In un momento storico in cui il chiacchiericcio virtuale stordisce, isola e devia dal pensiero inteso come indagine e scoperta, del mondo circostante e di se stessi, arriva una nuova voce che ammonisce con lo scopo di riportare il sapere al suo originario percorso di sapienza. Stiamo parlando de La Nuova Decade, la rivista bimestrale on-line che mette a confronto fra loro diverse discipline del sapere: filosofia, psicoanalisi e letteratura. Da una idea del medico e psicoanalista Manuela Bassetti e del filosofo e giornalista Edoardo Gagliardi, il periodico bimestrale è uscito a fine novembre 2021 con un numero dedicato al tema dell’Ombra e al cinema in bianco e nero. Mi libro in volo ha deciso di intervistare i due ideatori in vista dell’uscita del nuovo numero, prevista per il 15 gennaio 2022.
Non si raggiunge l’illuminazione immaginando figure di luce, ma portando alla coscienza l’oscurità interiore.
(Carl Jung)
Con questa citazione del noto psichiatra svizzero, si apre il primo numero de La Nuova Decade, dedicata ad approfondimenti psicoanalitici e filosofici all’interno di opere letterarie e cinematografiche, e che si compone di cento pagine, in cui gli articoli sono corredati da immagini particolarmente evocative. Innanzitutto ringraziamo Manuela Bassetti e Edoardo Gagliardi per essersi resi disponibili a rispondere alle domande del blog.
Con i dovuti ringraziamenti per la disponibilità ricevuta, apriamo l’intervista chiedendo subito loro …
Come nasce il progetto de La Nuova Decade?«Il progetto de La Nuova Decadenasce nell’estate 2021, in un periodo storico che sappiamo essere molto complesso dal punto di vista sociale e psicologico. Il nostro desiderio, sin dall’inizio, è stato quello di creare una realtà culturale in cui rilanciare tematiche per noi importanti, che potessero contribuire alla salvaguardia e al rinnovamento della dimensione più profonda, essenziale diremmo, dell’essere umano.In particolare, aspetti per noi fondamentali, che ci auguriamo di trasmettere ai lettori attraverso la nostra rivista, sono la consapevolezza di sé e della realtà che ci circonda; la concezione dell’arte e della cultura non soltanto come esperienze estetiche e d’intrattenimento ma anche come forme d’introspezione e di crescita interiore; la possibilità di creare ponti tra le diverse discipline umanistiche al fine di realizzare una vera e propria rete culturale, in cui le persone possano immergersi per approfondire la propria visione del mondo, entrare in contatto con il proprio universo psichico ed emozionale, nonché stimolare la propria curiosità intellettuale, per noi sinonimo di energia vitale e di crescita personale. In una fase storica in cui i temi della morte, della sofferenza e del lutto hanno contraddistinto duramente la nostra società, noi abbiamo scelto di scommettere su un progetto che fosse insieme un omaggio e un inno alla Vita, alla Bellezza, alla speranza della Rinascita.»Che significato ha per voi il titolo La Nuova Decade e in cosa si distingue dalle altre riviste online?«Con il titolo La Nuova Decade intendiamo porre l’accento sulla decade che stiamo vivendo (2020-2030) e sul nuovo secolo appena iniziato. In particolare, è nostro desiderio mettere in evidenza gli aspetti peculiari di questo decennio così da contribuire a caratterizzarlo, esattamente come è avvenuto per le decadi precedenti, tanto che ancora oggi si fa riferimento agli anni Sessanta, Settanta, Ottanta e così via come veri e propri nuclei storici, culturali e sociali, ciascuno caratterizzato da elementi specifici e in un certo senso irriproducibili. Allo stesso tempo, occupandoci soprattutto di letteratura, psicoanalisi e filosofia, ci piace l’idea di realizzare un ponte tra passato, presente e futuro, attingendo a queste discipline, nate nei secoli precedenti, e rilanciandole nel nuovo Millennio, così da poterle utilizzare come lenti privilegiate sia per osservare la realtà attuale, sia per provare a immaginare la realtà futura.Per quanto riguarda la nostra rivista, ciò che la contraddistingue maggiormente è il fatto di essere una rivista nel senso più classico del termine. Pur sfruttando una piattaforma online al fine della diffusione dei contenuti, La Nuova Decade si rifà alle grandi riviste che hanno fatto la storia del Novecento. Essa, infatti, è sfogliabile come una rivista cartacea e contiene articoli lunghi e approfonditi, ciascuno frutto sia del nostro background professionale, sia di continuo studio e aggiornamento. Per concludere, potremmo riassumere che La Nuova Decade è un prodotto online soltanto per quanto riguarda il sopporto informatico che ne consente la distribuzione, ma per tutto il resto, dallo stile di scrittura, all’impaginazione, alle scelte grafiche, si configura come una rivista tradizionale, in quanto il nostro desiderio era proprio quello di rilanciare questa forma editoriale e di lettura.»Come sono suddivisi, invece, i vostri ruoli all’interno della redazione degli articoli, e come è strutturata la rivista?«Un altro aspetto peculiare della nostra rivista è che la redazione è composta soltanto da due persone, le quali rappresentano le due anime del progetto. Benché ci relazioniamo con personalità terze, come gli ospiti delle nostre interviste o gli artisti che ci donano le loro illustrazioni, Manuela ed Edoardo restano, per scelta, gli unici autori degli articoli de La Nuova Decade, la quale diventa così lo specchio del nostro sguardo sul mondo e della nostra personale sensibilità. Per quanto concerne i nostri ruoli, Manuela è il Direttore Editoriale della rivista e, in quanto medico psicoterapeuta, si occupa soprattutto delle tematiche inerenti la letteratura e la psicoanalisi, mentre Edoardo, filosofo e giornalista, è il Direttore Responsabile della rivista e si dedica principalmente agli argomenti di natura filosofica. Come si evince dalla suddivisione dei nostri ruoli, La Nuova Decade comprende due grandi aree, quella dedicata all’analisi di opere narrative, sia classiche che contemporanee, per investigare in chiave psicoanalitica ciò che contraddistingue l’essere umano (la sua interiorità, le sue relazioni interpersonali, il rapporto da conscio e inconscio), e quella dedicata alla filosofia, che attraverso articoli di saggistica e dialoghi filosofici a due voci, cerca di fare luce sulle tante sfaccettature che definiscono l’essenza dell’uomo, nonché la realtà in cui siamo immersi. Accanto a questa struttura di base, ci piace inserire nei vari numeri anche contenuti diversi, in grado di stimolare la nostra curiosità e quella dei lettori, per cui si possono trovare interviste a personaggi del mondo dell’arte, brevi excursus storici o cinematografici e altre novità che per il momento non sveliamo per non perdere l’effetto sorpresa.Sebbene i nostri due ruoli possano sembrare distinti, in realtà lavoriamo insieme in modo creativo e collaborativo. Entrambi partecipiamo alla realizzazione della linea editoriale, entrambi portiamo idee e proposte per i numeri da realizzare, pertanto il nostro è un rapporto ideativo assolutamente alla pari e di continuo scambio. Infine, riteniamo interessante il fatto di rappresentare all’interno della rivista sia una voce femminile che una voce maschile, le quali, lungi dal voler apparire contrapposte, desiderano dialogare insieme, senza che nessuna delle due prevalga sull’altra, a testimonianza che maschile e femminile sono due dimensioni entrambe preziose, specialmente quando entrambe portano il proprio contributo, anche sul piano culturale, in modo dialogico e armonioso.»Avete scelto di dare particolare risalto all’uso delle immagini, suggestive e d’autore, che per voi non hanno soltanto una funzione grafica. Potete approfondire questa decisione?«Come redazione crediamo molto nell’interconnessione sia tra le diverse forme d’arte, sia tra le diverse forme di espressione. Per questo motivo, accanto al linguaggio delle parole, abbiamo deciso di dare ampio risalto al linguaggio delle immagini. Per noi la scelta delle illustrazioni non avviene soltanto su una base estetica, ma anche comunicativa, in quando cerchiamo immagini che possano amplificare il potere evocativo delle parole e mettere in evidenza le tematiche più significative presenti negli articoli.La ricerca delle immagini è un lavoro lungo e laborioso: esse devono creare armonia grafica, essere in equilibrio tra loro e con i contenuti della rivista e allo stesso tempo possedere quel potere suggestivo, a tratti onirico o surreale, che permetta al lettore di addentrarsi anche nel proprio mondo psichico.Per scelta, inoltre, abbiamo voluto inserire non illustrazioni qualsiasi, ma opere d’arte e d’autore, che possano impreziosire la rivista e renderla, da un certo punto di vista, un prodotto anche da collezione.»Vi avvalete di una piattaforma, issuu.com, dove è possibile scaricare gratuitamente la rivista, per consentire una divulgazione più ampia e immediata. Come conciliate l’aspetto divulgativo con quello dell’approfondimento?«Per noi l’aspetto divulgativo e quello dell’approfondimento sono strettamente intrecciati. Da un lato ci piace l’idea di divulgare i temi che ci appassionano e che ci interessano, temi che siamo noi stessi ad approfondire prima ancora di trasformarli in articoli per la rivista. Allo stesso tempo, come ama dire Edoardo, siamo stati coraggiosi, nel senso che abbiamo voluto scommettere sull’esistenza, ancora oggi, di un pubblico di lettori capace di approcciarsi a un modello di fruizione di contenuti che non è quello tipico del web (spesso caratterizzato da contenuti brevi e “virali”) bensì a quello più tradizionale, caratterizzato da contenuti di più ampio respiro, che richiedono tempo e concentrazione per essere letti e assaporati. Se dunque una piattaforma online, come quella che usiamo noi per diffondere la rivista, resta una scelta privilegiata per una realtà appena nata e gratuita come la nostra, nondimeno la volontà d’inserire tra le nostre pagine articoli ben approfonditi rispecchia anche quello che noi crediamo essere un bisogno delle persone: tornare in contatto con un tempo più lento, più “interiore”, che faccia da contrappeso al tempo della modernità, dove tutto scorre talmente veloce da non permettere più un vero contatto con il proprio mondo interiore e con proprie capacità riflessive.» La vostra è una fusione delle arti (filosofia, psicoanalisi e letteratura) che riconducono tutte a un’esplorazione di se stessi, proprio come accade in tutte le storie che leggiamo, in cui l’eroe si mette in cammino per tornare, prima o poi, a casa. Gli articoli proposti sono infatti veri e propri focus su tematiche esistenziali, pertanto esaustivi e approfonditi. Proponete, insomma, una lettura introspettiva che prevede un tipo diverso di fruizione dell’informazione da quello a cui siamo abituati ormai da alcuni anni. Ci spiegate, ricorrendo ad alcuni riferimenti del primo numero della rivista, in cosa consistono i vostri articoli?