura. Siamo lieti, infatti, all’idea di fare compagnia ai lettori attraverso i nostri articoli e, perché no, anche attraverso il fascino, a tratti gotico e un po’ inquietante, delle illustrazioni d’autore. Oltre a ciò, è nostro desiderio che ciascun lettore venga stimolato a riflettere sui contenuti della rivista. Il nostro scopo non è quello di fornire verità pre-confezionate o chiavi di lettura assolute della realtà. Al contrario, speriamo di contribuire a sviluppare nuovi interrogativi, nuove prospettive, nuovi spunti di riflessione, sicché ciascun lettore possa incrementare la propria crescita personale e interpersonale. Come ponte ideale tra passato, presente e futuro, per noi La Nuova Decade vuole essere un laboratorio culturale, attraverso cui rilanciare un dibattito intellettuale e artistico, senza pregiudizi e senza distinzioni di natura politica, religiosa o sociosanitaria. Allo stesso tempo, ci fa molto piacere quando i lettori stessi, incuriositi dalle tematiche presentate nei nostri articoli, si sentono invogliati ad approfondire ulteriormente gli argomenti, attraverso una ricerca personale che va oltre quanto proposto nelle nostre pagine. Questo andare “oltre” rappresenta per noi la costruzione di quella rete culturale che ci auspichiamo possa portare alla nascita di ponti ideali non soltanto tra i saperi, ma anche tra le menti delle persone.» Potete anticiparci quale sarà il focus del prossimo numero de La Nuova Decade e qualche altra curiosità? «I nuclei tematici principali su cui verterà il secondo numero della rivista sono essenzialmente tre. In ambito letterario e psicoanalitico, ci concentreremo soprattutto sul concetto di follia. Partendo da romanzi classici, come il Doctor Faustus di Thomas Mann, e da romanzi moderni dai contorni allucinati alla Philip Dick, cercheremo di esaminare il sottile confine tra realtà e incubo, sanità e pazzia, nel singolo come nella società. In ambito filosofico, invece, ci concentreremo da un lato sulla filosofia orientale taoista, prendendo in esame (l’apparentemente) paradossale concetto dell’agire non-agendo, dall’altro lato ci addentreremo in un dialogo filosofico a due voci in cui proveremo a rispondere alla domanda se siamo davvero entrati nel ventunesimo secolo o se per molti aspetti siamo ancora immersi nel ventesimo secolo. Analizzando le relazioni tra Tempo e Società, cercheremo anche di mettere in risalto alcune delle caratteristiche di questo nuovo millennio, senza perdere di vista ciò che lo unisce e ciò che lo distingue dalle epoche passate, in particolare dal Novecento da cui tutti noi proveniamo. Come redazione non ci resta dunque che ringraziare Mi libro in volo per quest’interessante intervista e invitare le persone che lo vorranno a sfogliare La Nuova Decade. Amiamo anche ricevere i feedback e i commenti dei lettori, quindi non esitate a scriverci sui nostri canali ufficiali!» Edoardo Gagliardi (Ph.D.), filosofo e giornalista. Ha studiato filosofia all’estero e si occupa principalmente di metapolitica, filosofia della storia, filosofie orientali, metaetica ed estetica. Resta tuttavia interessato anche ad altri ambiti filosofici. Ha ideato il canale Youtube “Metapolitics”. Parallelamente svolge attività di giornalista e conduttore televisivo. Manuela Bassetti, medico e psicoterapeuta. Dopo la laurea in medicina e chirurgia, presso l’Università Vita Salute San Raffaele di Milano, si è specializzata in psicoterapia a indirizzo psicoanalitico. Ha lavorato come libera professionista nel campo della psicotraumatologia, dei disturbi d’ansia e dei disturbi del comportamento alimentare. Nel tempo libero si dedica alla scrittura di romanzi per ragazzi.Le immagini inserite nell'articolo sono tratte dal primo numero de La Nuova Decade