“Se le ore che dedichi allo studio non sono sufficienti per imparare, significa che ce ne voglio di piu”»
Intervista a Carla Maria Russo
Very for you. Un amore impossibile di Gabriela Voinea
«Ho capito che in questa chat siamo sullo stesso treno, ma ognuno viaggia nella propria carrozza. E poi, una volta scesi, prendiamo strade diverse.»
Gabriela Voinea ci racconta una storia al femminile, vera, senza filtro e, soprattutto, senza rischio di incorrere nell’errore di una narrazione di genere. È piuttosto una storia di resilienza, di un destino messo già a dura prova, la storia di chi impara ad accettare quanto la vita ha da offrire, nel bene e nel male. E se proprio volessimo cogliere tratti tipicamente femminili in questa storia, allora di sicuro dovremmo soffermarci sullo spazio che la voce narrante si ritaglia, nel quale riversa emozioni personali in una dimensione prettamente intimistica, attraverso il genere autobiografico e una narrazione immediata, cronachistica, nonché sincera, e l’uso di dialoghi diretti e serrati. «Mi chiamo Gabriela e sono nata in Romania. Le mie origini sono umili, perché sono stata cresciuta solo da mia mamma, dopo che mio padre ci ha lasciate quando non ero ancora nata. Non è stato semplice nemmeno per mia madre che, dopo essersi risposata e aver avuto un’altra figlia si è vista portare via il suo uomo, l’unico papà che ho mai conosciuto, in un terribile incendio dentro la nostra casa per una fuga di gas. (…) Sono genuina nelle mie reazioni e questa mia caratteristica mi fa emozionare e sorprendere anche per le cose apparentemente più insignificanti.» Very for you. Un amore impossibile edito da Letteratura Alternativa Edizioni è la cronaca di una storia d’amore ai tempi delle chat di incontri, che sviscera i toni e le modalità di questo innovativo spazio virtuale per instaurare nuove conoscenze. Un modo a volte divertente, altre audace per connettersi alla realtà dei cuori solitari, che spesso nascondono demoni interiori difficili da affrontare. Gabriela, scappata dalla Romania a causa di un brutale legame coniugale, decide di affrontare la solitudine di un lavoro che non le lascia tregua affidandosi ai social e a una chat di incontri dove instaura una amicizia virtuale con un uomo. Lo sconosciuto, che ha come nickname “veryforyou” si rivela gentile e molto premuroso e in particolar modo attento verso le sue esigenze di donna lavoratrice, inducendola a non calpestare i suoi diritti. Poi, pian piano inizia a corteggiarla e la protagonista si lascia conquistare, aggrappandosi a questo nuovo legame che la fa sentire meno sola e apprezzata. Quando si incontreranno di persona, fra i due sboccerà una tenera complicità e una passione travolgente, destinata però a concludersi molto presto. È in quel momento che Gabriela prenderà consapevolezza, seppur duramente, che «l’amore non è solo ricerca di felicità e di passione ma diventa un bisogno che nasce dal profondo dell’anima.» Così insegue questo amore “impossibile” attraverso i sogni, i ricordi, le speranze, i suoni, i sapori, perché per lei: «Non importa quanto tempo sia passato, non importa quanta distanza ci separi, non importa la gente … non importa come sia andata a finire né come finirà.» Questo amore Gabriela lo custodisce dentro sé, come un bel dono della vita, che adesso le consente di affermare:«Sono una donna nuova che finalmente sceglie se stessa, si perdona, impara dai propri sbagli e ricerca emozioni mai sperimentate.»
E sceglie di farlo nella vita reale. L’autrice di questo gradevole libricino ci racconta come si torna a rinascere, a scoprire la luce dopo il buio e lo fa proprio mostrando la capacità trasformativa insita in coloro che dal fango riescono a cogliere i diamanti, indipendentemente dal fatto che si sia donna o uomo. Chi è Gabriela Voinea? Gabriela Voinea nasce a Busteni, in Romania, il 14 giugno del 1971. Nata in Romani il 14 giugno del 1971, Gabriela Voinea è giunta in Italia nel 2010 e ha lavorato come operatore sociale ad Asti. La scrittura l’ha aiutata a scoprire la bellezza della lingua italiana e a evadere da una realtà spesso difficile da sopportare. Nel 2017 ha frequentato a Milano un corso di scrittura tenuto da Giacomo Bruno e nel 2018 ha partecipato al laboratorio di scrittura creativa a cura dell’associazione Cre.Ar.Te. Very for you. Un un amore impossibile è il suo esordio nel mondo della narrativa per la casa editrice Letteratura Alternativa Edizioni.La casa sull’argine: incontro con Daniela Raimondi
«Vitale, poetico e pieno di passione: grazie a un coro di voci autentiche, trascinanti, questo romanzo racconta una storia indimenticabile»
Dai versi, che con la loro brevità condensano frammenti di realtà, al genere più particolareggiato della prosa, Daniela Raimondi ha superato il grande scoglio che da anni la ostacolava nel completare la narrazione di decenni di storia della sua famiglia di origine. Nata da una idea iniziale di concentrare la narrazione al XX secolo, la trama si è poi ampliata anche a quello precedente, dove le tracce della storia italiana si fanno vivida presenza, così come ci ha tenuto a precisare Elisabetta Balduzzi, libraia attiva sul territorio, ideatrice e presentatrice ufficiale della kermesse vogherese, giunta alla quinta edizione e dedicata quest’anno al concittadino scrittore Alberto Arbasino, scomparso nel marzo 2020. L’incontro, moderato da Marina Carbone, assessore alla cultura del comune pavese di Montesegale, ha esaltato il connubio tutto al femminile della presentazione, e proprio sulle numerose figure femminili presenti nel romanzo si è voluto porre l’accento. Donne umili, caratterizzate da una grande forza d’animo e che, come ha precisato l’autrice, non si fanno travolgere dalle avversità della vita. Eroine resilienti di una tradizione contadina nostrana che simboleggiano il coraggio di rialzarsi della nostra nazione dall’epoca risorgimentale agli anni di Piombo. Il romanzo La casa sull’argine Casa Editrice Nord Libro intimistico e al contempo epico, La casa sull’argine racconta le vicende della famiglia Casadio, contadini semplici e instancabili lavoratori, nel borgo di Stellata, all’incrocio di Lombardia, Emilia e Veneto. L’arrivo sul posto di una carovana di zingari, evento storico del mantovano nel XIX secolo, segnerà per sempre la sorte dei Casadio: il celibe quarantacinquenne Giacomo si unirà in matrimonio con l’eccentrica gitana Viollka Toska, dividendo la grande famiglia in due ceppi, da una parte i sognatori dagli occhi azzurri e i capelli biondi, e dall’altra i sensitivi bruni. I Casadio si ritroveranno così invischiati in una complessa dicotomia fra sogno e realtà, nel perenne interrogativo se è meglio uccidere o inseguire i propri sogni. Non a caso all’inizio del romanzo la Raimondi ha inserito la celebre citazione shakespeariana:«Noi siamo fatti della stessa materia dei sogni
e la nostra breve vita
si completa in un sonno.»