«Il primo numero della rivista si è molto concentrato su tematiche riguardanti il Sé e il rapporto tra luce ed ombra all’interno della psiche umana (rapporto luce-ombra che è stato ripreso anche in un ampio articolo riguardante le connessioni tra cinema horror in bianco e nero e inconscio dello spettatore). Dal punto di vista letterario (attraverso la disamina di romanzi come Delitto e Castigo, Il ballo o L’età incerta) abbiamo scandagliato tematiche psicologiche complesse, tra cui la triade colpa-perdono-redenzione e il rapporto tra adolescenza ed età adulta. D’altro canto, nei numeri successivi, è nostra intenzione ampliare il panorama investigativo, portando sotto la nostra personale lente d’ingrandimento nuovi argomenti e nuovi nuclei tematici, tra cui la filosofia orientale e il legame sia tra l’Io e l’altro, sia tra l’Io e la società.Per quanto riguarda il modo di lavorare di Edoardo, egli parte da un’idea filosofica, idea che lo porta ad approfondire quel particolare tema, così da offrire ai lettori un articolo che sia il più completo e il più comprensibile possibile. A seconda degli argomenti, naturalmente, alcuni focus saranno più ampi, come nel caso del concetto di Ombra in chiave filosofica, altri saranno più ristretti e mirati, come nel caso del concetto di non-azione secondo il Taoismo. Per quanto riguarda l’approccio di Manuela invece, ella parte da una storia che per qualche ragione l’ha affascinata o colpita, e al cui interno risiedono aspetti per lei interessanti sul piano psicoanalitico. A quel punto, addentrandosi nello studio dei personaggi, delle ambientazioni e dei dialoghi, cerca di mettere nero su bianco una serie di riflessioni che possano stimolare nel lettore una maggiore presa di consapevolezza del proprio universo psichico e dei molteplici modi con cui gli esseri umani si relazionano con se stessi, con gli altri e con la realtà che li circonda.»La Nuova Decade è rivolta a un ampio pubblico, senza distinzioni di credo in particolare, in un’ottica maieutica, socratica, della conoscenza. Siamo curiosi di sapere, a questo punto, come vi piacerebbe fosse risucchiato il lettore nei vostri articoli e come ne dovrebbe uscire, a fine lettura?«Trattandosi di una rivista, il primo aspetto che ci auguriamo di trasmettere è la piacevolezza della lettura. Siamo lieti, infatti, all’idea di fare compagnia ai lettori attraverso i nostri articoli e, perché no, anche attraverso il fascino, a tratti gotico e un po’ inquietante, delle illustrazioni d’autore. Oltre a ciò, è nostro desiderio che ciascun lettore venga stimolato a riflettere sui contenuti della rivista. Il nostro scopo non è quello di fornire verità pre-confezionate o chiavi di lettura assolute della realtà. Al contrario, speriamo di contribuire a sviluppare nuovi interrogativi, nuove prospettive, nuovi spunti di riflessione, sicché ciascun lettore possa incrementare la propria crescita personale e interpersonale. Come ponte ideale tra passato, presente e futuro, per noi La Nuova Decade vuole essere un laboratorio culturale, attraverso cui rilanciare un dibattito intellettuale e artistico, senza pregiudizi e senza distinzioni di natura politica, religiosa o sociosanitaria. Allo stesso tempo, ci fa molto piacere quando i lettori stessi, incuriositi dalle tematiche presentate nei nostri articoli, si sentono invogliati ad approfondire ulteriormente gli argomenti, attraverso una ricerca personale che va oltre quanto proposto nelle nostre pagine. Questo andare “oltre” rappresenta per noi la costruzione di quella rete culturale che ci auspichiamo possa portare alla nascita di ponti ideali non soltanto tra i saperi, ma anche tra le menti delle persone.»Potete anticiparci quale sarà il focus del prossimo numero de La Nuova Decade e qualche altra curiosità?
«I nuclei tematici principali su cui verterà il secondo numero della rivista sono essenzialmente tre.In ambito letterario e psicoanalitico, ci concentreremo soprattutto sul concetto di follia. Partendo da romanzi classici, come il Doctor Faustus di Thomas Mann, e da romanzi moderni dai contorni allucinati alla Philip Dick, cercheremo di esaminare il sottile confine tra realtà e incubo, sanità e pazzia, nel singolo come nella società. In ambito filosofico, invece, ci concentreremo da un lato sulla filosofia orientale taoista, prendendo in esame (l’apparentemente) paradossale concetto dell’agire non-agendo, dall’altro lato ci addentreremo in un dialogo filosofico a due voci in cui proveremo a rispondere alla domanda se siamo davvero entrati nel ventunesimo secolo o se per molti aspetti siamo ancora immersi nel ventesimo secolo. Analizzando le relazioni tra Tempo e Società, cercheremo anche di mettere in risalto alcune delle caratteristiche di questo nuovo millennio, senza perdere di vista ciò che lo unisce e ciò che lo distingue dalle epoche passate, in particolare dal Novecento da cui tutti noi proveniamo. Come redazione non ci resta dunque che ringraziare Mi libro in volo per quest’interessante intervista e invitare le persone che lo vorranno a sfogliare La Nuova Decade. Amiamo anche ricevere i feedback e i commenti dei lettori, quindi non esitate a scriverci sui nostri canali ufficiali!»Edoardo Gagliardi (Ph.D.), filosofo e giornalista. Ha studiato filosofia all’estero e si occupa principalmente di metapolitica, filosofia della storia, filosofie orientali, metaetica ed estetica. Resta tuttavia interessato anche ad altri ambiti filosofici. Ha ideato il canale Youtube “Metapolitics”. Parallelamente svolge attività di giornalista e conduttore televisivo.
Manuela Bassetti, medico e psicoterapeuta. Dopo la laurea in medicina e chirurgia, presso l’Università Vita Salute San Raffaele di Milano, si è specializzata in psicoterapia a indirizzo psicoanalitico. Ha lavorato come libera professionista nel campo della psicotraumatologia, dei disturbi d’ansia e dei disturbi del comportamento alimentare. Nel tempo libero si dedica alla scrittura di romanzi per ragazzi.
Le immagini inserite nell'articolo sono tratte dal primo numero de La Nuova Decade
“Natale non è Natale senza regali”, si lamentò Jo, sdraiata sulla coperta.
“È così spiacevole essere poveri!” sospirò Meg, abbassando lo sguardo sul suo vecchio vestito.
“Non è giusto che alcune bambine possano avere tutto ciò che desiderano e altre non abbiano niente”, aggiunse la piccola Amy, tirando su con il naso con aria offesa.
“Ma abbiamo il papà e la mamma, e la compagnia una dell’altra”, disse Beth compiaciuta dal suo angolo.
A queste parole la luce del caminetto sembrò come ravvivare i quattro giovani visi, che però si rabbuiarono subito quando Jo disse tristemente: “Ma papà non c’è, e non lo vedremo ancora per molto.” Non disse “forse mai”, ma ciascuna di loro aggiunse in silenzio queste parole, pensando al padre lontano, sul campo di battaglia.
(Piccole donne, Louisa May Alcott)
Quello che avete appena letto è fra gli incipit più noti della letteratura mondiale che ci ricorda l’arrivo della festa più attesa dell’anno e lo spirito con cui la accogliamo. Dal latino natus, nato e dal suffisso alem, appartenenza, il Natale è augurio di nascita, nuovo inizio, ricco di speranza. Quello che stiamo vivendo è davvero così? Sentiamo ancora viva in noi la speranza di giorni a venire più sereni e meno incerti? In fondo, nell’era della società capitalista occidentale non ci mancano mai i regali, qualcosa che desideriamo avere o ricevere è sempre sotto l’albero, al caldo, in casa. Ma gli affetti? Molti ci sono stati portati via negli ultimi due anni in maniera brusca e inaspettata. Abbiamo perso da un giorno all’altro parenti e amici con i quali eravamo certi di poter trascorrere più tempo assieme. E invece non siamo riusciti neanche a salutarli per un’ultima volta. E fra questi, molte figure paterne.
“Ma papà non c’è, e non lo vedremo ancora per molto.”
Un Natale senza un papà sembra in contraddizione con l’immagine della figura che simboleggia questa Festa. Protettore dei bambini come narrano antiche leggende, tutti lo attendiamo la notte fra il 24 e il 25 dicembre. I piccoli preparano ancora una tazza di latte con biscotti per lui, i grandi si ingegnano per mantenere a lungo intatta la fiducia in lui. Un papà a Natale è sempre presente nelle nostre case e nei nostri cuori. Ma quest’anno? Ci sentiamo tutti probabilmente un po’ Jo, oggi, consapevoli che il papà non è accanto a noi, a proteggerci.
“La domanda di padre non è più domanda di modelliideali, di dogmi, di eroi leggendari e invincibili, di gerarchie immodificabili, di un’autorità meramente repressiva e disciplinare, ma di atti, di scelte, di passioni capaci di testimoniare, appunto, come si possa stare in questo mondo con desiderio e, al tempo stesso, con responsabilità.”
(Il complesso di Telemaco, Massimo Recalcati)
Nei libri, di papà ce ne sono tanti e con caratteristiche diverse. Buoni, cattivi, presenti, assenti. Soprattutto assenti. Se ci pensiamo, l’eroe e l’eroina sono quasi sempre orfani di padri. Come mai?
Sempre il già citato Recalcati, nel suo saggio Cosa resta del padre afferma che il padre donatore compensa la “rinuncia al godimento più immediato con l’offerta di un’identificazione idealizzata, con la trasmissione, più precisamente, del diritto di desiderare un proprio desiderio.”
Babbo Natale soddisfa i nostri desideri, i regali a cui pensiamo da mesi. Chiediamo sempre ai bambini. “Cosa ti porterà, quest’anno, Babbo Natale?” per essere certi di non sbagliare regalo e renderli felici. Ci aspettiamo sempre il sorriso sui visi dei piccoli il giorno di Natale, sotto l’albero, mentre scartano i regali. Ma se Babbo Natale non arrivasse, cosa accadrebbe? I bambini scoppierebbero in lacrime e il nostro cuore si stringerebbe in una morsa terribile.
In molte storie questo accade. Non sempre c’è una mano amorevole che sorregge e si allarga in donazioni. L’eroe impara a stare al mondo da solo, attraversando il bosco e affrontando prove inaudite. Sconfigge draghi e mostri, si inabissa in caverne oscure e arriva ai confini del mondo. E ce la fa, senza un padre accanto, trovando la Legge dentro di sé.
In altri romanzi del ventesimo secolo annoverati fra i classici per ragazzi, i giovani protagonisti devono fare i conti con figure paterne scomparse o misteriose. È il caso de La piccola principessa dell’autrice britannica Frances Hodgson Burnett e di Papà Gambalunga della scrittrice statunitense Jean Webster. Sia Sara Crewe che Judy Abbot vivono il peso della solitudine degli orfani abbandonati e incompresi. La prima passa da una fase idilliaca della sua infanzia a una condizione di povertà, la seconda da sempre deve fronteggiare momenti di privazioni affettive. Fino a quando arriva un benefattore sconosciuto, sempre uomo, che si occupa del loro sostentamento.
“Sarebbe facile essere una principessa se avessi vestiti eleganti e costosi, ma esserlo sempre dentro di me, all’insaputa di tutti, è un trionfo ancora più grande.”
(La piccola principessa, Frances Hodgson Burnett)
“Credo che la qualità più importante in una persona sia l’immaginazione. Rende la gente capace di mettersi nei panni degli altri. Li rende più gentili, comprensivi e sensibili. ”
(Papà Gambalunga, Jean Webster)
Entrambe le protagoniste capiscono che la vera assenza vive dentro loro, che la forza deriva dalla consapevolezza che anche senza un padre rassicurante accanto si può imparare a lottare da sole.
Il coraggio più grande, ci insegnano queste giovani eroine, è proprio quello di sopravvivere all’assenza di quella figura che più di tutti rappresenta la Legge, il limite al desiderio. Ma prive di desiderio esse non restano. La vita da avversa si trasforma in opportunità, perché forse quel padre non si è sottratto per crudeltà, la sua assenza, paradossalmente, non è crudele, non è il disfacimento della giustizia e dell’amore, ma proprio il recupero dell’alterità perché neanche il padre può assurgere alla funzione di assoluta e sicura verità della nostra esistenza. Un padre può sparire, può nascondersi, può morire, ma noi artefici della nostra vita possiamo continuare a desiderare, con le nostre rinnovate forze, riconoscendo che un padre (la Legge, la certezza) può mancare all’appuntamento con l’amore ma non per questo renderci meno innamorati di noi e della vita.
Forse quest’anno Babbo Natale non entrerà nelle nostre case, ma possiamo provare a sentirci meno soli con noi stessi, nonostante lo smarrimento che ci circonda, affidandoci all’immaginazione, come ci insegnano molti eroi dei libri, per arrivare a credere che il nostro papà, dal campo di battaglia, tornerà vittorioso e con braccia più forti per riabbracciarci.
La silloge poetica dell’autore romano Flavio Ferraro, Il Silenzio degli oracoli edito da Edizioni L’Arcolaio, si apre con un invito al lettore a farsi rapire da una sorta di rito: attraversare il cerchio di fuoco per uscirne, forse, fenice perché, per dirla con un altro suo verso: “attraversare non è nulla”. Ma al contempo è pericoloso l’incoraggiamento a colmare il fondo di un vortice nel quale sarà immerso, perché trovarlo sarà difficile.
Eppure, nonostante il prologo epico, il poeta cerca la fissità, la forma necessaria, tende a cristallizzare il brivido che l’onda dei suoi versi provoca nel lettore.
“tu custodisci una parola straziata./Uno spazio aperto ai vènti.” O ancora: “la tua ombra, quieta, che si staglia,/a dire il vuoto d’ogni pietra:”
Arriva sempre, nei versi di Ferraro, una immagine statica. Qui è la pietra, che però si contraddice con il suo vuoto. Una estetica del vago contenuto nella forma, un ammonimento all’impossibilità di cristallizzare l’emozione:“Non puoi chiudere gli occhi. /Ci sono stelle, alberi curvi in ascolto,” oppure “parola che perdura,/ svanendo”.
In alcune strofe le sinestesie richiamano immagini vivide, come l’albero neve che affonda le sue radici nella terra per sollevarlo, in altre, più sibilline, il tono si fa più travolgente, come nei versi che esondano in atmosfere acquatiche, talvolta putride come stagno, altre limpide come un fiume, chiare come la luce che nasce dal fondo.
“Che il mondo è mondo,
la terra è terra,
e noi destino.”
L’uomo è l’essere cha la calpesta, la terra, vagando nel mondo e facendo il suo cammino (destino). La vita dell’uomo sembra uno strappo dall’infinito sopra di lui. L’uomo cammina sotto la volta celeste, gettato nel mondo alla ricerca della sua luce. Perché l’uomo è chiamato dall’Uno, non può chiamarlo da sè, non commette gesti titanici, ma sembra subire quelli di una dimensione altra, prima di poter ricongiungersi all’Uno. “Non fondare né distruggere,/ ma dirigersi, sempre.”
“Questo buio spazio di terra
già cade verso l’alto
rompere
un vaso e poi indovinarne
la forma – sarà questo,
scendere nel buio.”
Il buio sembra aprire un varco, quasi permettesse di comprendere.
“Se molto deve scendere
nel buio, affinché
molto accada”
Il buio è misterioso, è come una rivelazione, ma il poeta non svela, sembra che nasconda una verità di cui aver paura, il buio nei suoi versi provoca terrore. È una dimensione ben lontana dal cerchio di fuoco che coraggiosamente invitava ad attraversare.
“Chiudi gli occhi,
e dimmi se resistono
i colori.”
Più si procede nella lettura e più si fa nitida la paura di smarrirsi, di perdere l’equilibrio e il contatto con la realtà, di finire nel buio, senza colori. Il poeta vorrebbe smarrirsi nei sogni, ma sa che non è più possibile, essi sono prigionieri in un recinto.
Quello raccontato da Flavio Ferraro è un presente di sfacelo, di costante smarrimento senza approdo, di un il dolore che non finisce, e se non finisce, non c’è amore, non lo si può donare: “nel mio sangue ti specchi,/e non sai dove svernano le rose.”Non c’è incoraggiamento a stare nel buio e a farsi penetrare da esso, per conoscerlo e infine vincerlo, o meglio assimilarlo al proprio sé.
Il silenzio degli oracoli è una silloge pervasa da una poetica del dualismo, dove luce e buio sembra non possano incontrarsi. Paralizza questo dualismo, lo stesso poeta, che usa parole e immagini immobili, fredde, statiche. L’oscuro resta inconoscibile.
“Ti lascio questa fede paziente, /questa pietra amorosa /nell’accogliere il fondo, (…) Ti lascio parole /A cui non credo.” O ancora: “Sai, non c’è desiderio/che ci colmi, né precipizio/che al vuoto ci conduca.”
È proprio come se fossimo già nel vuoto e vivessimo in esso, il precipizio non è occasione.
“Non sperare nell’abisso.”
Anche il potere della parola è debole: “Siamo lontani da qui (…) il prodigio che sognavi,/ quell’urna che dicevano,/ traboccante brezza.”
Non più ode all’immaginazione, dunque, alla stregua della poetica romantica di Keats. Così come, sempre attingendo dai poeti romantici inglesi, l’uomo è destinato a non potersi elevare, perché “Tigre immemorabile, sei qui nel cuore di ognuno, assorta in ampiezze.” La tigre di William Blake è la creatura che abita la notte, incarna il lato oscuro dell’uomo che Ferraro rifugge e denuncia, e che quasi teme, perché lontano dall’esperienza del divino in termini cristiani. Ma se il poeta inglese auspicava la possibilità umana di vedere oltre la realtà fisica attraverso il potere immaginativo, ne Il silenzio degli oracoli la parola non ha valore catartico.
“Si dicono parole per placare/ la distanza (…) ma c’è una parola/ che non colma non adorna/ sue figure, sola perdura/ e in sé raccoglie/ ogni suprema sapienza/ – ecco, ascoltala,/ colei che non chiama.”
Perché la parola, per il poeta, rasenta il disadorno e crede a ciò che appare, non può riempire un senso che sfugge nel buio, che non è un chiaroscuro, una dimensione medianica.
L’umanità non è più in grado (o degna) di gesti titanici o sacrificali, perché “non sono gli Dei ad oscurarsi, ma i vostri occhi indegni della Luce.” O ancora: “io so che la notte è l’ultima tentazione/, e come l’orizzonte resta indietro.”L’uomo è dunque cieco, incapace di cogliere i messaggi nascosti, di leggere gli oracoli, così come si afferma nel componimento che ricorda la parabola kafkiana “Davanti alla legge”:
“C’è una Porta, nel centro/ del Sole, oltre la quale/ il tempo non è più./ Ma se tu, giungendo fino/ ad essa, dicessi “sono io”:/ non entreresti, fossi anche/ l’angelo più alto./ Non perché tu abbia/ un nome, sia chiaro;/ ma poiché il tuo nome/ non è ancora il Suo.”