E proprio restando in termini di citazioni, l’autrice ricorda che è stato Primo Levi ad affermare che «La vita contadina è sempre un po’ magica.» I due rami dei Casadio, allora, non fanno altro che rivelare un realismo magico connaturato all’esistenza stessa, nel quale è racchiuso il fascino de La casa sull’argine, esempio letterario di un processo di mitizzazione del passato della nostra nazione in un atto magico di ricostruzione attraverso la potenza immaginativa della memoria.L’acquaiola di Carla Maria Russo
«Maria è consapevole dei suoi obblighi. Il senso del dovere è radicato nel suo cuore come le rocce nella terra delle sue montagne. Le piacerebbe fermarsi un poco davanti al fuoco, lasciare che lo sguardo si perda nelle fiamme guizzanti. Ma la stanchezza la vince, le palpebre si fanno pesanti. La fantasia non trova la forza di sbrigliarsi e correre lontano, di chiedersi se la vita ha ancora in serbo un dono per lei. Non sa immaginare, Maria.»Autore: Carla Maria Russo Genere: Narrativa Casa editrice: Edizioni Piemme Pagine: 256 Prezzo: Euro 17,90 ISBN: 978-88-683-6574-5 Una comunità rurale nel cuore dell’Appennino meridionale italiano dominata dal patriarcato, dall’oppressione dei padroni della terra. Un luogo arcaico dove il tempo è immobile, tutto si ripete in un movimento circolare, scandito dal medesimo ritmo e dove, fra miseria e analfabetismo, la solidarietà consolida la parte più umile della comunità. Questo lo sfondo in cui si dipanano le vicende de L’acquaiola di Carla Maria Russo, breve ma emblematico romanzo di un universo femminile sommerso.
Maria, l’acquaiola
«L’acqua da prendere alla fonte ogni giorno dell’anno, più volte al giorno, con qualunque tempo: il sole di agosto, mentre il sudore scorre a rivoli e la polvere della strada toglie il respiro, la pioggia di ottobre, col fango che appesantisce gli scarponi e lega le gambe, la neve e il gelo dell’inverno, quando l’asino va tenuto con forza perché a ogni passo rischia di scivolare e il freddo spacca le mani fino a farle sanguinare.» Come l’acqua che scorre erode la roccia più dura, cammina infaticabilmente alle prime luci dell’alba la giovane Maria, lavoratrice determinata. È lei che, silenziosamente e umilmente, muove e smuove la comunità. Prima come bracciante, poi come fornitrice di acqua alla famiglia di don Francesco, il signorotto del paese, facendo la spola per chilometri e per più volte al giorno tra la fonte e la casa padronale, la quindicenne e instancabile Maria mantiene e sostiene piscologicamente la sua famiglia, l’anziano padre ammalato e l’unica sorella rimasta in paese, fragile per le numerose gravidanze e il gravoso compito materno. Un corpo minuto il suo, ma nerboruto, una giovane anima dotata di una sapienza antica e innovatrice al tempo stesso. Maria è una figura multiforme, che veste ora i panni accoglienti di Estia quando dinanzi al focolare si raccolgono intorno a lei i personaggi che dalle sue labbra si abbeverano dei suoi consigli e ammonimenti, ora quelli dell’orgogliosa e indomita Artemide, fino a mostrare lo sguardo dell’astuta e determinata Atena. Fiera, nella sua indipendenza, austera nel suo innato senso del dovere, pronuncia la frase che riassume in maniera lapidaria la sua filosofia di vita:«La vita è dura, prima lo capisci e meglio è.»