Ma se nella prima parte della silloge l’umanità è destinata a vivere perennemente nel vuoto, il precipizio non è contemplato come occasione di confronto con la tigre che alberga in ogni individuo, nella seconda i versi assumono un ritmo più incalzante, si animano di nuovo ardore, un ardore che si traduce in oracolo, come se la Verità, prima nascosta e irraggiungibile, adesso trovasse un approdo. Se prima il precipizio non donava possibilità, adesso è necessità, perdersi diventa il mezzo per raggiungere la meta.
Il poeta sembra quasi ammetterlo, affermando che “Il Mito è sempre vero (…) la Porta stretta,/ l’Albero dai frutti d’oro,/ il Ponte periglioso/ non furono mai,/ ma sono sempre.”Scheda del libroAutore: Flavio FerraroGenere: PoesiaCasa editrice: L’ArcolaioPagine: 200
Prezzo: Euro 15,00EAN: 9788899322830Chi è Flavio FerraroFlavio Ferraro è nato a Roma nel 1984. Poeta, saggista, studioso di dottrine metafisiche e conferenziere, scrive articoli per varie riviste e giornali online, tra cui Il Primato Nazionale, Il Pensiero Forte, Axis Mundi e L’Intellettuale Dissidente. Tra le sue ultime pubblicazioni: La malvagità del bene. Il progressismo e la parodia dellaTradizione (Irfan, San Demetrio Corone 2019); la traduzione delle Odi di John Keats (Delta 3, Grottaminarda 2021); e il libro che raccoglie tutte le sue poesie, Il silenzio degli oracoli (L’Arcolaio, Forlimpopoli 2021).
“Le parole di un libro bruciano più del fuoco. Vivono più del fuoco.”
Questa, nonostante la finzione, è una storia vera. Una storia che noi tutti conosciamo come un capitolo oscuro del secolo scorso. Una storia che testimonia come il male può tramutarsi da indifferenza a normalità.
Ma è anche una storia che in molti punti brilla, di una luce che scalda, quella del bene e della solidarietà. E Giorgio Perlasca è stato un barlume di speranza di questa storia. Un uomo coraggioso e altruista, che ha saputo prendersi cura di un gruppo di uomini indifesi e disorientati, regalando loro forza e fede.
E ancora oggi non tutti conoscono la sua storia.
Sara Rattaro ce la consegna in un libro di narrativa per ragazzi I miracoli esistono. Storia di Giorgio Perlasca edito da Mondadori che appassiona anche il pubblico adulto, il quale fra le pagine sente accorciarsi lo scorrere del tempo, poiché quella storia è più vicina ai grandi che ai piccoli.
Era la fine degli anni ‘80 quando si cominciò a sentire parlare di lui, di un uomo giusto che salvò la vita a molti ebrei nella Budapest del 1944, dove si finse ambasciatore di Spagna, e grazie a quella bugia riuscì a impedire una serie di massacri da parte dei nazisti. Fermò il tempo più di una volta, allungò quello della possibilità dilatando il tempo della speranza.
Lo conobbe di persona Brigitte, la protagonista de I miracoli esistono che, adolescente, percorre le strade di Budapest con un peso sul cuore: non poter vivere la spensieratezza della sua età.
Nella sua città, l’avanzata nazista divide la popolazione: da una parte gli ebrei privati dei loro beni e sempre più della libertà, dall’altra gli abitanti che di fronte a tutto ciò voltano lo sguardo dall’altra parte, incapaci di opporsi al male che avanza.
Di questa storia è all’oscuro Alice, dodicenne del 1987, che trascorre i suoi pomeriggi assieme all’anziana vicina affettuosa, la quale le insegna a cucinare squisiti dolci e, nei momenti di sconforto, le porge tazze di cioccolata calda dall’ingrediente segreto. Questa donna è Brigitte, la cui storia si intreccia a quella di Alice, che imparerà il coraggio di saper dire di no alle ingiustizie che tormentano la sua vita di studentessa delle medie.
“Non riuscivo a smettere di pensarci. Tutto quanto mi aveva raccontato Brigitte della sua storia a Budapest si mescolava con quanto stava accadendo a scuola.”
Fra le pagine de I miracoli esistono si sente il profumo della cioccolata e si ingoia l’amaro di una verità troppo dolorosa da mandare giù. Si mescolano la dolcezza dell’affetto di chi crede ancora nella forza dei miracoli e la durezza di una realtà che il tempo non è riuscito ancora a sciogliere.
“Ogni mattina, appena il sole spuntava, mi recavo accanto al cancello ad aspettare. Un giorno, forse il più freddo, mio padre mi accompagnò e si sedette accanto a me. «Perché ci odiano?» gli domandai, tenendo le ginocchia abbracciate al petto. Lui mi guardò a lungo prima di rispondere. «Ci considerano diversi e le persone hanno spesso paura di ciò che vedono diverso.» Avrei voluto dirgli che la loro non era paura ma crudeltà, che quando si ha paura si scappa come facevamo noi, ma in fondo capivo cosa volesse dire. «Diversi?» mi limitai a rispondere. «Io ho i capelli biondi e gli occhi chiari… Cosa c’è di così diverso?» «Non fare il loro stesso errore, tesoro! Non è mai una questione di aspetto, di pelle o di razza. Loro ragionano così, ma il cuore pulsa dentro le persone nello stesso identico modo. È questo che ci rende uguali.» Abbassai lo sguardo a terra e lui continuò. «Quello che sta accadendo non troverà mai una spiegazione. Non ci basterà una vita per capire. Noi accendiamo le candele dello Shabbat, frequentiamo la sinagoga, siamo ebrei. Dobbiamo esserne orgogliosi.»”Il Giusto Giorgio Perlasca, 31 gennaio 1910 – 15 agosto 1992
E mentre la speranza vacilla, nonostante l’odio, la violenza e la codardia, Brigitte non si arrende, continua a lottare grazie alla determinazione di Perlasca, sempre accanto a lei, pronto a donarle speranza, a permetterle di credere ancora nei sogni.
«Questa guerra è vera. Quello che vi stanno facendo è vero. La fame e il freddo sono veri, ma anche l’impossibilità di uscire e la certezza di venire torturati e uccisi dai nazisti se vi allontanate da qui sono vere. Sei sicura che sia la verità quello di cui abbiamo bisogno ora?»
Una bugia salvò molti ebrei nei giorni in cui Budapest era assediata dai nazisti, sempre più smarriti e capaci di commettere le più gravi atrocità, mentre i sovietici erano quasi alle porte.
Una rischiosa bugia li salvò, e quella bugia si trasformò nell’unica verità possibile:
“Se vuoi salvare qualcuno ti importa solo che sia un essere umano.”
La penna di Sara Rattaro incide una verità difficile, stemperata da un tratto morbido che la rende più comprensibile ai ragazzi perché, se riuscire a spiegare la verità di questa storia resta impossibile, provare a raccontarla da una prospettiva più umana è possibile. Ed è questo il pregio della narrazione dell’autrice de I miracoli esistono: non aver sottratto al dramma il pubblico giovanile, ma essere riuscita a calarlo completamente in una vicenda che è stata e che può essere ancora, nella consapevolezza che a fare la differenza sono le scelte che ognuno, nel proprio piccolo, decide di compiere.
I miracoli esistono, corredato dalla preziosa prefazione di Franco Perlasca, figlio del nostrano eroe raccontato, è dunque un romanzo di formazione, dove la maestra è proprio la storia con i suoi drammi e i gesti umani che le sopravvivono.
“… il male non è mai radicale, ma soltanto estremo (…) Solo il Bene ha profondità, e può essere radicale.” (Hannah Arendt)Scheda del libroAutore: Sara RattaroGenere: Narrativa per ragazziCasa editrice: MondadoriPagine: 176
Prezzo: Euro 16,00EAN: 9788804743903
Le illustrazioni di copertina sono di Francesca D’Ottavi.
Chi è Sara Rattaro
Laureata in Biologia e Scienze della comunicazione, Sara Rattaro ha conseguito il master in divulgazione scientifica “Rasoio di Occam” e ha lavorato come informatore farmaceutico prima di dedicarsi completamente alla sua grande passione, la scrittura. Ha esordito nel 2010 con Sulla sedia sbagliata vincitore nel 2015 del premio Speciale “Fortunato Seminara” al Rhegium Julii pubblicato per Morellini Editore, per cui dal 2019 coordina la collana di narrativa Varianti. È autrice di grandi successi, a partire da Un uso qualunque di te pubblicato per Giunti nel 2012, che in poche settimane scala le classifiche dei libri più venduti, a cui segue per GarzantiNon volare via grazie al quale vince il Premio città di Rieti 2014, mentre nel 2016 con Splendi più che puoi si aggiudica il Premio Rapallo Carige per la donna scrittrice. Successivamente con Sperling & Kupfer pubblica L’amore addosso, Andiamo a vedere il giorno e Una felicità semplice. Per Mondadori scrive nel 2017 il suo primo romanzo per ragazzi, Il cacciatore di sogni, cui segono nel 2019 Sentirai parlare di me , nel 2020 La formula segreta e nell’ottobre 2021 I miracoli esistono.
“Ho letto e appreso che visualizzare i desideri con forza, credendoci, contribuisce a renderli reali e mi sono convinta di questo fatto.”
Sono donne, ma prima bambine e poi fanciulle le protagoniste della raccolta di racconti di Flora Crosara, tante Kore che inaspettatamente la vita fa precipitare giù nell’Ade, a esplorare una dimensione più oscura della realtà fino a quel momento vissuta. Una realtà fatta spesso di rinunce, fatiche e dolori soffocati. Figlie di una generazione che ha dovuto guadagnarsi le conquiste con sacrifici, figlie di una educazione rigida, figlie di affetti mancati, che crescono spesso come madri anaffettive, madri che non hanno mai conosciuto l’età della spensieratezza o il desiderato vero amore.
La raccolta è dunque la storia di un femminile che sboccia lentamente lungo la strada della vita e dispiega i suoi petali sotto i raggi dell’età matura, facendo spazio a nuove speranze.
«Il suo cuore non sanguinava più, aveva una ragione di vita in cui credere. Stare accanto alle persone che soffrono talvolta è un po’ terapeutico per chi ha sofferto (…) C’era posto per la speranza e a essa Maddalena si apriva con tutta l’anima, in un “forse” che lasciava spazio a nuovi, possibili scenari.»
Quelle raccontate dall’autrice sono storie che mettono in luce la complessità della relazione femminile. Sono le stesse donne a inimicarsi spesso fra di loro, nella costruzione di legami ambigui e difficili da ricucire, di ire da sciogliere in lacrime e ritrovati sorrisi.
Sono storie di brave bambine che covano rabbia, inconsapevoli di possedere un paio d’ali per spiccare, prima o poi, il volo.
«Che brava bimba! Così educata, tanto a modo, silenziosa… Gioca senza disturbare!” Commentavano le amiche della mamma in visita per il tè, ma anche le persone che frequentavano la casa la consideravano un angioletto. Lo era diventato, sì, un angioletto infelice e privo di ali.»
Sono storie in cui l’autrice rivela una attenzione particolare per i sentimenti più puri che risiedono nel cuore di anime innocenti, in particolar modo verso il mondo dell’infanzia, quando emergono reazioni eccessive spesso incomprese dagli adulti, sentimenti sconosciuti alle stesse piccole vittime.
«Lasciare una persona cara è sempre stato per me una cosa bruttissima. Ricordo certe mattine, davanti al portone della scuola quando dovevo salutare la mamma, che andava a lavorare: pensavo che non l’avrei più rivista e dunque sarei rimasta sola. Allora ero presa dalla disperazione, piangevo, poi mi vergognavo di fronte ai compagni. Inventavo scuse come “piango perché un gran mal di pancia”, oppure “ho una gran tristezza e non so perché”; però era tutto finto perché io, Gaia, conoscevo benissimo la causa del mio male, ma non potevo dire la verità: avevo nostalgia di mia mamma e paura che lei non tornasse a prendermi! Mi avrebbero presa per una matta. E io mi vergognavo, tanto!»
Sono storie di un femminile negato, quando ancora la parte Anima, intesa in senso junghiano, non viene riconosciuta come lato inconscio nel maschile. Sensibilità, creatività ed empatia sono prerogative che vengono da sempre attribuite esclusivamente alla donna, portando l’uomo a rinnegare questa parte interna di apertura, più luminosa.
«Dai, dottore”, esplose Fabrizio con la sua voce tonante, leggermente incrinata dalla commozione, “lo sai, vero, che anche quel genio di Freddy Mercury era omosessuale? E pure Saffo, la grande poetessa! Che c’è di male? Tu da ora sarai per tutti soltanto il dottor Amos, genio del bisturi. E io sono fiero di averti come amico”. Bastarono le parole di quel padre, che aveva rischiato di perdere suo figlio, per comprendere quanto non sia la condizione sessuale a determinare il valore di una persona. Servirono a sancire una profonda verità: sono le idee che stanno nella nostra testa a determinare i pregiudizi, ognuno può contribuire a costruire un mondo migliore, diverso da quello condizionato e condizionante in cui, purtroppo, spesso viviamo.»Uno sguardo sulla vita è un esordio istintivo e appassionato, condito spesso da note sentimentali e caratterizzato da un ritmo narrativo che perde di intensità negli epiloghi, a volte frettolosi.
I racconti dell’autrice astigiana Flora Crosara sono, infine, storie intrise di un simbolismo inavvertitamente potente, come quello delle immagini acquatiche. La paura per l’acqua, che appare minacciosa, ritorna spesso come una costante nella vita delle protagoniste. L’acqua ingoia, l’acqua trascina lontano, l’acqua fa smarrire dalle certezze costruite che alla prima ondata crollano e si rivelano in tutta la loro inconsistenza.
E così sono le donne, tante onde che si infrangono, ora dolcemente, ora ferocemente, sugli scogli della vita, smussando o affilando la roccia di una corazza che secoli di storia ha cucito loro addosso.
Scheda del libroAutore: Flora CrosaraGenere: NarrativaCasa editrice: Letteratura Alternativa EdizioniPagine: 168
Prezzo: Euro 13,90ISBN: 978-88-31468-13-8L’opera in copertina “Donne” è dell’artista Pablo TChi è Flora CrosaraEx-insegnante di educazione fisica e specializzata di sostegno per 43 anni, da quando è in pensione coltiva con maggior cura la sua passione di sempre: scrivere. Attraverso le sue storie racconta sentimenti e ideali comuni, offrendo la possibilità di ritrovare un po’ di sé e a volte riconoscersi. Moglie e nonna felice, ama la vita e crede che rimanere fanciulli dentro ci aiuti a godere della spensieratezza e della limpidezza infantile.
“Uno sguardo sulla vita” è il suo esordio con Letteratura Alternativa Edizioni, 2020.
“Negli abissi del disumano, il semplice umano abbaglia come una raffica di un lampo.”
(A grandezza naturale – Erri De Luca)
Che un libro può salvarci, l’ho sempre saputo. È per me una certezza, una delle poche che la vita può darci. Ma proprio perché limitate, queste certezze, di fronte all’immensa e umana indeterminatezza, sono solide.
In giornate in cui resti incurvata per ore su una scrivania, dove si accumulano fogli e le pareti intorno a te si riempiono di trilli e schiamazzi, nei corridoi il calpestio continuo rimbomba come la pesante lancetta di un orologio che preme contro il vetro, fuori c’è il sole, ma a te sembra che la notte non sia mai finita. È in queste giornate che senti di avere bisogno di un amico presente ma silenzioso, che sussurri parole che ti rimettano al tuo posto. Un libro che sappia riportarti a te.
A grandezza naturale di Erri De Luca, edito da Feltrinelli mi ha chiamata. Mi stava aspettando. Sapeva che sarei arrivata da lui quando il cammino si sarebbe fatto difficile, solo perché fuori tutto è perfetto, ma dentro è un rudere aggredito dalla muffa.
E le parole che mi ha porto le ho divorate, non con gli occhi ma con il cuore. Mi si è spalancato, affamato, e si è nutrito. Si è saziato di un piacere antico che torna a scaldare il petto con un calore rassicurante. Non più dietro la finestra, ma dentro, nel profondo.
Le parole giuste, al posto giusto, al momento giusto. Il momento perfetto per ritrovarsi.
Paroliere più che scrittore, sulla musica di un tempo che non ha misura, Erri De Luca trasmette la sua sapienza di studioso dell’ebraico, dell’amore per la parola, che lui traccia sul foglio con perfezione. La cerca, la insegue e la trova, sempre. Come chi cerca l’oro, la setaccia nel fiume di altre parole, e poi la fa splendere.
“Sono rimasto figlio di questo padre morto alla mia età di adesso. Anche se potrò morire più anziano di lui, rimango figlio. Non conosco il gradino profondo della paternità che produce il salto di generazione. Ignoro la sua grandezza naturale.”
E mi sono sentita figlia di un gigante con la penna fra le mani, ignara, ancora una volta, della grandezza di ogni sua parola.
“Si dice che sia il frutto a proteggere l’albero, non viceversa. Perché ci sia questa tutela bisogna che la pianta non sia spoglia, anzi feconda di germogli.”
Perché quello che ho letto ha illuminato la mia anima spenta, l’ha scossa e l’ha fatta vibrare. L’ha fatta librare.
Con eleganza, la parola di Erri De Luca balla sulla punta del cuore e accarezza come un velo di seta. E fra la piroetta di una digressione filosofica e un adagio di poesia, lo spettacolo rapisce e trasporta altrove.
“Marek è pronto per incontrare la faccia di suo padre. Il suo corpo è davanti a lui, mancano i tratti del volto che resistono alla messa a fuoco. Marek continua a vedere una foschia su quella faccia rimasta a mille miglia a oriente di Parigi. In Ebraico, oriente e prima sono lo stesso nome: “Kèdem”. Allora Marek sposta la tela verso oriente, anche se da lì non viene luce. Aspetta che sia sera e illumina a candele il cavalletto.”
E mentre le palpebre chiudevano il sipario di quel palco immacolato, attraversato da segni di parole, il respiro tornava a farsi regolare. Ho chiuso gli occhi su un mio giorno triste per aprirli in un sonno di luce.
Senza sapere dove la storia mi avrebbe condotta, mi sono addormentata nel trionfo di chi sa che sarebbe continuata, la storia e la certezza, che un libro mi ha salvato, ancora una volta.
“Eccomi qua: il solo tempo che possiede, il presente immediato, il giorno stesso.”
“… le parole sono delle piccole opere d’arte; quelle che fanno vibrare le anime come le nostre, come la mia, come la tua.”