Il simbolismo de L’acquaiola
La storia che racconta Carla Maria Russo, già autrice di romanzi storici, è il racconto, spesso taciuto, dei racconti femminili, il risveglio di una coscienza sempre tenuta a bada da abusi e soprusi. Maria fa da train d’union fra la comunità rurale e i nuclei famigliari che la compongono, è il cardine di una cultura arcaica e solida, ma è anche il nuovo ponte che si staglia sul risveglio di una energia tutta al femminile. È lei, infatti, che cova rabbia quando le viene strappata la sua pura innocenza. L’affronto alla verginità è l’offesa grave che la vita le riserva. Privata della sua libertà di scelta, la violenza subita la porta al rifiuto dell’affettività materna, che esprime invece con eccessiva abnegazione verso il piccolo Ermes, figlio del giovane e ribelle padroncino Luigi che ha accudito da bambino. La figlia Nella, rifiutata, le si para dinanzi come uno specchio, rimandandole l’immagine dell’esclusa, dell’emarginata che lei, al contrario, ha saputo oltrepassare preservando autonomia e cocciutaggine, prerogative che ammorbidirà invece con l’arrivo della nipotina verso la quale mostrerà un affetto viscerale e incondizionato che dentro sé ha sempre soffocato. Maria è dunque il femminile universale, il ventre ora caldo e accogliente, ora freddo e vuoto, come le fasi della vita della donna, come le epoche che si alternano nella storia delle donne.La struttura de L’acquaiola di Carla Maria Russo
Il romanzo, fruibile e dallo stile semplice e scorrevole, presenta un impianto corale, dove ciascun capitolo riporta il nome dei personaggi della comunità, espediente grazie al quale l’autrice permette di cogliere i diversi punti di vista di tutti loro, offrendo uno spaccato storico di una realtà chiusa dell’Italia centro meridionale, così come si intuisce dai pochi cenni, nei primi decenni del secolo scorso. Sono gli anni in cui nel meridione cominciano a diffondersi, con grande reticenza, le prime idee socialiste e liberali, gli anni della massiccia ondata di emigrazione verso la “Merica” di giovani vite indifese e abbandonate a se stesse. Maria, personaggio principale, solido e dignitoso, sopravvive a questa realtà grazie alla sua innata resilienza, è la bandiera che sventolando diffonde il grido di libertà dell’essere umano che mai si lascerà abbattere dalle avversità della vita.Il messaggio del romanzo
L’acquaiola di Carla Maria Russo è un inno alla forza e alla sapienza femminile attraverso il simbolismo ancestrale dell’acqua, quel fluire universale della vita, ora continuo ora stagnante, che purifica e salva, e Maria, nel suo inarrestabile movimento, si fa messaggera di una potente alchimia vitale che oltrepassa i limiti del tempo e dello spazio. Chi è Carla Maria Russo Nata a Campobasso, si è laureata in Lettere moderne presso l’Università degli Studi di Milano con una tesi in Storia del Risorgimento. Per la casa editrice Il Battello a vapore ha esordito nella narrativa con i due romanzi Il mio amico Napoleone (2003), disponibile anche in versione audiolibro, e Il segreto di Clelia (2011). Appassionata di ricerca storica, ha pubblicato per Edizioni Piemme nel 2005 La sposa normanna, che si è aggiudicato i premi Città di Cuneo Primo Romanzo e il Feudo di Maida. Sempre per Edizioni Piemme sono stati pubblicati: Il Cavaliere del Giglio (2014), La regina irriverente (2015), L’amante del Doge (2016) e il ciclo dedicato alla figura di Caterina Sforza: La bastarda degli Sforza (2016) e I giorni dell’amore e della guerra (2017), inoltre Le nemiche (2017), L’acquaiola (2018), candidato al Premio Strega 2019, e nell’ottobre 2019 i romanzi Lola nascerà a diciott’anniaggiudicatosi il premio letterario Fenice Europa, e Una storia privata. La saga dei Morando. Carla Maria Russo è la pagina internet dell’autrice.Come se fossi una nuvola di Samuel Ferro
IL CIELO ED IL MARE
«Siamo distanti come il mare e il cielo
E per quanto possa alzarmi non spiccherò mai il volo
E ad ogni lacrima che lascerai cadere
Sarò qui ad accoglierla e a dargli valore
E come un sogno lontano nella mia mente
Ti raggiungerò nell’orizzonte
Dove finalmente il nostro amore verrà unito
In un abbraccio infinito»
Chi è Samuel Ferro Samuel Ferro è nato a Partinico, un piccolo paesino della calda Sicilia. Costretto a combattere molto presto con una vita dura che lo ha costretto a combattere faticosamente per la sopravvivenza, nella sua scrittura esprime un vissuto intenso e profondo. Nel 2018 esordisce con la sua silloge poetica Come se fossi una nuvola per Letteratura Alternativa Edizioni.Storia di una formica di Silvia Bologna
«C’era una volta un uomo
Che mi prendeva per mano
Per le vie del centro
Un cono alla pesca e pidocchio
Volevo io
In realtà era pistacchio
A testa in giù
Mi specchio
In quello che mi chiedi oggi
Tenendomi per mano
E io cerco dappertutto
Quel biscotto
Che ha il sapore dolce
Dell’amore
E l’amaro retrogusto
Del male
Che ti vuole inghiottire
E starò all’occhio
Il pistacchio
Il papocchio
E pure
Un cono alla pesca e pidocchio»