(Scrivere. Alla ricerca di sé e del proprio stile – Stefania convalle 2019)
Ciao Stefania, sono davvero lieta di ospitarti nello spazio dedicato alle interviste di Mi libro in volo. Mi piacerebbe chiederti subito cosa ti lega alla scrittura e da quanto tempo.«Ciao Domizia, grazie per l’ospitalità, prima di tutto. Mi chiedi cosa mi lega alla scrittura… Non so risponderti, credo sia qualcosa che era dentro di me da tanti anni, ma è rimasta a lungo in fase embrionale, una sorta di lunga gestazione che ha trovato la sua strada da una quindicina d’anni, diventando, anno dopo anno, sempre più forte e parte di me. Non potrei più farne a meno.»I tuoi romanzi sono popolati per la maggior parte da personaggi femminili, dei quali esplori la complessa psicologia alle prese con dolori e grandi temi esistenziali, quali la solitudine e la violenza per citarne alcuni. Al contempo, però, utilizzi spesso la tecnica della coralità, che ti permette di calarti anche nei panni maschili. Come ti approcci a un personaggio uomo e cosa porti alla luce da questa immersione psicologica?«Mi piace percorrere la strada dell’immedesimazione nei diversi personaggi, uomini, donne, giovani, meno giovani, anziani. Ognuno con le sue problematiche di vita e i propri drammi. Forse è un modo per capire il mondo circostante e anche sé stessi. Penso infatti che ognuno di noi sia tanto di più, nel bene e nel male, di quello che si conosce.»Il silenzio addosso di Stefania Convalle – Edizioni Convalle, 2018In alcune delle tue storie compaiono alcuni personaggi quasi “magici”, dei veri e propri aiutanti per i protagonisti alle prese con la loro crescita interiore. Uno fra questi è l’anziana sciamana Carolina de Il silenzio addosso, che sa guarire profonde ferite dell’anima. Anche il romanzo successivo Anime antiche affronta un percorso di iniziazione alla vita attraverso il tema del Destino. Secondo te, oggi, la nostra vita è guidata dal destino o l’individuo è davvero l’artefice del proprio destino?«Credo che le sue strade – destino e artefice del proprio destino – viaggino insieme. Anche se, a prima vista, sembra una contraddizione, questa mia affermazione. Penso che ognuno di noi nasca con uno scopo, un talento, una missione… Il percorso interiore ci porta a comprendere quale sia la propria strada, se siamo disposti ad ascoltarci, naturalmente. E allora, ecco che diventiamo artefici del nostro destino, realizzando quel destino già scritto per noi. Penso anche che le tante infelicità esistenziali nascano proprio dal non comprendere questo e dal condurre una vita che non è quella per la quale siamo nati.»A questo punto, vorrei accennare a una altra tua inclinazione, che è quella della lettura dei Tarocchi. Per molti sicuramente potrà sembrare una attitudine slegata dalla scrittura, in realtà, come ci dice lo psicoanalista junghiano Claudio Widmann, leggere i tarocchi è proprio una attività di ricerca interiore. Non dimentichiamo che i Tarocchi sono immagini dietro le quali ogni osservatore può imparare a cogliere nessi e significati nascosti, e tu spingi spesso i tuoi autori a lasciarsi ispirare dalle foto. Ci parli del tuo rapporto con questa arte immaginale?
«La mia passione per i Tarocchi nasce da un’inclinazione verso un mondo esoterico, del quale la lettura delle carte fa parte. Per me è un linguaggio in codice, un tramite per comunicare con energie e dimensioni. La lettura delle carte, attraverso i simboli, può fare chiarezza in chi si rivolge a esse, a patto che chi fa da tramite si ponga come un mezzo, annullando l’ego e approcciandosi a questo ruolo con il cuore pulito.»
Anime antiche di Stefania Convalle – Edizioni Convalle, 2019Le tue storie sono spesso ambientate a Milano, una città che porti dentro di te, la tua Milano, di cui parli proprio come se fosse un personaggio. Nelle descrizioni, essa si anima, palpita di sentimenti perduti delle metropoli, come la solidarietà. Chi è per te, a questo punto, Milano?Milano per me è “la madre”. Mi ha insegnato a vivere la metropoli, ad aprirmi al mondo e agli altri senza paraocchi di sorta.»Protagonista indiscusso nei tuoi romanzi è l’amore, un sentimento che analizzi in ogni sua sfaccettatura, da quello genitoriale a quello di coppia. Dove ti porta, ogni volta, l’amore che racconti con grande perizia psicologica?«L’amore è il motore di tutto. Nei miei scritti parlo dell’amore universale, come concetto di vita.»Nel 2017 hai fondato la Convalle Edizioni, che tu ami definire “una casa editrice col cuore d’autore” Un gesto coraggioso ma anche passionale, quindi. Ci racconti come è nata la tua casa editrice e in cosa si distingue nel panorama letterario nostrano?«La differenza, in tutte le cose, la fanno le persone. Io ci metto il cuore, la passione, l’amore per gli altri, aiutandoli a realizzare il sogno di pubblicare. Cerco di farlo al meglio, rispettando lo slancio entusiasta che mi ha portato ad aprire questa casa editrice. Non è facile portare avanti un modello come il mio, dove decido sempre con il cuore e poco con il portafoglio. Ma quando sento l’emozione dei miei autori quando realizzano il sogno, beh, niente mi ripaga di più.»Quali sono i criteri principali con cui valuti un manoscritto che gli autori esordienti ti inviano?«Sicuramente valuto come si pongono, perché detesto l’arroganza e la presunzione. Quando poi valuto un’opera, insieme al team delle mie collaboratrici che mi affiancano e fanno un gran lavoro, cerco la bella scrittura e soprattutto il guizzo creativo, il genio letterario. Cerco il talento.»Scrvere. Alla ricerca di sè e del proprio stile di Stefania Convalle – Edizoni Convalle, 2019“Scrivere. Alla ricerca di sé e del proprio stile” è invece il manuale di scrittura che hai pubblicato nel 2019. Di Scrivere si legge che è un libro “scritto in leggerezza”, ovvero con l’intento di trasmettere passione e rispetto verso la scrittura, che consideri in primis libertà e sperimentazione. Nel tuo manuale conduci il lettore in un vero e proprio viaggio interiore con l’invito a utilizzare la semplicità e il cuore. Ed è proprio il cuore che guida i tuoi consigli, al punto che il lettore sembra immerso in una vera storia, quella di sé e la sua scrittura. Come suggerisci di conciliare, durante la stesura di un racconto o di un romanzo, la pancia con la disciplina?«La risposta è molto semplice: si scrive con la pancia, si corregge con la testa. Spegnere il cervello quando si “crea” è fondamentale. C’è un tempo per far parlare l’ispirazione che arriva dalla pancia e dal cuore, e c’è un tempo per usare la testa, quando si rilegge e si corregge. Bisogna sviluppare una grande autocritica e per questo ci vuole disciplina.»Stefania è sempre attiva nell’organizzazione di eventi culturali e nuove proposte. Ti va, in conclusione, di accennarci ai nuovi progetti che bollono in pentola in casa Convalle?«I progetti sono sempre tanti. Le idee arrivano copiose. Devo però fare i conti con il tempo. Praticamente dedico la mia vita alla scrittura, intesa come casa editrice, laboratori di scrittura, eventi di tutti i tipi, e scrivere le mie opere. Ciò mi assorbe 24 ore su 24. Confesso che ultimamente, quando vado a dormire, “parlo” col mio Angelo Custode al quale chiedo di indicarmi la strada e di portarmi dove devo arrivare. E dove devo andare, lo scopriremo insieme, io e voi.»
Auguriamo a tutti i lettori di scoprire insieme all’autrice intervistata la sua scrittura e i suoi nuovi progetti.
Nell’ultimo anno, in testa alle classifiche dei libri più venduti abbiamo trovato due romanzi della scrittrice statunitense Madeleine Miller, già vincitrice dell’Orange Prize 2012, Circe e La canzone di Achille, ripubblicati in Italia da Feltrinelli con la traduzione di Marinella Magrì, e quello della nostrana Marilù Oliva, L’Odissea raccontata da Penelope, Circe, Calipso e le altre, edito nel 2020 da Edizioni Solferino. I protagonisti di questi best-seller sono personaggi che tutti noi conosciamo per averli studiati a scuola durante l’ora di epica, sono gli eroi e le eroine che popolano i poemi omerici, Iliade e Odissea.
Audaci, astuti, devoti, seducenti, volitivi, i personaggi vengono analizzati da nuove prospettive, di genere, facendo emergere il ruolo di figure tenute in ombra nei secoli, come Patroclo, Penelope, Nausica, la stessa Circe, per citarne alcune. Una rivisitazione del mito classico, insomma, in chiave più moderna.
“Nessun migrante è un uomo qualunque, nessuno merita di essere ignorato. Dietro ogni esule si nascondono storie che tutti dovremmo ascoltare attentamente, perché potrebbero ribaltare ogni pregiudizio” si legge nel romanzo di Marilù Oliva, mentre in Circe della Miller troviamo scritto. “Le donne umiliate mi sembrano il passatempo preferito dei poeti. Quasi non possa esistere storia senza che noi strisciamo o piangiamo.”
L’alba dei nuovi dei di Andrea Colamedici e Maura Gancitano – Mondadori
Dagli eroi passiamo invece, a giorni, precisamente il 19 ottobre, agli dei greci, prima in un saggio, poi in un libro per ragazzi. I filosofi Andrea Colamedici e Maura Gancitano sono gli autori de L’alba dei nuovi dei, edito da Mondadori, in cui, con la loro ormai nota ed encomiabile mission di comprendere il presente attraverso la filosofia, affrontano i parallelismi fra i modi di comunicare dei pensatori classici e i più urgenti temi del dibattito contemporaneo, come l’avanzata del digitale e l’amplificazione delle informazioni. Gli autori ritengono che le sensazioni di precarietà e di disorientamento che tormentano la società odierna sono già appartenuti agli uomini della Grecia nel V secolo, quando fiorì la filosofia. Come allora, occorre pertanto revisionare valori e relazioni.
La banda degli dei di Barbara Fiorio – Rizzoli
Sofia, Giacomo, Bartolomeo, Delia, Carlotta, Leonardo e Isabella sono una combriccola di dodicenni, amici e fratelli fra loro, che si ritrovano ogni venerdì nel loro Olimpo, vestendo i panni degli dei Greci: Atena, Marte, Dioniso, Artemide, Apollo, Venere e Mercurio. Questi i protagonisti de La banda degli dei, romanzo per ragazzi scritto da Barbara Fiorio in uscita per Rizzoli sempre il 19 ottobre. L’autrice ci trasporta in un mondo, quello adolescenziale, alle prese con timori e passioni, che si confronta con quello classico della Grecia, dal quale i protagonisti attingeranno insegnamenti importanti per la loro maturazione.
Tempo di dei, insomma, in libreria. Ma cosa spinge, attualmente, scrittori e filosofi, e vedremo anche psicologi, a occuparsi dei miti dell’antica Grecia?
Scopri la dea/il dio che è in te è stato spesso un tormentone che mi sono ritrovata pubblicizzato sui social mesi addietro. In pratica, alcuni psicologi o esperti del settore proponevano test per individuare dentro ognuno di noi una o più divinità prevalente, ossia archetipi psicologici. Chiariamo, a questo punto, cosa si intende per archetipo.
Da Wikipedia: “La parola archetipo deriva dal greco antico ὰρχέτυπος col significato di «immagine», composto da arché (άρχή, cioè «inizio, principio originario») + typos («modello, marchio, esemplare») … Il termine viene usato, attualmente, per indicare, in ambito filosofico, la forma preesistente e primordiale di un pensiero, quale ad esempio l’ideaplatonica; in psicologia analitica da Jung ed altri autori, per indicare i simboli innati e predeterminati dell’inconscio umano, soprattutto collettivo; per derivazione in mitologia, le forme primitive alla base delle espressioni mitico-religiose dell’essere umano.”
In ognuno di noi, allora, detto in maniera spicciola, mi perdoneranno gli addetti ai lavori, albergherebbero modelli, tipi, che agiscono dentro noi alla stregua delle divinità greche. Il tipo Hermes, per farla breve, è legato alle peculiarità del dio omonimo, ovvero acutezza intellettiva, prontezza della parola e dell’azione, astuzia, abilità nella comunicazione, spostamenti/viaggi e nel commercio. Riconoscere e guidare questo modello dentro noi può essere utile per il nostro percorso di individuazione, crescita interiore. Una teoria simbolica, questa, che appartiene alla psicologia archetipica, spiegata così dalla psicanalista junghiana Ginette Paris nel suo saggio La grazia paganaedito in Italia da Edizioni Moretti&Vitali con la traduzione di Alberto Panaro:
“La psicologia archetipica si presenta come antidoto a una psicologia che ci chiede di essere al tempo stesso senza incrinature psicologiche e senza sintomi, secondo il modello dei santi che vengono immaginati senza peccati e di un dio che ha rinnegato la propria ombra, il diavolo. Le divinità pagane mi attirano proprio perché ciascuna si presenta perfetta e incompleta, divina e diabolica al tempo stesso, folli e sagge alla maniera dell’inconscio.”Saggio su Pan di James Hillman – Adelphi
Fondatore di questa psicologia è lo psicoanalista americano James Hillman, allievo di Carl Gustav Jung, il quale propone una re-visione della psicologia partendo dall’attività immaginale, come quella dei miti, per ri-leggere i fenomeni etico-sociali contemporanei. James Hillman, nel suo Saggio su Pan, Edizioni Adelphi, afferma infatti:
“Quando la visione dominante che tiene assieme un periodo della cultura si incrina, la coscienza regredisce in contenitori più antichi, cercando fonti di sopravvivenza che offrano anche fonti di rinascita. I critici hanno ragione quando vedono il ‘ritorno alla Grecia’ come un regressivo desiderio di morte, come una fuga dai conflitti contemporanei nelle mitologie e nelle speculazioni di un mondo fantastico. Ma guardar indietro rende possibile andare avanti, perché il guardar indietro ravviva la fantasia dell’archetipo del fanciullo, fons et origo, il quale è sia il momento dell’inerme debolezza sia il dischiudersi futuro. ‘Rinascimento’ (rinascita) sarebbe una parola priva di significato senza l’implicita dissoluzione, la morte stessa da cui quella rinascita proviene. I critici non colgono la validità e la necessità della regressione. Essi non colgono neppure la necessità di una regressione che sia peculiarmente ‘greca’.”
Quella a cui stiamo assistendo, cioè una fioritura del mito greco in epoca contemporanea potrebbe essere letta, quindi, come un rispecchiamento in una epoca antica attraversata da specifiche dinamiche e problematiche interne, un modello archetipico per dirla in termini tecnici, di cui fare un uso sapiente per attingere nuove risorse.
E in questo i libri, con le loro storie o riflessioni, ci sono d’aiuto.
«Riformare la funzione delle relazioni e svelare, allo stesso tempo, quale inesauribile sorgente di potenza, di sapere e di sentimenti sia una donna mentalmente LIBERA.»
Dice questo il comunicato stampa lanciato venerdì 24 settembre sul sito di Letteratura Alternativa, in merito al nuovo Progetto “Prospettiva Alfa”. L’iniziativa prevede la raccolta di nove voci di donne (autrici della casa editrice) che si calano nei panni di autori classici del passato per realizzare una breve biografia romanzata. Il titolo dell’antologia è “Le ladre di nuvole” ed è in preordine sul sito della casa editrice.
Una delle novità del progetto è il coinvolgimento di dieci sponsor locali (fra Piemonte e Lombardia) che hanno aderito con grande entusiasmo, promuovendo il valore dell’imprenditoria al femminile e affermando con forza che cultura e lavoro possono coesistere. Li citiamo: PARAFARMACIA CORSO ALESSANDRIA – Asti di Marta Turello, Dennis Caffè (la Piazzetta) di Asti, Poesia & Vita di Franca Froio e Graziella Palumbo di Asti, ESTETICA LAURA di Laura Palumbo di Asti, BEAUTY GIRLS HAIRSTYLIST di Silvia Barbera di Asti, LA BOTTEGA DEI SAPORI di Asti, ArtekA – Centro per la ricerca dei Talenti Artistici di Katia Piana di Ovada, Libreria Il Cavallino di Marina Regno di Voghera, Giovanna Margiaria – Giornalista, fondatore del Rotary Club, Canale Roero, membro di degustazioni vini Doc e Docg di Alba e Miacaro31, negozio di abbigliamento di Carolina Malaspina, Ovada.
A Oscar Wilde è attribuita la seguente citazione: «Dagli occhi delle donne derivo la mia dottrina: essi brillano ancora del vero fuoco di Prometeo, sono i libri, le arti, le accademie, che mostrano, contengono e nutrono il mondo.» Prendiamo spunto da questa frase per introdurre l’intervista che le nove autrici dell’antologia hanno rilasciato a Mi libro in Volo.
Ad aprirla è l’editrice Romina Tondo, che ha partecipato con un suo racconto all’antologia Le ladre di nuvole.Romina TondoPer la prima volta ti cimenti nella pubblicazione di un racconto. Quale autore hai scelto e perché?
«Ho scelto Henry Miller per sfatare un po’ questo cliché che lo ha perseguitato per tutta la vita, definendolo (da troppi) l’autore osceno, depravato… Miller, in realtà, era in lotta continua con il bigottismo e la componente carnale non era altro che una parte della tematica generale di una società che lui stesso dipingeva allo sbaraglio, il cancro era la malattia del progresso, della civiltà, la strada sbagliata da cui ripartire. Ed è questo, insieme al suo lato sfacciatamente umano, che ho voluto fare emergere in questo racconto.»
Come nasce e perchè hai fortemente voluto realizzare il Progetto “Prospettiva Alfa”?
«Questo progetto era in cantiere da un po’, creare qualcosa di assolutamente “al femminile” e in questo momento storico dovuto alla pandemia, la contingenza si è delineata perfetta. Donne che scrivono, donne che lavorano (gli sponsor) e donne che sanno identificarsi (e lo fanno alla grande) nei panni degli uomini. Maschile e femminile che si incontrano, si scontrano e si completano. Basta diversità di genere.»
Flora CrosaraQuale autore hai scelto e perché?
«In realtà io credo che lui abbia scelto me. Tra gli autori dell’800, Giovanni Verga è stato, e resta tutt’oggi, il mio preferito per la denuncia sociale nelle sue opere, per le tecniche di narrazione e le ambientazioni fedeli, per i temi trattati. Ho scelto di leggerlo nella rappresentazione della donna del suo tempo, vittima di una mentalità retrograda, permeata dal pessimismo che non dà spazio al cambiamento. L’ho rivisitato con questo scopo: ideare un Verga moderno, che esalta la libertà e ne denuncia la privazione.»
Cosa rappresenta per te il Progetto “Prospettiva Alfa”?
«Un invito e una sfida a rimettermi in gioco come autrice. Un nuovo impegno di scrittura che mi ha riportato ai classici, realtà oggettiva sempre affascinante e formativa. Il tema poi era stimolante e colmava il desiderio di svecchiare un modo di pensare antico. La bellezza della collaborazione con le otto autrici, che stimo tutte per il loro stile, mi ha convinta. Per me, un onore far parte del gruppo!»
Carmela BruscellaQuale autore hai scelto e perché?
«Ho scelto Vittorio Alfieri perché mi è sempre piaciuto per il suo spirito libero. Era contro gli oppressori ed è stato un precursore dei tempi moderni. Le sue idee, rivolte alla conquista della libertà, contro ogni forma di violenza e tirannia, erano in contrasto con quelle della nobiltà di allora e dei monarchi europei che accentravano il potere.»
Cosa rappresenta per te il Progetto Alfa?
«Per me il Progetto “Prospettiva Alfa” rappresenta il concetto di unione e di collaborazione che mi ha dato la possibilità di condividere emozioni, la voglia di scrivere e l’amore per i testi classici.»
Silvia BolognaQuale autore hai scelto e perché?
«Ho scelto questo autore per dargli voce: De Sade, a noi noto perché proprio dal suo nome nasce il termine sadismo, è un personaggio scomodo, complesso, e questo era per me essenziale per uscire dalla mia comfort zone di scrittura. Inoltre mi affascina il suo rapporto con lo scrivere: era per lui libertà dove non ne aveva. Ha infatti speso gran parte della sua vita in carcere o in manicomio, dove ha prodotto le opere letterarie a noi conosciute.»
Cosa rappresenta per te il Progetto “Prospettiva Alfa”?
«Il Progetto “Prospettiva Alfa” rappresenta per me tre sfide: riprendere a scrivere, in primis. Farlo partendo da qualcosa di scomodo, di lontano, è la seconda. Inoltre è un progetto femminile, in cui nove donne, si mettono nei panni di nove uomini, creando una prospettiva nuova sul noto e questo è di per sé una sfida affascinante che va oltre il ricercare la supremazia dell’uno o dell’altro genere, ma che ci unisce e ricomprende tutti. Noi, esseri umani.»
Martina CaffoQuale autore hai scelto e perché?