A volte la vita ci fa regali inaspettati, altre volte ci mette di fronte a verità scomode, difficili da accettare, impossibili da interpretare. C’è un punto, però, in cui queste due antitetiche realtà possono incontrarsi e rivelarsi regali. Seppur incartati male e deposti nelle nostre mani in modo maldestro, possono nascondere sorprese insperate. Di certo una cattiva notizia non può considerarsi un regalo. La cattiva notizia è una pastiglia amara da mandar giù. È una frustata di primo mattino. Un cibo avariato che si osserva con disgusto e che non si immagina mai che un giorno si sarà capaci di imparare a masticare. È il boccone di traverso che la vita prima o poi ci fa provare. «Ogni volta che leggo un libro o guardo un film detesto quella sensazione di non sapere cosa sarà dopo. Chiamiamola suspence, o attesa. Finisco per divorare le pagine o saltare capitoli a piè pari per sbirciare la fine prima di leggere il resto. Il grande fastidio della vita vera, è che non si può sbirciare. Bisogna passarci attraverso. Si può guardare indietro se si ha buona memoria. Si può provare a guardare avanti ma c’è nebbia fitta. Così guardiamo i nostri piedi e continuiamo a camminare. Sperando di non pestare una merda.» Giancarlo è un papà di 74 anni che adora la sua bambina ormai adulta, che durante la sua infanzia ha portato in giro in auto, tra una curva e una nausea, a visitare incredibili Punti Panoramici. È un uomo bellissimo, dalle lunga ciglia scure e gli occhi castani. È amato da famigliari e compagni. Dalla sua bambina, dai capelli bizzarramente colorati, ma dotata di buon senso. E lui è il suo re, il suo porto sicuro, il suo tutto. Un giorno questo re subisce un attacco da subdole e silenziose sentinelle interiori che hanno deciso di commettere un colpo di stato: marceranno lungo le sue vene arteriose scombussolando il normale fluire delle cellule. Il re traballa, ma non molla. Tutto il reame è sconvolto, ma organizza un esercito forte e coraggioso per assediare le ingrate sentinelle e farle sentire sconfitte. Perché non è la vittoria che conta in questa storia, ma la determinazione nel combattere, nel non voler rinunciare alla speranza, pur immaginando il triste epilogo. Parlare di un dolore immenso, che se non si è provato non si riesce neanche a immaginare, di un dolore che piega e spezza, è impresa valorosa che solo i cavalieri più illuminati possono fare. I cavalieri che hanno stretto fra le mani il Santo Graal che è l’amore per la vita. Una vita che ha subito una falla, una incrinatura difficile da riequilibrare, ma tenuta salda grazie alla forza dei ricordi, ai segni, ai gesti, ai tratti somatici che restano immobili, sul cuore e sui visi. «I racconti proseguono, giorno dopo giorno, e diventano il nostro filo rosso, prezioso, di valore inestimabile, eredità perenne di ricordi nuovi, antichi, dimenticati o mai detti, che intrecceranno nel mio cuore un tessuto che sarà per sempre la stoffa di cui sono fatta, un ponte tra presente, passato e futuro che aveva, prima, molte lacune.» Silvia Bologna, psicologa e autrice, impugna coraggiosamente la penna come una spada e incide la sua storia su carta con tratto soave. Ogni rigo è un fluire di emozioni che inumidiscono l’Anima del lettore. Gocce di vapore salgono a formare una fosca barriera che separa i personaggi dal mondo esterno, da quella che era vita ordinaria. «Andiamo al piano inferiore, dove si fanno gli esami del sangue per i pazienti oncologici ed ematologici. Ricomincia l’attesa. Mi viene spesso in mente l’espressione non-luogo. Uno spazio in cui si incrociano individualità, storie, persone diverse senza entrare in relazione, uno spazio in cui si aspetta e basta. Si aspetta una risposta, un cambiamento, una parola, una terapia.» Da figlia, la voce narrante si fa madre di un uomo fragile che cerca di essere roccia sino alla fine. La figlia diventa presenza accudente e rassicurante in quell’ultimo tempo insieme, a rincorrere un’ultima parola sussurrata più forte, un bacio, una carezza … un tocco lieve, un ultimo respiro. Senza remore, senza filtri, l’autrice di questo doloroso viaggio in fondo al cuore racconta di sentimenti autentici attraverso una scrittura limpida, carica di forza emotiva che coinvolge profondamente il lettore.«Mio papà mi ha riempito di così tanti doni durante la leucemia. Credo che lo abbia fatto anche un po’ di proposito. Mi ha indicato la rotta dove l’avevo smarrita, mi ha mostrato cosa conta. Sono stata il suo bastone, certo, ma lui la mia torcia. Per avere ancora più luce.»
Vedere la protagonista della storia attraversare i bui corridoi dei reparti d’ospedale, disegnarsi sorrisi per mandare giù le lacrime, trovare le parole per spiegare l’inspiegabile e poi sentire l’amore, un amore grande per la figura paterna, è per il lettore un viaggio doloroso ma al contempo catartico. E ce lo spiega, con una rara delicatezza e nobiltà d’animo, l’autrice che capire la vita attraverso la perdita è una gran bella verità. Difficile, dolorosa, ma sincera. È vita vera, amore puro. È la vita. Silvia Bologna Romanzo Letteratura Alternativa Edizioni pagg. 86 Euro 12,90 ISBN 9788894815412 Chi è Silvia Bologna Nata nel maggio del 1983, Silvia Bologna vive ad Asti dove gestisce il centro di ricerca educativa ImparAmare – soluzioni per imparare col cuore. Curiosa, romantica e ottimista, ha un viso sorridente di natura. Ama i colori, le parole colorite, le storie e le emozioni. Laureatasi a Torino in psicobiologia, ha conseguito un master in psicopatologia dell’apprendimento. Il suo compito, oggi, è quello di accompagnare bambini e famiglie a trovare nuove strade per imparare e andare d’accordo con le proprie emozioni. Ha collaborato alla redazione di articoli specialistici nell’ambito della psicologia dello sviluppo. Storia di una formica è il racconto di un percorso doloroso, spiegato con leggerezza d’animo, edito nell’estate 2018 da Letteratura Alternativa Edizioni da cui è stata tratta la trasposizione teatrale per la regia di Alessio Bertoli.L’ultima settimana di settembre di Lorenzo Licalzi
«Invecchiando, io rivelo il mio carattere, non la mia morte»
(James Hillman- La forza del carattere)
Lorenzo Licalzi
Romanzo
Rizzoli
pagg. 300
Euro 17,10
ISBN 9788817083119
«Il 22 settembre 2008, giorno del mio ottantesimo compleanno, intorno alle sette di sera, scrivevo la lettera che annunciava il mio suicidio. Non la classica lettera d’addio melodrammatica, infarcita di “mi dispiace”, richieste di perdono o piagnistei di autocommiserazione, ma piuttosto un gioco, un regalo che facevo prima di tutto a me stesso (ammetto che a scriverla mi sono divertito), e in seconda battuta ai miei vecchi lettori, ammesso che venisse pubblicata da qualche parte.» Entra in scena così Pietro Rinaldi nel racconto, a tratti insolente a tratti commovente dal titolo L’ultima settimana di settembre edito da Rizzoli nel 2015 che l’autore genovese Lorenzo Licalzi dedica al tema della vecchiaia e alle sue impensabili sfaccettature. Protagonisti sono Pietro, un nonno ottantenne, burbero, cinico e solitario, e Diego, un nipote quindicenne solare e leggiadro. I due non hanno mai stabilito un legame forte, ma la vita li unirà di fronte a una inaspettata tragedia. Senza più sua moglie Sara che gli addolcisce il carattere scorbutico, Pietro, irriverente ex-scrittore e voce narrante della vicenda, si ritrova a un punto della sua vita in cui è stanco di vivere, demotivato e disilluso. «Eppure la maggior parte delle persone è convinta che la vita sia bella – scrive nella sua irriverente e sarcastica lettera – (…) Se vivi perdi le persone che ami, se muori loro perdono te. La vita è crudele, l’unica fortuna che hai è quella di accorgertene tardi e così, se proprio non sei un imbecille, riesci ogni tanto a essere felice.» Della morte e della vita Pietro comincia a elencare i modi in cui non si suiciderà: non si sparerà, né userà il gas di scarico perché non ha una pistola e non sopporta l’odore dello smog, così come non può gettarsi nel vuoto perché abita al primo piano e non intende contorcersi dai dolori di avvelenamento o di alcun genere fisico come, ad esempio, l’annegamento. «Io voglio morire e su questo non ci piove, ma voglio essere libero di scegliere di non farlo, di cambiare idea magari all’ultimo momento. Non la cambierei, intendiamoci, ma è una questione di principio, non mi va di rinunciare come ultimo atto della mia vita alla cosa più preziosa che abbiamo: il libero arbitrio. Cosa faccio, urlo: “Spostati asfalto?” (…) Probabilmente finirei per temporeggiare perdendo sempre l’attimo fuggente, con il rischio di vedermi salvare da qualche angelo della strada, oppure, come minimo, di dover sopportare tutti i suoi ridicoli tentativi di convincermi a non farlo, magari puntando sulle banalità più sconcertanti quelle classiche di chi ti vuole salvare che, tra l’altro, sono in gran parte i motivi per cui mi suicido (…) Tra l’altro, per trovare un albero adatto all’impiccagione, robusto e riservato (diciamo dignitoso) dovrei prendere l’autobus, e prendere l’autobus per andare a suicidarmi è una cosa ancora più deprimente della stessa depressione che ti porta il suicidio.» Il lettore potrebbe domandarsi, a questo punto, come mai una mente così lucida e vivace, che appunta meticolosamente su una agenda i nomi di quelli che gli stanno sul cazzo e che decide di indossare il suo abito migliore per l’ultima colazione della sua vita, valuti la drastica scelta del suicidio. Quando poi ingoia quattro pasticche di Tavor e manda giù bicchieri di Dom Perignon, Pietro viene interrotto prima da insistenti Testimoni di Geova, ai quali con stizza dice: «Statemi bene a sentire, tra un’oretta dovrei vedere il vostro capo, quindi se non vi levate immediatamente dalle palle sarò io a parlare di voi a Lui, e giuro che vi farò perseguitare per tutta la vita.», e poi dall’arrivo improvviso della figlia Roberta, che non gli risparmia una bella lavata di testa quando suo padre prontamente comincia a ingiuriare il marito che non ha mai sopportato. «Con te è sempre stato tutto così difficile, e non dico ora, ora vabbè sei peggiorato, ma ormai non ci faccio più caso, anche prima, soprattutto prima direi, per anni, ogni volta che facevo una cosa stavo lì a pensare come l’avresti fatta tu, anzi no, se tu avresti voluto che la facessi così, e avevo sempre paura di sbagliare … (…) Pensa com’è la vita, magari se non fossi stato così come sei sceglievo un uomo come volevi tu, e comunque, a parte tutto questo, io ho bisogno di un uomo che mi stimi.» Un viaggio imprevisto «E non so, sarà stato il posto così assurdo e incredibile, così proibito e suggestivo, così magico, ma pareva che la luce del faro illuminasse anche la nostra anima, la scandagliasse, e ci indicasse la via per inseguire i nostri sogni.» Costretto ad accettare di occuparsi del nipote Diego, assieme al “mostruoso gigantesco famelico puzzolente sbavante” cane di famiglia, Sid, incrocio tra un San Bernardo e un Terranova, il suo piano di suicidio viene momentaneamente messo da parte. Quello che avrebbe dovuto essere un fastidio di pochi giorni, si rivelerà, purtroppo, a causa di una tragedia che colpisce la famiglia, una incombenza più duratura, che Pietro affronterà con un coraggio inaspettato, scoprendo nuove risorse in sé e ri-trovando la parte di lui più esuberante e avventurosa. Nonno, cane e nipote partiranno per una viaggio che riserva incontri, sorprese ed emozioni inaspettate. Attraverso i suggestivi paesaggi marini della Liguria fino al porto di Ostia, passando per Bracciano, sulla loro sfrecciante Citroen DS Pallas decapottabile i protagonisti della storia affronteranno momenti contrastanti fra tensioni e spensieratezza. Pietro rivelerà un lato di lui fanciullesco inaspettato al nipote, che a sua volta si dimostrerà più maturo della sua età. In questo gioco di specchi, Licalzi mostra il duplice volto della vecchiaia, così come esprime con grande originalità James Hillman nel suo saggio La forza del carattere: «L’occhio anomalo è l’occhio vecchio. L’anima vecchia, invecchiata nella propria peculiarità, è incapace, anzi, di vederci dritto; è sempre un po’ strabica e preferisce lo strambo. L’amore per ciò che è strambo può apparire anche a un’età precoce, come nei soprannomi affettuosi che i ragazzini si danno a vicenda e che isolano un aspetto o un tratto particolari del carattere. Ma di solito la giovinezza preferisce il conforme, e cerca di adattare o smussare gli spigoli. Da vecchi, diventati noi stessi esemplari di unicità, cerchiamo compagni che siano a loro modo strambi come noi lo siamo a modo nostro. Abitudini quotidiane simili, esperienze passate affini, sintomi analoghi, ambiente sociale in comune non sono abbastanza confortanti. Il piacere, l’amore ce lo danno i compagni di unicità. La strana coppia: una coppia di originali.» E proprio ritrovando se stesso, quello che sempre Hillman definisce il carattere individuale, Pietro scoprirà che la vecchiaia in realtà è una forma d’arte, un capolavoro da costruire per lasciare una traccia fondamentale di sé durante il passaggio in questa vita. «Per riuscire a imboccare la strada giusta, mantenerla e non perdersi, non basta solo una riflessione su ciò che si è o che si vuole diventare, sugli errori commessi o sulle scelte sbagliate. Quella è scontata, dire la condizione sine qua non, ma occorre anche che in ogni istante ci si sforzi, almeno finchè non viene naturale farlo – perché questo è fondamentale, non deve essere una fatica, ma il recupero di una attitudine innata trasmessaci dai nostri antenati preistorici senza la quale si sarebbero estinti – di essere presenti a se stessi, essere, appunto, consapevoli nel momento.» Chi è Lorenzo Licalzi Nato a Genova nel 1956, Lorenzo Licalzi decide di dedicarsi alla psicologia e alla scrittura dopo aver fondato e diretto una casa di riposo. È autore del bestseller Il privilegio di essere un guru aggiudicatosi nel 2005 il premio Selezione Bancarella. Fra gli altri suoi romanzi Io no, da cui è stato tratto l’omonimo film diretto da Simona Izzo e Ricky Tognazzi, Che cosa ti aspetti da me, Sette uomini d’oro, Vorrei che fosse lei, Un lungo fortissimo abbraccio, Cerchiato di blu, e il più recente Le alternative dell’amore.Il prossimo bersaglio sarai tu di Roberto D’Angelo
«Qui tra la gente che viene che va Dall’osteria alla casa o al lupanare, dove son merci ed uomini il detrito di un gran porto di mare, io ritrovo, passando, l’infinito nell’umiltà.
Qui prostituta e marinaio, il vecchio Che bestemmia, la femmina che bega, il dragone che siede alla bottega del friggitore, la tumultuante giovane impazzita d’amore, sono tutte creature della vita e del dolore; s’agita in esse, come in me, il Signore.
Qui degli umili sento in compagnia Il mio pensiero farsi Più puro dove più turpe è la via.»
Umberto Saba, Città vecchia (Canzoniere)
Roberto D’Angelo Giallo Letteratura Alternativa Edizioni pagg. 214 Euro 14,90 ISBN 9788894815597 «Chi la vedeva più spesso, la considerava semplicemente strana. Strana per quel suo corpo dipinto. Strana perché era sempre sola. Strana perché non dava confidenza a nessuno. Strana perché, anche se attraente e molto giovane, era sciupata, vissuta.» Il prossimo bersaglio sarai tu dell’autore astigiano Roberto D’Angelo si distingue sin da subito per la narrazione da un punto di vista femminile, quello di Anna, ragazza dei giorni nostri, nata a Torino, città in cui è ambientata la vicenda. La giovane donna rappresenta la figura letteraria che in epoca moderna viene bistrattata dalla comunità, la prostituta costretta dalla vita a scendere ai più vili compromessi. Non più etere greche che danno piacere con la loro mente e il loro corpo agli uomini dell’epoca classica, o abili cortigiane, accompagnatrici e consigliere, ma come la Nanà di Zola o la Fantine di Hugo, la Anna di Roberto D’Angelo fugge da una infanzia difficile e, vittima della sua ingenuità, si ritrova a essere manipolata da uomini duri e insensibili. Barlume di speranza L’unico rifugio è quello nei sogni di salvezza e l’unica forza è quella di proteggere la persona a lei più cara. Il suo coraggio diventa così eroico. Perchè c’è sempre una persona cara da proteggere, sin dall’infanzia. Nel caso di Anna è il fratello minore, che da piccolo stringeva fra le braccia sotto le coperte per consolarlo dai pianti di paura mentre ascoltavano, dalla stanza accanto, i lamenti della madre per le percosse paterne, che ora, da grande, protegge dalle minacce dei suoi protettori-padroni. Creatura spaventata e disarmata, Anna si trincera dietro uno sguardo gelido e vitreo, dietro parole secche e dirette e, soprattutto, impara a capire le mosse di chi ha di fronte. Così, dinanzi alla gentilezza del commissario Nicola Laterza, Anna resta perplessa e guardinga, ma al tempo stesso affascinata. Non è abituata alle attenzioni, a parole sussurrate con calma. Certo c’è Gigi, il ragazzo balbuziente e disadattato che tutte le sere la cerca, come ultimo cliente, solo per parlare, al quale si è affezionata. L’ambiguità della fiducia Ma nello sguardo di Nicola c’è qualcosa di diverso. Mentre indaga sui pluriennali omicidi che sconvolgono la città, compiuti da un serial killer che si firma con una incisione a forma di spada sul corpo delle vittime, scagnozzi della prostituzione, dimostra rispetto e qualcosa di più nei suoi confronti. Figlio di poliziotto, instancabile nelle sue investigazioni, Nicola si avvicina sempre più a lei. La figura della ragazza, nel suo doppio ruolo di angelo-demone, innocente e seducente, lo turba, in particolar modo per gli strani tatuaggi disegnati sul suo corpo, di cui lei è tremendamente gelosa. Mentre le indagini proseguono, il rapporto fra Anna e Nicola diventa ambiguo e i personaggi intorno a loro si muovono verso direzioni che convergeranno in una unica pista finale, con un imprevedibile colpo di scena, come dai più riusciti gialli ci si aspetta. Il ritmo e la struttura di Il prossimo bersaglio sarai tu Dal ritmo narrativo incalzante, dialoghi serrati, struttura ben architettata, anche se spesso ricco di descrizioni nei gesti dei personaggi, Il prossimo bersaglio sarai tu è un romanzo che si distingue per l’abilità nel tratteggiare la protagonista femminile che, proprio alla stregua di molte eroine classiche dedite al più antico mestiere del mondo, mantiene una certa purezza d’animo. Inconsapevole dei pericoli a cui va incontro, Anna lotterà a costo della sua vita pur di preservare l’immagine del fratello minore dalla verità sulla macchia della sua condizione. Inoltre, descrivendo il passato della protagonista, l’autore documenta una realtà cupa del nostro paese, di cui sono vittime ragazze completamente sole e indifese. «Era buio, come tutte le volte che, da anni, se ne stava in piedi in quel tratto di strada isolato. Marciapiede di giorno e valle degli inferi di notte, perché questo era per lei. Un luogo sinistro e tetro dove era destinata a vivere, da dannata con i dannati. Senza speranza di poter tornare nel mondo dei vivi. Ogni giorno aveva un motivo in più per rendersene conto.» Il messaggio del romanzo Abituate alla mancanza d’amore sin dalla tenera età, molte di loro si convincono di non meritare considerazione e si lasciano sovrastare da abusi e percosse. Abbandonate a se stesse, incomprese, la vita le piega, le ferite non si rimarginano facilmente, ma resta la speranza di essere salvate, un giorno, e quella luce per Anna sarà proprio l’ispettore che, prendendosi cura di lei, la guiderà, discretamente e con rispetto, verso la prospettiva di una nuova vita. Chi è Roberto D’Angelo Nato ad Asti, dove vive con la sua adorata famiglia, il 12/09/1965, Roberto D’Angelo lavora nell’ambito commerciale di un’importante Compagnia di Assicurazioni. Appassionato di cucina e di montagna, fa anche parte di una Compagnia teatrale amatoriale astigiana – “I Matt’Attori” – “brigata” che devolve in beneficenza i proventi degli spettacoli. Roberto d’Angelo scrive di notte, quando l’oscurità e la solitudine pungolano impetuosamente la sua parte “noir” e l’urgenza di scrivere diventa necessaria. Il giallo dal titolo Il prossimo bersaglio sarai tu è il suo esordio per la casa editrice Letteratura Alternativa Edizioni.Come farfalle sull’acqua di Monica Tedeschi
Fra dolore, inganni dell’anima, lacerante solitudine, lacrime brucianti miste a sorrisi ritrovati, nel suo libro Come farfalle sull’acqua edito da Letteratura Alternativa Edizioni nel 2018, Monica Tedeschi si confessa ai suoi lettori a cuore aperto.
«Gli dei sono diventati malattia»
(C. G. Jung)
C’è un male che esiste da sempre e che colpisce l’intera umanità. Un male oscuro, spesso incompreso, mal interpretato, denigrato. Un male che dilania l’Anima divorando la luce. E allora tutto diventa buio, ombra che ingoia gioia, speranza, possibilità. E più si vorrà ostacolare quest’ombra che avanza, più paradossalmente essa imprigionerà la vittima perchè è proprio attraverso la depressione, ha detto lo psicoanalista e filosofo statutinense James Hillman «che entriamo nelle profondità, e nelle profondità troviamo l’anima. La depressione è essenziale al senso tragico della vita. Essa inumidisce l’anima arida e asciuga quella troppo umida. Dà rifugio, confini, centro, gravità, peso e umile impotenza. Essa tiene vivo il ricordo della morte. La vera rivoluzione comincia nell’individuo che sa essere fedele alla propria depressione. Che non si dibatte per uscirne, preso in un alternarsi di speranza e disperazione, né la sopporta pazientemente finché la marea non retrocede, né la teologizza, ma che scopre invece la coscienza e le profondità di cui essa ha bisogno. Così ha inizio la rivoluzione per il bene dell’anima.» (J. Hillman, Re-visione della psicologia) Quella di cui parliamo è una storia vera. La rocambolesca e sofferta esperienza di un’Anima che cammina nel buio rifuggendo la luce, che inciampa sui suoi stessi passi, rialzandosi e cadendo, infinite volte. «Se non fossi caduta in questo baratro, non avrei avuto la sensibilità per accarezzare un fiore.» Arriva, improvviso e inaspettato, lo schianto. Un punto della vita in cui il suolo sul quale camminava si incrina e la risucchia in un vuoto senza fine.Un buio che le avvolge la mente e il cuore: l’umor nero l’ha rapita e la tiene incatenata nel suo profondo abisso. È stanca, melanconica, inerte e senza sapere il perché. Si sente finita, pur continuando a vivere. «Ero Monica, ma ero ansia, ero panico, ero disperazione, ero sudore, ero euforia. In me vi erano mille persone e io non potevo disfarmene.» Poi, inaspettatamente, si rialza e si sente … leggera! In grado di volare, sorvolare la realtà, si sente un dio, invincibile. Non dorme, non mangia, ma d’improvviso, presa da impeti creativi, dipinge, legge, studia, produce. E accade di notte, quando calano le tenebre, la luce del giorno impedisce di guardarsi, il buio è la condizione ideale per sentirsi in sintonia con il proprio malessere, quel voler scavare in profondità. É tutto ma poi, ancora schiantata al suolo, è di nuovo niente. Spaventata, tremante e infreddolita, rinsecchita, chiusa in un armadio o immersa in una vasca d’acqua calda. «Chi ero io? Ero la persona distrutta o la persona euforica?» Nel suo eterno tira e molla con la vita, il male che l’affligge è una corda che si scompone ma non si spezza mai, è come la roccia di Sisifo portata sulla montagna e fatta rotolare giù, infinite volte. È questa, forse, la maledizione. Essere al mondo per sentirsi invincibile sapendo di essere fragile, piccola, effimera. Questa vita più grande di lei, rende l’Anima insicura, smarrita, priva di obiettivi. Sconfitta, di fronte alla sfida di voler essere tutto, si accascia. Ma la mente freme, alla ricerca di una spiegazione. Da dove deriva questo mal(d’)essere? «Come dire che siamo tutti sani, poi nella vita ognuno si ammala di qualche cosa, la qualcosa lo rende solamente diverso per la malattia, ma il suo essere individuo sotto lo stesso cielo non varia.» Troppe domande consumano il cuore, troppe terapie ipotetiche confondono i pensieri, impedendo all’Anima di vibrare in libertà, di cogliere nel sintomo la conquista per un nuovo volo. «Veniamo al mondo ed è la vita che dobbiamo vivere, per quanto complicata, dolorosa, deludente, ma è un dono, una meravigliosa e unica opportunità.» Tuttavia, stare al mondo non è facile. “Dagli umani mi staccai molto presto, in quanto a mio avviso inaffidabili, per la maggior parte.» Eppure la vita la riporta dove non riesce ancora a vedere senza l’opprimente velo nero sugli occhi. «Monica temeva la Monica della disperazione e temeva la Monica euforica, non accorgendosi mai del tempo che stava passando, presa solo dal dover combattere per sopravvivere al dolore come all’euforia, tragiche facce di una stessa medaglia.» E così, dopo ventisette anni di lotta, Monica si scopre finalmente coraggiosa, (anche se prima non credeva di esserlo) forte (come la roccia che si lascia consumare dall’acqua) e leggera (come una farfalla al suo primo battito d’ali). Le tante Moniche si sono rincarnate infinite volte ricadendo e liberandosi dall’abisso malevolo e ingannevole della depressione bipolare. L’eroina di questa spietata Odissea psichica è riuscita ad approdare sulla sua isola tenendo per mano la sua subdola nemica, che con sguardo benevolo tenta di pietrificare ogni qualvolta essa cerchi di specchiarsi nei suoi occhi, ogni qualvolta che o c’è troppa luce o c’è troppa ombra e non si riesce a capire che solo la luce che esce dal buio porta alla consapevolezza. «Ho sempre pensato che la depressione mi sia venuta in aiuto, mi abbia migliorata. (…) Avrei voltato il viso alla vita e avrei passeggiato leggera sull’esistenza stessa, assumendo più o meno atteggiamenti, ruoli, vestendomi in base ai tempi … No. La malattia mi ha fatto studiare, leggere, osservare, confrontarmi, è stata come una bacchetta o meglio un bastone con nodi che a ogni mio inutile abbandono a leggerezza o inganni, come una frustata mi diceva di capire e andare oltre. (…) Sarei stata probabilmente un corpo pesante, fortemente legato alla terra e non mi sarei accorta di quel soffio divino che tutto attraversa.» Monica Tedeschi Autobiografia Letteratura Alternativa Edizioni pagg. 78 Euro 11,90 ISBN 9788894815580 Chi è Monica Tedeschi Classe 1966, Monica Tedeschi vive tra l’Italia e l’estero: Torino, Londra, New York, Parma, Parigi, Palermo, per approdare, poi, in un paesino del Monferrato dove attualmente si è trasferita. Dedita all’arte della fotografia, tiene mostre nel settore e nel 1993 è nominata Giovane artista fotografa italiana alla V Biennale internazionale di Fotografia a Torino, nel frattempo dipinge e scrive. Ha collaborato come pubblicista e blogger per “La Nuova provincia di Asti” e con Ildebrando Tosi-art director della CONDE’NAST(VOGUE). Il Maestro d’arte in pittura Edoardo Brighenti, artista dell’avanguardia prematuramente scomparso, la definisce “la surrealista astratta della fotografia e della pittura”. Ha inoltre ricevuto il PREMIO AMBIENTE dal critico d’Arte DONAT CONENNA (Mediapolis).«Nel 1990 caddi malamente, mi ruppi qualcosa, ma non un osso. Una sensazione tanto fisica quanto immateriale sconvolse la mia vita e nulla tornò più come prima. Avevo appena 24 anni e il mio cervello, ridotto a una sottilissima lamina, mi schiantò al suolo.»