«Ho scelto Hermann Hesse per una sorta di connessione: qualcosa, rovistando nella mia libreria, mi ha condotta ai suoi libri, letti quando ero molto giovane. Ricordavo bene la risonanza che le sue parole avevano avuto in me e riaprendo quelle pagine ho ritrovato una nuova affinità. È stata una sorta di Epifania. E la conferma è arrivata nella stesura del racconto: un fluire morbido da lui a me e viceversa.»
Cosa rappresenta per te il Progetto “Prospettiva Alfa”?
«È un progetto che mi appartiene molto: nella mia attività di coach dò vita e partecipo molto spesso a cerchi di donne, e questo collettivo è in sostanza un cerchio di donne. Un’antica tenda rossa dove la potenza delal sorellanza si esperime attraverso la scrittura. Ma questo cerchio è specialissimo perchè integra anche il maschile, usalmente assente in queste adunanze, rendendolo unico e molto più impattante. Solo l’equilibrio del perfetto incastro tra femminile e maschile può portare, a mio parere, a una realtà di vita equilibrata, felice, fertile e foriera di esperienze positive e paritetiche. Il progetto “Prospettiva Alfa”, perciò, per me rappresenta l’inizio di una pacifica e intensa “rivoluzione” trasformativa, a cui non potevo proprio mancare.»
Rosa GalloQuale autore hai scelto e perché?
«Ho scelto Charles Bukowski perché il domani gli ha dato ragione: tutt’oggi molte donne lo amano per le sue poesie, nonostante tutto ciò che è stato detto su di lui e sulla sua vita dissoluta. A modo suo ha diviso due termini: femmine – donne, sesso- amore. Ha dimostrato come una donna dal carattere Alfa, Linda King, ha saputo e potuto tenergli testa.»
Cosa rappresenta per te il Progetto “Prospettiva Alfa”?
«Il Progetto “Prospettiva Alfa” è una sfida, è temerario, è intrigante. Alfa la dice tutta se vogliamo essere donne oggi. È non arrendersi, continuare, sperare e realizzare sogni.»
Cecilia CandeloriQuale autore hai scelto e perché?
«Ho scelto Oscar Wilde come autore per l’incipit de Il ritrattodiDorian Gray, che mi colpì già dalla prima lettura in adolescenza e da cui ho imparato il significato dell’aggettivo crèmisi. L’ho scelto per il suo mondo interiore che trasborda in quello esteriore e lo permea emotivamente.»
Cosa rappresenta per te il Progetto “Prospettiva Alfa”?
«Il Progetto per me rappresenta uno studio antropologico sul mondo maschile nelle varie epoche e nei diversi luoghi grazie al confronto con sensibilità femminili e, ovviamente, con il pubblico variegato dei lettori.»
Valentina ZaggiaQuale autore hai scelto e perché?
«Mi sono avvicinata a Ernest Hemingway con il romanzo Il vecchio e il mare e volevo scoprire di più sulle sue origini, così ho cominciato ad approfondire con ricerche e ho scoperto la vita movimentata di Hemingway: guerra, corride, safari, viaggi anche in Italia, feste, il suo piacere per il bere e per le donne (ebbe ben quattro mogli). E la sua tragica fine… mi ha travolto!»
Cosa rappresenta per te il Progetto “Prospettiva Alfa”?
«Il Progetto è molto stimolante, mi ha spinto a mettermi alla prova scoprendo un mondo inaspettato: scrivere in prima persona e dal punto di vista maschile è stata una esperienza nuova. Mi ha fatto scoprire quanto sia bello cambiare prospettiva.»
Domizia MoramarcoQuale autore hai scelto e perché?
«Nel mio racconto ho deciso di essere Franz Kafka, autore a me caro da sempre, perché resta una sorta di enigma da interpretare. Di lui ho letto tutte le opere, compresi i Diari e le Lettere, nonché saggi a lui dedicati, come quelli di Citati, Baioni, Freschi e Carotenuto, e resto meravigliata dalla pluralità di interpretazioni che questo autore suscita e consente. A me interessa esplorare l’interiorità di Kafka uomo alle prese con i suoi tormenti interiori, alla ricerca di un senso alla sua breve esistenza.»
Cosa rappresenta per te il Progetto “Prospettiva Alfa”?
«Sul piano letterario ritengo il Progetto “Prospettiva Alfa” una piacevole opportunità di confronto con altre autrici per scoprire come l’aspetto femminile e quello maschile possano compenetrarsi fra loro. Donne contemporanee che si calano nei panni di grandi autori uomini del passato è davvero una grande sfida, stimolante, per leggersi dentro, perché la scrittura ha sempre, a mio avviso, un ruolo catartico. Sul piano socio-culturale penso sia un ottimo esperimento, in quanto coinvolge variegate attività imprenditoriali femminili, artigiane e non, dalle quali può partire una diffusione vivace e originale.»
La copertina dell’antologia “Le ladre di nuvole. 9 storie senza tempo”. Il libro è in preordine con la modalità crowdpublishing sul sito di Letteratura Alternativa Edizioni
C’è una frase del filosofo e teologo, musicista e medico Albert Schweitzer premio Nobel per la pace 1952 che dice:
“L’africano è mio fratello, ma è un fratello più giovane di parecchi secoli.”
In queste poche parole è racchiuso un senso che meriterebbe un ampio dibattito. Ma più delle parole contano i fatti, o meglio, come direbbe Giammarco Cecconi, l’esempio. Marchigiano, docente di lettere, da sempre a contatto diretto con i ragazzi, come educatore e come insegnante di calcetto, l’autore dedica a un suo viaggio in Africa, presso una Missione francescana in Zambia a St. Joseph Mission, all’interno della quale si trova una delle poche scuole per sordomuti dello Zambia, un diario prezioso, che con la sua storia scuote gli animi e apre la mente verso nuove prospettive.
Con umiltà e senso umanitario mette a disposizione il suo tempo, sottraendolo alla famiglia, per dedicarsi a esperienze missionarie che lo cambiano ogni volta e lo trasformano in un uomo nuovo, migliore che scopre quanto siamo piccoli e fragili di fronte alle avversità e agli imprevisti. In un angolo di mondo, dai più dimenticato, trova tutto ciò di cui l’uomo avrebbe bisogno: solidarietà e cuore. È un uomo che attinge dall’esperienza, dal concreto, dalla vita dura e difficile che gli Occidentali hanno ormai rimosso, l’eco di una civiltà autentica di echi pasoliniani.
«Erano vent’anni che non venivo più in Zambia, questo paese mi sembra peggiorato: le strade, le infrastrutture, i quartieri sono gli stessi di allora ma con vent’anni di usura e degrado in più e senza che sia stata mai fatta alcuna manutenzione. Le cose che vedo cambiate sono i box lungo le strade messi dai tre gestori di telefonia mobile che operano in Zambia, in questi box grandi al massimo 2 mq, ci sono degli operatori che vendono ricariche telefoniche, anche nei posti più sperduti ed improbabili, questi “punti vendita” sono gialli, rossi o verdi a seconda del gestore telefonico e sono veramente molto, molto diffusi ed è impossibile non notarli.»
In Zambia bisogna abitualmente convivere con il buio, ma nel buio si impara a vedere meglio, a scorgere la speranza che irradia la buona volontà di chi, nonostante abbia poco, sa vivere e di chi rinuncia agli agi per donare se stesso a una causa più grande di qualsiasi aspettativa. Al buio si vedono meglio le stelle, si possono quasi toccare. E laggiù, meno si ha, più si dona. Regalano i sorrisi e la determinazione dei bambini, le azioni di coraggio e di buona volontà dei missionari.
«Con orgoglio, devo dire – sottolinea Cecconi – che non sono pochi gli italiani che in giro per il mondo fanno opere degne di lode.»
Nonostante i lati oscuri della civiltà in cui convive, il protagonista del viaggio preferisce evidenziare quegli aspetti che riempiono il cuore di meraviglia. I colori cangianti delle farfalle riempiono l’animo di leggerezza, le piccole impronte lasciate sul selciato dai piccoli studenti che raggiungono a piedi la scuola dai boschi lontani, i bambini legati alle spalle delle loro mamme nei variopinti citenga e le musiche dei cori in chiesa.
«Qui, il coro molto numeroso, non solo canta ma balla anche e batte le mani; le canzoni sono vivaci e bellissime e la passione con cui cantano e ballano i fedeli rende la celebrazione veramente speciale. Il ritmo è completamente diverso da quello dei nostri canti, anzi, oserei dire quasi opposto, più veloce, più piacevole e più allegro.»Citabo candi, che in africano vuol dire Il mio libro, edito da Letteratura Alternativa Edizioni, è una testimonianza diretta e sincera, che non cerca di affabulare il lettore, ma lo induce a riflettere realisticamente sul racconto, che è prevalentemente indirizzato a un pubblico giovanile, affinché il viaggio si faccia simbolo letterario di profondo cambiamento interiore e che solo l’incontro con l’altro, con il fratello apparentemente lontano e diverso, rappresenta.
Scheda del libroAutore: Gianmarco CecconiGenere: NarrativaCasa editrice: Letteratura Alternativa EdizioniPagine: 62Prezzo: Euro 14,90ISBN:978-88-94815-93-1Chi è Gianmarco Cecconi
Da sempre impegnato nel sociale, svolge la professione di docente di Materie Letterarie presso I.C. Villa San Martino Pesaro ed è referente scolastico per l’integrazione e per il bullismo. Ex Sindaco di Petriano (PU), in passato è stato educatore e allenatore di calcio giovanile. Sin da adolescente svolge attività missionarie in Africa e, in seguito a uno dei suoi ultimi viaggi in Zambia a St. Joseph Mission, all’interno della quale si trova una delle poche scuole per sordomuti dello Zambia, ha messo per iscritto le sue esperienze umanitarie con l’obiettivo di trasmettere nei ragazzi gli insegnamenti ricevuti, pubblicando Citabo Candi (Il mio libro) con la casa edititrice astigiana Letteratura Alternativa Edizioni.
Il podcast di Citabo Candi (Il mio libro) di Gianmarco Cecconi sul canale Spreaker di Letteratuira Alternativa Edizioni: