Intervista a Carla Maria Russo

Autrice di romanzi storici, attualmente nelle librerie con l’appassionante “Una storia privata. La saga dei Morando” Edizione Piemme, Carla Maria Russo risponde alle domande di Mi libro in volo. Benvenuta nello spazio dedicato alle interviste agli autori. È con immenso piacere che Mi libro in volo ospita una voce importante come la sua nel panorama della narrativa italiana che si distingue per la maestria nel ritrarre personaggi femminili storici. Come si legge nella sua biografia, ama trascorrere molto tempo presso le biblioteche, dove si isola per portare avanti ricerche storiche. Le chiedo subito, allora, cosa prova quando si ritrova circondata da volumi e da voci del passato? «La ricerca storica è sempre stata una delle mie grandi passioni. Non solo quella che si studia attraverso i testi di storiografia disponibili in commercio, quanto quella che si costruisce andando a cercare le “fonti primarie”, ovvero i testi originali, antichi. Una delle più forti emozioni che ho vissuto si è verificato quando, nella biblioteca nazionale di Firenze, ho avuto tra le mani un codice del XIII secolo e ho potuto sfogliarlo e leggerlo (impresa non così facile!). Da quei testi emergono storie meravigliose, spesso del tutto sconosciute, avvincenti, modernissime, che toccano i grandi temi della vita umana e che mi hanno suscitato la voglia di raccontarle.» La storia e i personaggi femminili, come sopra accennato, sono le peculiarità delle sue ricerche. Da dove nasce questo interesse e quale è stato il primo personaggio che l’ha conquistata, al punto da inserirlo in un suo libro? «Io sono molto attratta dalle storie che incontro, a prescindere dal fatto che i protagonisti siano uomini o donne. Mi attrae la loro vicenda umana, i temi che essa pone alla mia attenzione e la sua modernità. Tanto è vero che il primo personaggio cui mi sono dedicata è stato un uomo, Farinata degli Uberti, del quale, consultando gli scritti degli antichi cronachisti, ho scoperto una incredibile epopea personale che si fondeva con quella di un’intera città, Firenze, in un periodo drammatico della sua storia (la guerra civile tra guelfi e ghibellini) e che mi ha avvinto per la grande modernità dei temi che poneva, quelli della passione politica e della coerenza con le proprie idee, spinta fino a sacrificare tutto: la vita propria e quella dei figli, il patrimonio familiare, le memorie.»  Ha esordito come autrice per la casa editrice Il Battello a Vapore con romanzi storici per ragazzi. Come è riuscita a conciliare il lavoro di documentazione storica all’aspetto narrativo nell’intento, se c’è stato, di invogliare all’amore per la materia, il giovane pubblico? «La documentazione storica è uno dei presupposti fondamentali per scrivere un buon romanzo. L’autore deve conoscere alla perfezione l’ambiente nel quale di muovono i suoi personaggi, perchè solo all’interno di un contesto molto realistico, credibile e fedele i personaggi possono muoversi a loro agio, essere a loro volta credibili, reali e psicologicamente approfonditi. La documentazione storica non deve mai essere usata in modo didascalico, per chiunque si scriva, ragazzi o adulti, ma sempre e solo strumentale: serve all’autore per ricreare lo scenario realistico e fedele nel quale i protagonisti si muovono.»  
L'acquaiola di Carla Maria Russo Edizioni Piemme 2018
L’autrice Carla Maria Russo
Protagoniste dei successivi romanzi sono donne che hanno fatto la storia, chi in maniera più eclatante, chi meno. Partendo dalla prima, Costanza d’Altavilla de “La sposa normanna”, l’immagine che ne ritrae si distingue per le difficili prove affrontate, fra le quali quella della maternità, tema ricorrente in molti altri romanzi. Divise fra sentimenti e ragion di stato, molte delle sue eroine vivono l’aspetto materno nelle più svariate sfumature: dalla sofferenza alla rivalità, dalla rinuncia alla perdita. Con quale delle sue protagoniste ha condiviso emozioni che l’hanno riportata, in qualche modo, a un universo femminile vicino al suo? «Scegliere non mi è possibile perché tutte mi hanno regalato fortissime emozioni, consentendomi di affrontare, tramite la loro esperienza, temi molto cari al mio cuore: i nodi familiari, il rapporto con la maternità, il ruolo sociale delle donne, il potere esercitato nei loro confronti dagli uomini e dalle convenzioni sociali, la loro determinazione a lottare contro gli stereotipi più oppressivi, per affermare se stesse. Tutte le donne di cui mi sono occupata sono state, in forme e modi diversi, interpreti di queste tematiche e, in qualche modo, tutte hanno dovuto lottare, a volte vincendo, a volte soccombendo, per affermare se stesse, il proprio punto di vista, la propria personalità ed esigenze.» Non mancano nei suoi romanzi figure maschili che lasciano il segno, come il coraggioso Farinata degli Uberti, protagonista de Il cavaliere del giglio o il re di Francia Luigi VI de La sposa irreverente, fino ai più recenti Pietro Morando della saga omonima o Luigi de L’acquaiola. Sono tutti personaggi che si misurano con donne forti, dall’indole ribelle. Ne L’acquaiola, Luigi viene cresciuto dalla giovane Maria, che diventa per lui un solido punto di riferimento nei momenti di sconforto e di decisioni importanti. Luigi, e successivamente suo figlio Ermes, si affidano a Maria, simbolo di sapienza e resilienza. Come definirebbe il confronto fra il maschile e il femminile nelle sue storie?
«Vario, così come è vario nella realtà, ma tuttavia sempre fortemente condizionato dalle convenzioni sociali e dai suoi stereotipi. Per gli uomini, è sempre stato molto difficile abbandonare modelli di comportamento, ideologie e convincimenti perpetrati nei secoli, perché questi li hanno sempre enormemente favorito. Sono solo stati costretti, dalla forte determinazione delle donne, a cedere un poco del proprio potere assoluto. Ci sono voluti secoli per conquistare quello che abbiamo conquistato e siamo ancora indietro. Si pensi che il diritto al voto è stato ottenuto pochi decenni or sono. E non ci veniva concesso perché gli uomini non intendevano rinunciare al convincimento di una inferiorità intellettuale della donna, tramandato nella società per secoli e secoli, codificato dalle religioni e confermato dalla giurisprudenza.»
Una storia privata. La saga dei Morando di Carla Maria Russo - Edizioni Piemme 2019
Una storia provata. La saga dei Morando è l’ultimo romanzo di Carla Maria Russo uscito nel 2019 per Edizioni Piemme.
Gli ultimi romanzi pubblicati si differenziano dai precedenti per un’ambientazione storica sempre più vicina ai giorni nostri. Come mai questo salto? «Perchè io mi lascio attrarre dalla storia privata, non dal periodo storico. Quindi possono attrarmi storie ambientate in qualsiasi periodo.»  In conclusione, ringraziandola per la disponibilità e gentilezza, vorrei chiederle di salutare i lettori di milibroinvolo con una frase pronunciata da una delle sue indimenticabili eroine che secondo lei può essere da monito all’amore per la cultura.
«Mah…ce ne sarebbero moltissime. Tutti i protagonisti delle mie storie danno un forte valore allo studio, specie se sono donne. Senza cultura, non esiste consapevolezza e dunque, non esiste neppure coscienza del proprio valore e dei propri bisogni.
In ogni caso, per non eludere la domanda, cito una breve frase di Aliénore (protagonista de La regina Irriverente) che considerava la cultura un pilastro della sua esistenza, a differenza di sua sorella Petronilla, che, facendo più fatica a studiare, tentava sempre di scansare l’impegno…E dunque, Petronilla riteneva che… 
….avrebbe fatto molto meglio a trascorre il tempo giocando e divertendosi. Ma, poi, chi l’avrebbe sentita, Aliénore. L’avrebbe afferrata per un orecchio e ricondotta al tavolo di lavoro.
“Se le ore che dedichi allo studio non sono sufficienti per imparare, significa che ce ne voglio di piu”»
Leggi la recensione al romanzo L’acquaiola di Carla Maria Russo

Very for you. Un amore impossibile di Gabriela Voinea

  Very for you. Un amore impossibile di Gabriela Voinea è un breve romanzo autobiografico uscito nel 2019 per la casa editrice astigiana Letteratura Alternativa Edizioni, in cui si indaga la realtà virtuale di un amore sognato e vissuto con intensità, nella voglia di esplorare le proprie emozioni sconosciute.   Very for you (una storia impossibile) di Gabriela Voinea - Letteratura Alternativa EdizioniAutore: Gabriela Voinea Genere: Narrativa Casa editrice: Letteratura Alternativa Edizioni Pagine: 86 Prezzo: Euro 14,90 ISBN: 978-88-94815-73-3  

«Ho capito che in questa chat siamo sullo stesso treno, ma ognuno viaggia nella propria carrozza. E poi, una volta scesi, prendiamo strade diverse.»

  Gabriela Voinea ci racconta una storia al femminile, vera, senza filtro e, soprattutto, senza rischio di incorrere nell’errore di una narrazione di genere. È piuttosto una storia di resilienza, di un destino messo già a dura prova, la storia di chi impara ad accettare quanto la vita ha da offrire, nel bene e nel male. E se proprio volessimo cogliere tratti tipicamente femminili in questa storia, allora di sicuro dovremmo soffermarci sullo spazio che la voce narrante si ritaglia, nel quale riversa emozioni personali in una dimensione prettamente intimistica, attraverso il genere autobiografico e una narrazione immediata, cronachistica, nonché sincera, e l’uso di dialoghi diretti e serrati. «Mi chiamo Gabriela e sono nata in Romania. Le mie origini sono umili, perché sono stata cresciuta solo da mia mamma, dopo che mio padre ci ha lasciate quando non ero ancora nata. Non è stato semplice nemmeno per mia madre che, dopo essersi risposata e aver avuto un’altra figlia si è vista portare via il suo uomo, l’unico papà che ho mai conosciuto, in un terribile incendio dentro la nostra casa per una fuga di gas. (…) Sono genuina nelle mie reazioni e questa mia caratteristica mi fa emozionare e sorprendere anche per le cose apparentemente più insignificanti.» Very for you. Un amore impossibile edito da Letteratura Alternativa Edizioni è la cronaca di una storia d’amore ai tempi delle chat di incontri, che sviscera i toni e le modalità di questo innovativo spazio virtuale per instaurare nuove conoscenze. Un modo a volte divertente, altre audace per connettersi alla realtà dei cuori solitari, che spesso nascondono demoni interiori difficili da affrontare. Gabriela, scappata dalla Romania a causa di un brutale legame coniugale, decide di affrontare la solitudine di un lavoro che non le lascia tregua affidandosi ai social e a una chat di incontri dove instaura una amicizia virtuale con un uomo. Lo sconosciuto, che ha come nickname “veryforyou” si rivela gentile e molto premuroso e in particolar modo attento verso le sue esigenze di donna lavoratrice, inducendola a non calpestare i suoi diritti. Poi, pian piano inizia a corteggiarla e la protagonista si lascia conquistare, aggrappandosi a questo nuovo legame che la fa sentire meno sola e apprezzata. Quando si incontreranno di persona, fra i due sboccerà una tenera complicità e una passione travolgente, destinata però a concludersi molto presto. È in quel momento che Gabriela prenderà consapevolezza, seppur duramente, che «l’amore non è solo ricerca di felicità e di passione ma diventa un bisogno che nasce dal profondo dell’anima.» Così insegue questo amore “impossibile” attraverso i sogni, i ricordi, le speranze, i suoni, i sapori, perché per lei: «Non importa quanto tempo sia passato, non importa quanta distanza ci separi, non importa la gente … non importa come sia andata a finire né come finirà.» Questo amore Gabriela lo custodisce dentro sé, come un bel dono della vita, che adesso le consente di affermare:

«Sono una donna nuova che finalmente sceglie se stessa, si perdona, impara dai propri sbagli e ricerca emozioni mai sperimentate.»

E sceglie di farlo nella vita reale. L’autrice di questo gradevole libricino ci racconta come si torna a rinascere, a scoprire la luce dopo il buio e lo fa proprio mostrando la capacità trasformativa insita in coloro che dal fango riescono a cogliere i diamanti, indipendentemente dal fatto che si sia donna o uomo.     Very for you. Un amore impossibile di Gabriela Voinea Letteratura Alternativa Edizioni Chi è Gabriela Voinea? Gabriela Voinea nasce a Busteni, in Romania, il 14 giugno del 1971. Nata in Romani il 14 giugno del 1971, Gabriela Voinea è giunta in Italia nel 2010 e ha lavorato come operatore sociale ad Asti. La scrittura l’ha aiutata a scoprire la bellezza della lingua italiana e a evadere da una realtà spesso difficile da sopportare. Nel 2017 ha frequentato a Milano un corso di scrittura tenuto da Giacomo Bruno e nel 2018 ha partecipato al laboratorio di scrittura creativa a cura dell’associazione Cre.Ar.Te. Very for you. Un un amore impossibile è il suo esordio nel mondo della narrativa per la casa editrice Letteratura Alternativa Edizioni.  

La casa sull’argine: incontro con Daniela Raimondi

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Nell’ambito della manifestazione “Un castello di libri”, in corso a Voghera a partire da sabato 26 settembre, l’autrice di origini mantovane Daniela Raimondi ha presentato il suo romanzo epico “La casa sull’argine”, pubblicato dalla Casa Editrice Nord a fine agosto 2020, seguito in una sola settimana da una seconda edizione. Scrivere una saga familiare, oggi che il genere sembra riscuotere un rinnovato interesse fra il pubblico, sarà sicuramente impresa ostica, visto che l’autore deve cercare di trovare una formula nuova per distinguersi e farsi spazio nella storia della letteratura. E se invece un vero segreto non esistesse? Se il fascino della saga fosse racchiuso proprio in un sentimento innato all’uomo, un richiamo ancestrale alle proprie radici? «Si comincia sempre dalla propria storia.» Apre con queste parole la sua prima presentazione live ufficiale del romanzo La casa sull’argine, Casa Editrice Nord, la scrittrice Daniela Raimondi, presso la suggestiva cornice del castello visconteo di Voghera. Dopo numerose pubblicazioni alle spalle, tra le quali soprattutto raccolte di poesie, che le sono valse importanti riconoscimenti e premi, l’autrice ha esordito nella narrativa con una saga che Stefania Auci, reduce dal suo grande successo con I Leoni di Sicilia, edito sempre dalla Casa Editrice Nord, ha definito:

«Vitale, poetico e pieno di passione: grazie a un coro di voci autentiche, trascinanti, questo romanzo racconta una storia indimenticabile»

Dai versi, che con la loro brevità condensano frammenti di realtà, al genere più particolareggiato della prosa, Daniela Raimondi ha superato il grande scoglio che da anni la ostacolava nel completare la narrazione di decenni di storia della sua famiglia di origine. Nata da una idea iniziale di concentrare la narrazione al XX secolo, la trama si è poi ampliata anche a quello precedente, dove le tracce della storia italiana si fanno vivida presenza, così come ci ha tenuto a precisare Elisabetta Balduzzi, libraia attiva sul territorio, ideatrice e presentatrice ufficiale della kermesse vogherese, giunta alla quinta edizione e dedicata quest’anno al concittadino scrittore Alberto Arbasino, scomparso nel marzo 2020.
Un castello di libri Voghera 2020 Incontro con l'autrice Daniela Raimondo La casa sull'argine Casa Editrice Nord
Da sinistra: l’autrice Daniela Raimondi, la moderatrice Marina Carbone, la presentatrice ufficiale Elisabetta Balduzzi
L’incontro, moderato da Marina Carbone, assessore alla cultura del comune pavese di Montesegale, ha esaltato il connubio tutto al femminile della presentazione, e proprio sulle numerose figure femminili presenti nel romanzo si è voluto porre l’accento. Donne umili, caratterizzate da una grande forza d’animo e che, come ha precisato l’autrice, non si fanno travolgere dalle avversità della vita. Eroine resilienti di una tradizione contadina nostrana che simboleggiano il coraggio di rialzarsi della nostra nazione dall’epoca risorgimentale agli anni di Piombo.
La casa sull'argine di Daniela Raimondi - Casa Editrice Nord - 2020
La casa sull’argine di Daniela Raimondi – Casa Editrice Nord – 2020
Il romanzo La casa sull’argine Casa Editrice Nord Libro intimistico e al contempo epico, La casa sull’argine racconta le vicende della famiglia Casadio,  contadini semplici e instancabili lavoratori, nel borgo di Stellata, all’incrocio di Lombardia, Emilia e Veneto. L’arrivo sul posto di una carovana di zingari, evento storico del mantovano nel XIX secolo, segnerà per sempre la sorte dei Casadio: il celibe quarantacinquenne Giacomo si unirà in matrimonio con l’eccentrica gitana Viollka Toska, dividendo la grande famiglia in due ceppi, da una parte i sognatori dagli occhi azzurri e i capelli biondi, e dall’altra i sensitivi bruni. I Casadio si ritroveranno così invischiati in una complessa dicotomia fra sogno e realtà, nel perenne interrogativo se è meglio uccidere o inseguire i propri sogni. Non a caso all’inizio del romanzo la Raimondi ha inserito la celebre citazione shakespeariana:

«Noi siamo fatti della stessa materia dei sogni

e la nostra breve vita

si completa in un sonno.»

  E proprio restando in termini di citazioni, l’autrice ricorda che è stato Primo Levi ad affermare che «La vita contadina è sempre un po’ magica.» I due rami dei Casadio, allora, non fanno altro che rivelare un realismo magico connaturato all’esistenza stessa, nel quale è racchiuso il fascino de La casa sull’argine, esempio letterario di un processo di mitizzazione del passato della nostra nazione in un atto magico di ricostruzione attraverso la potenza immaginativa della memoria.  

L’acquaiola di Carla Maria Russo

Edito da Piemme nel 2018 e candidato allo Strega 2019, L’acquaiola dell’autrice di origini molisane Carla Maria Russo è il racconto di un’eroina umile e forte, portavoce di valori antichi e ancestrali di una realtà aspra e rurale nell’Italia meridionale del primo Novecento.
«Maria è consapevole dei suoi obblighi. Il senso del dovere è radicato nel suo cuore come le rocce nella terra delle sue montagne. Le piacerebbe fermarsi un poco davanti al fuoco, lasciare che lo sguardo si perda nelle fiamme guizzanti. Ma la stanchezza la vince, le palpebre si fanno pesanti. La fantasia non trova la forza di sbrigliarsi e correre lontano, di chiedersi se la vita ha ancora in serbo un dono per lei. Non sa immaginare, Maria.»  
L'acquaiola di Carla Maria Russo Edizioni Piemme - 2018Autore: Carla Maria Russo Genere: Narrativa Casa editrice: Edizioni Piemme Pagine: 256 Prezzo: Euro 17,90 ISBN: 978-88-683-6574-5   Una comunità rurale nel cuore dell’Appennino meridionale italiano dominata dal patriarcato, dall’oppressione dei padroni della terra. Un luogo arcaico dove il tempo è immobile, tutto si ripete in un movimento circolare, scandito dal medesimo ritmo e dove, fra miseria e analfabetismo, la solidarietà consolida la parte più umile della comunità. Questo lo sfondo in cui si dipanano le vicende de L’acquaiola di Carla Maria Russo, breve ma emblematico romanzo di un universo femminile sommerso.
Il segreto di Clelia di Carla Maria Russo Il Battello a Vapore - 2011
L’autrice Carla Maria Russo ha esordito con la narrativa per ragazzi per la casa editrice Il Battello a vapore. Il segreto di Clelia è uscito nel 2011.

Maria, l’acquaiola

«L’acqua da prendere alla fonte ogni giorno dell’anno, più volte al giorno, con qualunque tempo: il sole di agosto, mentre il sudore scorre a rivoli e la polvere della strada toglie il respiro, la pioggia di ottobre, col fango che appesantisce gli scarponi e lega le gambe, la neve e il gelo dell’inverno, quando l’asino va tenuto con forza perché a ogni passo rischia di scivolare e il freddo spacca le mani fino a farle sanguinare.» Come l’acqua che scorre erode la roccia più dura, cammina infaticabilmente alle prime luci dell’alba la giovane Maria, lavoratrice determinata. È lei che, silenziosamente e umilmente, muove e smuove la comunità. Prima come bracciante, poi come fornitrice di acqua alla famiglia di don Francesco, il signorotto del paese, facendo la spola per chilometri e per più volte al giorno tra la fonte e la casa padronale, la quindicenne e instancabile Maria mantiene e sostiene piscologicamente la sua famiglia, l’anziano padre ammalato e l’unica sorella rimasta in paese, fragile per le numerose gravidanze e il gravoso compito materno.  Un corpo minuto il suo, ma nerboruto, una giovane anima dotata di una sapienza antica e innovatrice al tempo stesso. Maria è una figura multiforme, che veste ora i panni accoglienti di Estia quando dinanzi al focolare si raccolgono intorno a lei i personaggi che dalle sue labbra si abbeverano dei suoi consigli e ammonimenti, ora quelli dell’orgogliosa e indomita Artemide, fino a mostrare lo sguardo dell’astuta e determinata Atena. Fiera, nella sua indipendenza, austera nel suo innato senso del dovere, pronuncia la frase che riassume in maniera lapidaria la sua filosofia di vita:

«La vita è dura, prima lo capisci e meglio è.»

Il simbolismo de L’acquaiola

La bastarda degli Sforza di Carla Maria Russo Edizioni Piemme - 2016
Edito per Piemme nel 2016, La bastarda degli Sforza fa parte del ciclo dedicato dall’autrice Carla Maria Russo alla figura storica di Caterina Sforza.
La storia che racconta Carla Maria Russo, già autrice di romanzi storici, è il racconto, spesso taciuto, dei racconti femminili, il risveglio di una coscienza sempre tenuta a bada da abusi e soprusi. Maria fa da train d’union fra la comunità rurale e i nuclei famigliari che la compongono, è il cardine di una cultura arcaica e solida, ma è anche il nuovo ponte che si staglia sul risveglio di una energia tutta al femminile. È lei, infatti, che cova rabbia quando le viene strappata la sua pura innocenza. L’affronto alla verginità è l’offesa grave che la vita le riserva. Privata della sua libertà di scelta, la violenza subita la porta al rifiuto dell’affettività materna, che esprime invece con eccessiva abnegazione verso il piccolo Ermes, figlio del giovane e ribelle padroncino Luigi che ha accudito da bambino. La figlia Nella, rifiutata, le si para dinanzi come uno specchio, rimandandole l’immagine dell’esclusa, dell’emarginata che lei, al contrario, ha saputo oltrepassare preservando autonomia e cocciutaggine, prerogative che ammorbidirà invece con l’arrivo della nipotina verso la quale mostrerà un affetto viscerale e incondizionato che dentro sé ha sempre soffocato. Maria è dunque il femminile universale, il ventre ora caldo e accogliente, ora freddo e vuoto, come le fasi della vita della donna, come le epoche che si alternano nella storia delle donne.

La struttura de L’acquaiola di Carla Maria Russo

Il romanzo, fruibile e dallo stile semplice e scorrevole, presenta un impianto corale, dove ciascun capitolo riporta il nome dei personaggi della comunità, espediente grazie al quale l’autrice permette di cogliere i diversi punti di vista di tutti loro, offrendo uno spaccato storico di una realtà chiusa dell’Italia centro meridionale, così come si intuisce dai pochi cenni, nei primi decenni del secolo scorso.  Sono gli anni in cui nel meridione cominciano a diffondersi, con grande reticenza, le prime idee socialiste e liberali, gli anni della massiccia ondata di emigrazione verso la “Merica” di giovani vite indifese e abbandonate a se stesse.
Una storia privata. La saga dei Morando di Carla Maria Russo - Edizioni Piemme 2019
Una storia provata. La saga dei Morando è l’ultimo romanzo di Carla Maria Russo uscito nel 2019 per Edizioni Piemme.
Maria, personaggio principale, solido e dignitoso, sopravvive a questa realtà grazie alla sua innata resilienza, è la bandiera che sventolando diffonde il grido di libertà dell’essere umano che mai si lascerà abbattere dalle avversità della vita.

Il messaggio del romanzo

L’acquaiola di Carla Maria Russo è un inno alla forza e alla sapienza femminile attraverso il simbolismo ancestrale dell’acqua, quel fluire universale della vita, ora continuo ora stagnante, che purifica e salva, e Maria, nel suo inarrestabile movimento, si fa messaggera di una potente alchimia vitale che oltrepassa i limiti del tempo e dello spazio.   Chi è Carla Maria Russo L'acquaiola di Carla Maria Russo Edizioni Piemme 2018Nata a Campobasso, si è laureata in Lettere moderne presso l’Università degli Studi di Milano con una tesi in Storia del Risorgimento. Per la casa editrice Il Battello a vapore ha esordito nella narrativa con i due romanzi Il mio amico Napoleone (2003), disponibile anche in versione audiolibro, e Il segreto di Clelia (2011). Appassionata di ricerca storica, ha pubblicato per Edizioni Piemme nel 2005 La sposa normanna, che si è aggiudicato i premi Città di Cuneo Primo Romanzo e il Feudo di Maida. Sempre per  Edizioni Piemme sono stati pubblicati: Il Cavaliere del Giglio (2014), La regina irriverente (2015), L’amante del Doge (2016) e il ciclo dedicato alla figura di Caterina Sforza:  La bastarda degli Sforza (2016) e I giorni dell’amore e della guerra (2017), inoltre Le nemiche (2017), L’acquaiola (2018), candidato al Premio Strega 2019, e nell’ottobre 2019 i romanzi Lola nascerà a diciott’anniaggiudicatosi il premio letterario Fenice Europa, e Una storia privata. La saga dei Morando. Carla Maria Russo è la pagina internet dell’autrice.

Come se fossi una nuvola di Samuel Ferro

In una eterna dicotomia fra mente e cuore, corpo e anima, i versi di Samuel Ferro di Come se fossi una nuvola Letteratura Alternativa Edizioni 2018 esprimono la forza catartica della parola quando i pesanti confini della realtà si scontrano con la leggerezza del sogno d’amore. Come se fossi una nuvola di Samuel Ferro Letteratura Alternativa EdizioniSamuel Ferro Poesie Letteratura Alternativa Edizioni pagg. 72 Euro 11,90 ISBN 9788894815610 Nel suo Fedro, Platone ha scritto che il corpo «ci riempie, di amori, di passioni, di paure, di fantasmi di ogni genere e di molte vanità, di guisa che, come suol dirsi, veramente, per colpa sua, non ci è neppure possibile pensare in modo sicuro alcuna cosa […] se mai vogliamo vedere qualcosa nella sua purezza, dobbiamo staccarci dal corpo e guardare con la sola anima le cose in se medesime» In alcuni dei suoi versi, il giovane poeta Samuel Ferro confessa il disagio dei limiti terreni che lo opprimono: «Il mondo pesa troppo/E sta facendo a pezzi il mio corpo» Arrivano momenti, nella vita, in cui nascondere parole, abbandonare sogni, sopprimere rancori e dimenticare speranze. Poi lo spazio non basta più e si cerca un posto dove liberare le emozioni troppo a lungo soffocate. Quel posto si chiama Anima e aspetta il tempo in cui farsi nutrire. «Non riesco più a vivere/Nel mio mutismo/A volte così ricco di frasi» Le delusioni d’amore, le illusioni di un ambiguo sentimento possono ferire, stordire, avvelenare. Ma il solo antidoto per ristabilire un equilibrio spesso è la rima, un flusso di parole che ondeggiano fra loro, creando immagini purificatorie. «Finalmente sarò libero da tutta la mia rabbia/E non dovrò nascondermi dietro un altro castello di sabbia»
Fedro di Platone
Il Fedro di Platone è un dialogo che affronta l’immortalità dell’anima.
Sa esprimerlo bene, questo disagio interiore, Samuel Ferro nella sua breve silloge poetica dal titolo Come se fossi una nuvola, in cui le rime baciate, inseguendosi senza sosta, sembrano celare un tono canzonatorio verso  l’imprevedibilità della vita. L’amore inteso come coinvolgimento totale e trasporto sincero può rivelarsi vuoto e inconcludente, invece l’amore sognato dona nuovo coraggio. Quell’audacia è la penna che incide sul foglio la parola soffiata sulla ferita, perché le parole possono curare dopo essere state pronunciate. «E non riesco più a vivere In questa gabbi/ Creata dagli sguardi della gente/Fermo in questa strada/Ormai moralmente vuota/Sotto la luce di un lampione ormai spento» Le parole dell’esordiente poeta siciliano Samuel Ferro  rivelano un disagio terreno di voli paradisiaci che liberino l’Anima dal peso del corpo, il cuore dalla prigionia della mente. Come il cielo con il mare, così il pensiero non può incontrare l’emozione se prima la lacrima non decide di cadere.  

IL CIELO ED IL MARE

«Siamo distanti come il mare e il cielo

E per quanto possa alzarmi non spiccherò mai il volo

E ad ogni lacrima che lascerai cadere

Sarò qui ad accoglierla e a dargli valore

E come un sogno lontano nella mia mente

Ti raggiungerò nell’orizzonte

Dove finalmente il nostro amore verrà unito

In un abbraccio infinito»

  Chi è Samuel Ferro Samuel Ferro, autore di Letteratura Alternativa Come se fossi una nuvola   Samuel Ferro è nato a Partinico, un piccolo paesino della calda Sicilia. Costretto a combattere molto presto con una vita dura che lo ha costretto a combattere faticosamente per la sopravvivenza, nella sua scrittura esprime un vissuto intenso e profondo. Nel 2018 esordisce con la sua silloge poetica Come se fossi una nuvola per Letteratura Alternativa Edizioni.  

Storia di una formica di Silvia Bologna

Pubblicata nel maggio 2018 per Letteratura Alternativa Edizioni, Storia di una formica di Silvia Bologna è una storia vera, forte e coraggiosa, delicata e toccante sul difficile percorso che una figlia intraprende accanto al suo amato padre per affrontare una spietata malattia: la leucemia. Minuscola e quasi invisibile in un campo di spighe di grano, la formica infaticabilmente trasporta il suo pesante chicco appena caduto sul terreno. È forte, nella sua fragilità, è generosa verso i membri del suo gruppo, è instancabile nella sua immensa fatica, nell’attesa che il filo dorato un giorno sarà una spiga matura.

«C’era una volta un uomo

Che mi prendeva per mano

Per le vie del centro

Un cono alla pesca e pidocchio

Volevo io

In realtà era pistacchio

A testa in giù

Mi specchio

In quello che mi chiedi oggi

Tenendomi per mano

E io cerco dappertutto

Quel biscotto

Che ha il sapore dolce

Dell’amore

E l’amaro retrogusto

Del male

Che ti vuole inghiottire

E starò all’occhio

Il pistacchio

Il papocchio

E pure

Un cono alla pesca e pidocchio»

  A volte la vita ci fa regali inaspettati, altre volte ci mette di fronte a verità scomode, difficili da accettare, impossibili da interpretare. C’è un punto, però, in cui queste due antitetiche realtà possono incontrarsi e rivelarsi regali. Seppur incartati male e deposti nelle nostre mani in modo maldestro, possono nascondere sorprese insperate. Di certo una cattiva notizia non può considerarsi un regalo. La cattiva notizia è una pastiglia amara da mandar giù. È una frustata di primo mattino. Un cibo avariato che si osserva con disgusto e che non si immagina mai che un giorno si sarà capaci di imparare a masticare. È il boccone di traverso che la vita prima o poi ci fa provare. «Ogni volta che leggo un libro o guardo un film detesto quella sensazione di non sapere cosa sarà dopo. Chiamiamola suspence, o attesa. Finisco per divorare le pagine o saltare capitoli a piè pari per sbirciare la fine prima di leggere il resto. Il grande fastidio della vita vera, è che non si può sbirciare. Bisogna passarci attraverso. Si può guardare indietro se si ha buona memoria. Si può provare a guardare avanti ma c’è nebbia fitta. Così guardiamo i nostri piedi e continuiamo a camminare. Sperando di non pestare una merda.» Giancarlo è un papà di 74 anni che adora la sua bambina ormai adulta, che durante la sua infanzia ha portato in giro in auto, tra una curva e una nausea, a visitare incredibili Punti Panoramici. È un uomo bellissimo, dalle lunga ciglia scure e gli occhi castani. È amato da famigliari e compagni. Dalla sua bambina, dai capelli bizzarramente colorati, ma dotata di buon senso. E lui è il suo re, il suo porto sicuro, il suo tutto. Un giorno questo re subisce un attacco da subdole e silenziose sentinelle interiori che hanno deciso di commettere un colpo di stato: marceranno lungo le sue vene arteriose scombussolando il normale fluire delle cellule. Il re traballa, ma non molla. Tutto il reame è sconvolto, ma organizza un esercito forte e coraggioso per assediare le ingrate sentinelle e farle sentire sconfitte. Perché non è la vittoria che conta in questa storia, ma la determinazione nel combattere, nel non voler rinunciare alla speranza, pur immaginando il triste epilogo. Parlare di un dolore immenso, che se non si è provato non si riesce neanche a immaginare, di un dolore che piega e spezza, è impresa valorosa che solo i cavalieri più illuminati possono fare. I cavalieri che hanno stretto fra le mani il Santo Graal che è l’amore per la vita. Una vita che ha subito una falla, una incrinatura difficile da riequilibrare, ma tenuta salda grazie alla forza dei ricordi, ai segni, ai gesti, ai tratti somatici che restano immobili, sul cuore e sui visi. «I racconti proseguono, giorno dopo giorno, e diventano il nostro filo rosso, prezioso, di valore inestimabile, eredità perenne di ricordi nuovi, antichi, dimenticati o mai detti, che intrecceranno nel mio cuore un tessuto che sarà per sempre la stoffa di cui sono fatta, un ponte tra presente, passato e futuro che aveva, prima, molte lacune.» Silvia Bologna, psicologa e autrice, impugna coraggiosamente la penna come una spada e incide la sua storia su carta con tratto soave. Ogni rigo è un fluire di emozioni che inumidiscono l’Anima del lettore. Gocce di vapore salgono a formare una fosca barriera che separa i personaggi dal mondo esterno, da quella che era vita ordinaria. «Andiamo al piano inferiore, dove si fanno gli esami del sangue per i pazienti oncologici ed ematologici. Ricomincia l’attesa. Mi viene spesso in mente l’espressione non-luogo. Uno spazio in cui si incrociano individualità, storie, persone diverse senza entrare in relazione, uno spazio in cui si aspetta e basta. Si aspetta una risposta, un cambiamento, una parola, una terapia.»
Storia di una formica di Silvia Bologna Letteratura Alternativa Edizioni
Da “Storia di una formica” l’Associazione ImparAmare di Asti ha tratto uno spettacolo teatrale. Nella foto l’autrice Silvia Bologna, la seconda al centro dal basso.
Da figlia, la voce narrante si fa madre di un uomo fragile che cerca di essere roccia sino alla fine. La figlia diventa presenza accudente e rassicurante in quell’ultimo tempo insieme, a rincorrere un’ultima parola  sussurrata più forte, un bacio, una carezza … un tocco lieve, un ultimo respiro. Senza remore, senza filtri, l’autrice di questo doloroso viaggio in fondo al cuore racconta di sentimenti autentici attraverso una scrittura limpida, carica di forza emotiva che coinvolge profondamente il lettore.

«Mio papà mi ha riempito di così tanti doni durante la leucemia. Credo che lo abbia fatto anche un po’ di proposito. Mi ha indicato la rotta dove l’avevo smarrita, mi ha mostrato cosa conta. Sono stata il suo bastone, certo, ma lui la mia torcia. Per avere ancora più luce.»

Vedere la protagonista della storia attraversare i bui corridoi dei reparti d’ospedale, disegnarsi sorrisi per mandare giù le lacrime, trovare le parole per spiegare l’inspiegabile e poi sentire l’amore, un amore grande per la figura paterna, è per il lettore un viaggio doloroso ma al contempo catartico. E ce lo spiega, con una rara delicatezza e nobiltà d’animo, l’autrice che capire la vita attraverso la perdita è una gran bella verità. Difficile, dolorosa, ma sincera. È vita vera, amore puro. È la vita.     Storia di una formica di Silvia Bologna Letteratura Alternativa EdizioniSilvia Bologna Romanzo Letteratura Alternativa Edizioni pagg. 86 Euro 12,90 ISBN 9788894815412   Storia di una formica di Silvia Bologna Letteratura Alternativa EdizioniChi è Silvia Bologna Nata nel maggio del 1983, Silvia Bologna vive ad Asti dove gestisce il centro di ricerca educativa ImparAmare – soluzioni per imparare col cuore. Curiosa, romantica e ottimista, ha un viso sorridente di natura. Ama i colori, le parole colorite, le storie e le emozioni. Laureatasi a Torino in psicobiologia, ha conseguito un master in psicopatologia dell’apprendimento. Il suo compito, oggi, è quello di accompagnare bambini e famiglie a trovare nuove strade per imparare e andare d’accordo con le proprie emozioni. Ha collaborato  alla redazione di articoli specialistici nell’ambito della psicologia dello sviluppo. Storia di una formica è il racconto di un percorso doloroso, spiegato con leggerezza d’animo, edito nell’estate 2018 da Letteratura Alternativa Edizioni da cui è stata tratta la trasposizione teatrale per la regia di Alessio Bertoli.  

L’ultima settimana di settembre di Lorenzo Licalzi

Un nonno, un grosso cane e un nipote on the road su una decapottabile che vola dalla Liguria a Roma sono i protagonisti di uno spassoso ed emozionante romanzo, in cui l’autore Lorenzo Licalzi rivela, ancora una volta, il suo sguardo attento sull’età matura della vita.

«Invecchiando, io rivelo il mio carattere, non la mia morte»

(James Hillman- La forza del carattere)

   

L'ultima settimana di settembre di Lorenzo Licalzi - Rizzoli - 2015

Lorenzo Licalzi

Romanzo

Rizzoli

pagg. 300

Euro 17,10

ISBN 9788817083119

  «Il 22 settembre 2008, giorno del mio ottantesimo compleanno, intorno alle sette di sera, scrivevo la lettera che annunciava il mio suicidio. Non la classica lettera d’addio melodrammatica, infarcita di “mi dispiace”, richieste di perdono o piagnistei di autocommiserazione, ma piuttosto un gioco, un regalo che facevo prima di tutto a me stesso (ammetto che a scriverla mi sono divertito), e in seconda battuta ai miei vecchi lettori, ammesso che venisse pubblicata da qualche parte.» Entra in scena così Pietro Rinaldi nel racconto, a tratti insolente a tratti commovente dal titolo L’ultima settimana di settembre edito da Rizzoli nel 2015 che l’autore genovese Lorenzo Licalzi dedica al tema della vecchiaia e alle sue impensabili sfaccettature. Protagonisti sono Pietro, un nonno ottantenne, burbero, cinico e solitario, e Diego, un nipote quindicenne solare e leggiadro. I due non hanno mai stabilito un legame forte, ma la vita li unirà di fronte a una inaspettata tragedia. Senza più sua moglie Sara che gli addolcisce il carattere scorbutico, Pietro, irriverente ex-scrittore e voce narrante della vicenda, si ritrova a un punto della sua vita in cui è stanco di vivere, demotivato e disilluso. «Eppure la maggior parte delle persone è convinta che la vita sia bella – scrive nella sua irriverente e sarcastica lettera – (…) Se vivi perdi le persone che ami, se muori loro perdono te. La vita è crudele, l’unica fortuna che hai è quella di accorgertene tardi e così, se proprio non sei un imbecille, riesci ogni tanto a essere felice.»
Il privilegio di essere un guru Lorenzo Licalzi - Rizzoli 2014
Il privilegio di essere un guru Lorenzo Licalzi – Rizzoli 2004 – Premio Selezione Bancarella 2005.
Della morte e della vita Pietro comincia a elencare i modi in cui non si suiciderà: non si sparerà, né userà il gas di scarico perché non ha una pistola e non sopporta l’odore dello smog, così come non può gettarsi nel vuoto perché abita al primo piano e non intende contorcersi dai dolori di avvelenamento o di alcun genere fisico come, ad esempio, l’annegamento. «Io voglio morire e su questo non ci piove, ma voglio essere libero di scegliere di non farlo, di cambiare idea magari all’ultimo momento. Non la cambierei, intendiamoci, ma è una questione di principio, non mi va di rinunciare come ultimo atto della mia vita alla cosa più preziosa che abbiamo: il libero arbitrio. Cosa faccio, urlo: “Spostati asfalto?” (…) Probabilmente finirei per temporeggiare perdendo sempre l’attimo fuggente, con il rischio di vedermi salvare da qualche angelo della strada, oppure, come minimo, di dover sopportare tutti i suoi ridicoli tentativi di convincermi a non farlo, magari puntando sulle banalità più sconcertanti quelle classiche di chi ti vuole salvare che, tra l’altro, sono in gran parte i motivi per cui mi suicido (…) Tra l’altro, per trovare un albero adatto all’impiccagione, robusto e riservato (diciamo dignitoso) dovrei prendere l’autobus, e prendere l’autobus per andare a suicidarmi è una cosa ancora più deprimente della stessa depressione che ti porta il suicidio.» Il lettore potrebbe domandarsi, a questo punto, come mai una mente così lucida e vivace, che appunta meticolosamente su una agenda i nomi di quelli che gli stanno sul cazzo e che decide di indossare il suo abito migliore per l’ultima colazione della sua vita, valuti la drastica scelta del suicidio. Quando poi ingoia quattro pasticche di Tavor e manda giù bicchieri di Dom Perignon, Pietro viene interrotto prima da insistenti Testimoni di Geova, ai quali con stizza dice: «Statemi bene a sentire, tra un’oretta dovrei vedere il vostro capo, quindi se non vi levate immediatamente dalle palle sarò io a parlare di voi a Lui, e giuro che vi farò perseguitare per tutta la vita.», e poi dall’arrivo improvviso della figlia Roberta, che non gli risparmia una bella lavata di testa quando suo padre prontamente comincia a ingiuriare il marito che non ha mai sopportato. «Con te è sempre stato tutto così difficile, e non dico ora, ora vabbè sei peggiorato, ma ormai non ci faccio più caso, anche prima, soprattutto prima direi, per anni, ogni volta che facevo una cosa stavo lì a pensare come l’avresti fatta tu, anzi no, se tu avresti voluto che la facessi così, e avevo sempre paura di sbagliare … (…) Pensa com’è la vita, magari se non fossi stato così come sei sceglievo un uomo come volevi tu, e comunque, a parte tutto questo, io ho bisogno di un uomo che mi stimi.» Un viaggio imprevisto «E non so, sarà stato il posto così assurdo e incredibile, così proibito e suggestivo, così magico, ma pareva che la luce del faro illuminasse anche la nostra anima, la scandagliasse, e ci indicasse la via per inseguire i nostri sogni.» Costretto ad accettare di occuparsi del nipote Diego, assieme al “mostruoso gigantesco famelico puzzolente sbavante” cane di famiglia, Sid, incrocio tra un San Bernardo e un Terranova, il suo piano di suicidio viene momentaneamente messo da parte. Quello che avrebbe dovuto essere un fastidio di pochi giorni, si rivelerà, purtroppo, a causa di una tragedia che colpisce la famiglia, una incombenza più duratura, che Pietro affronterà con un coraggio inaspettato, scoprendo nuove risorse in sé e ri-trovando la parte di lui più esuberante e avventurosa. Nonno, cane e nipote partiranno per una viaggio che riserva incontri, sorprese ed emozioni inaspettate.
Io no Lorenzo Licalzi Rizzoli 2011
Io no Lorenzo Licalzi Rizzoli 2011, romanzo da cui è stato tratto l’omonimo film diretto da Simona Izzo e Ricky Tognazzi.
Attraverso i suggestivi paesaggi marini della Liguria fino al porto di Ostia, passando per Bracciano, sulla loro sfrecciante Citroen DS Pallas decapottabile i protagonisti della storia affronteranno momenti contrastanti fra tensioni e spensieratezza. Pietro rivelerà un lato di lui fanciullesco inaspettato al nipote, che a sua volta si dimostrerà più maturo della sua età. In questo gioco di specchi, Licalzi mostra il duplice volto della vecchiaia, così come esprime con grande originalità James Hillman nel suo saggio La forza del carattere: «L’occhio anomalo è l’occhio vecchio. L’anima vecchia, invecchiata nella propria peculiarità, è incapace, anzi, di vederci dritto; è sempre un po’ strabica e preferisce lo strambo. L’amore per ciò che è strambo può apparire anche a un’età precoce, come nei soprannomi affettuosi che i ragazzini si danno a vicenda e che isolano un aspetto o un tratto particolari del carattere. Ma di solito la giovinezza preferisce il conforme, e cerca di adattare o smussare gli spigoli. Da vecchi, diventati noi stessi esemplari di unicità, cerchiamo compagni che siano a loro modo strambi come noi lo siamo a modo nostro. Abitudini quotidiane simili, esperienze passate affini, sintomi analoghi, ambiente sociale in comune non sono abbastanza confortanti. Il piacere, l’amore ce lo danno i compagni di unicità. La strana coppia: una coppia di originali.»
La forza del carattere di James Hillman - Adelphi 2020
La forza del carattere di James Hillman – Adelphi 2020
E proprio ritrovando se stesso, quello che sempre Hillman definisce il carattere individuale, Pietro scoprirà che la vecchiaia in realtà è una forma d’arte, un capolavoro da costruire per lasciare una traccia fondamentale di sé durante il passaggio in questa vita. «Per riuscire a imboccare la strada giusta, mantenerla e non perdersi, non basta solo una riflessione su ciò che si è o che si vuole diventare, sugli errori commessi o sulle scelte sbagliate. Quella è scontata, dire la condizione sine qua non, ma occorre anche che in ogni istante ci si sforzi, almeno finchè non viene naturale farlo – perché questo è fondamentale, non deve essere una fatica, ma il recupero di una attitudine innata trasmessaci dai nostri antenati preistorici senza la quale si sarebbero estinti – di essere presenti a se stessi, essere, appunto, consapevoli nel momento.»   L'ultima settimana di settembre di Lorenzo Licalzi - RizzoliChi è Lorenzo Licalzi Nato a Genova nel 1956, Lorenzo Licalzi decide di dedicarsi alla psicologia e alla scrittura dopo aver fondato e diretto una casa di riposo. È autore del bestseller Il privilegio di essere un guru aggiudicatosi nel 2005 il premio Selezione Bancarella. Fra gli altri suoi romanzi Io no, da cui è stato tratto l’omonimo film diretto da Simona Izzo e Ricky Tognazzi, Che cosa ti aspetti da me, Sette uomini d’oro, Vorrei che fosse lei, Un lungo fortissimo abbraccio, Cerchiato di blu, e il più recente Le alternative dell’amore.

Il prossimo bersaglio sarai tu di Roberto D’Angelo

Il prossimo bersaglio sarai tu, edito da Letteratura Alternativa Edizioni – 2018, è il romanzo di esordio di Roberto D’Angelo, un giallo dalle tinte noir e un pizzico di piccante, che convince per la struttura narrativa equilibrata e il ritmo vivace e coinvolgente.

«Qui tra la gente che viene che va Dall’osteria alla casa o al lupanare, dove son merci ed uomini il detrito di un gran porto di mare, io ritrovo, passando, l’infinito nell’umiltà.

Qui prostituta e marinaio, il vecchio Che bestemmia, la femmina che bega, il dragone che siede alla bottega del friggitore, la tumultuante giovane impazzita d’amore, sono tutte creature della vita e del dolore; s’agita in esse, come in me, il Signore.

Qui degli umili sento in compagnia Il mio pensiero farsi Più puro dove più turpe è la via.»

Umberto Saba, Città vecchia (Canzoniere)

  Il prossimo bersaglio sarai tu di Roberto D'Angelo . Letteratura Alternativa EdizioniRoberto D’Angelo Giallo Letteratura Alternativa Edizioni pagg. 214 Euro 14,90 ISBN 9788894815597   «Chi la vedeva più spesso, la considerava semplicemente strana. Strana per quel suo corpo dipinto. Strana perché era sempre sola. Strana perché non dava confidenza a nessuno. Strana perché, anche se attraente e molto giovane, era sciupata, vissuta.» Il prossimo bersaglio sarai tu dell’autore astigiano Roberto D’Angelo si distingue sin da subito per la narrazione da un punto di vista femminile, quello di Anna, ragazza dei giorni nostri, nata a Torino, città in cui è ambientata la vicenda. La giovane donna rappresenta la figura letteraria che in epoca moderna viene bistrattata dalla comunità, la prostituta costretta dalla vita a scendere ai più vili compromessi. Non più etere greche che danno piacere con la loro mente e il loro corpo agli uomini dell’epoca classica, o abili cortigiane, accompagnatrici e consigliere, ma come la Nanà di Zola o la Fantine di Hugo, la Anna di Roberto D’Angelo fugge da una infanzia difficile e, vittima della sua ingenuità, si ritrova a essere manipolata da uomini duri e insensibili.
Nanà di Emile Zolà
Nanà di Emile Zolà, personaggio
Barlume di speranza L’unico rifugio è quello nei sogni di salvezza e l’unica forza è quella di proteggere la persona a lei più cara. Il suo coraggio diventa così eroico. Perchè c’è sempre una persona cara da proteggere, sin dall’infanzia. Nel caso di Anna è il fratello minore, che da piccolo stringeva fra le braccia sotto le coperte per consolarlo dai pianti di paura mentre ascoltavano, dalla stanza accanto, i lamenti della madre per le percosse paterne,  che ora, da grande, protegge dalle minacce dei suoi protettori-padroni. Creatura spaventata e disarmata, Anna si trincera dietro uno sguardo gelido e vitreo, dietro parole secche e dirette e, soprattutto, impara a capire le mosse di chi ha di fronte. Così, dinanzi alla gentilezza del commissario Nicola Laterza, Anna resta perplessa e guardinga, ma al tempo stesso affascinata. Non è abituata alle attenzioni, a parole sussurrate con calma. Certo c’è Gigi, il ragazzo balbuziente e disadattato che tutte le sere la cerca, come ultimo cliente, solo per parlare, al quale si è affezionata. L’ambiguità della fiducia Ma nello sguardo di Nicola c’è qualcosa di diverso. Mentre indaga sui pluriennali omicidi che sconvolgono la città, compiuti da un serial killer che si firma con una incisione a forma di spada sul corpo delle vittime, scagnozzi della prostituzione, dimostra rispetto e qualcosa di più nei suoi confronti. Figlio di poliziotto, instancabile nelle sue investigazioni, Nicola si avvicina sempre più a lei. La figura della ragazza, nel suo doppio ruolo di angelo-demone, innocente e seducente, lo turba, in particolar modo per gli strani tatuaggi disegnati sul suo corpo, di cui lei è tremendamente gelosa. Mentre le indagini proseguono, il rapporto fra Anna e Nicola diventa ambiguo e i personaggi intorno a loro si muovono verso direzioni che convergeranno in una unica pista finale, con un imprevedibile colpo di scena, come dai più riusciti gialli ci si aspetta. Il ritmo e la struttura di Il prossimo bersaglio sarai tu
I miserabili di Victor Hugo
I miserabili di Victor Hugo
Dal ritmo narrativo incalzante, dialoghi serrati, struttura ben architettata, anche se spesso ricco di descrizioni nei gesti dei personaggi, Il prossimo bersaglio sarai tu è un romanzo che si distingue per l’abilità nel tratteggiare la protagonista femminile che, proprio alla stregua di molte eroine classiche dedite al più antico mestiere del mondo, mantiene una certa purezza d’animo. Inconsapevole dei pericoli a cui va incontro, Anna lotterà a costo della sua vita pur di preservare l’immagine del fratello minore dalla verità sulla  macchia della sua condizione. Inoltre, descrivendo il passato della protagonista, l’autore documenta una realtà cupa del nostro paese, di cui sono vittime ragazze completamente sole e indifese. «Era buio, come tutte le volte che, da anni, se ne stava in piedi in quel tratto di strada isolato. Marciapiede di giorno e valle degli inferi di notte, perché questo era per lei. Un luogo sinistro e tetro dove era destinata a vivere, da dannata con i dannati. Senza speranza di poter tornare nel mondo dei vivi. Ogni giorno aveva un motivo in più per rendersene conto.» Il messaggio del romanzo Abituate alla mancanza d’amore sin dalla tenera età, molte di loro si convincono di non meritare considerazione e si lasciano sovrastare da abusi e percosse. Abbandonate a se stesse, incomprese, la vita le piega, le ferite non si rimarginano facilmente, ma resta la speranza di essere salvate, un giorno, e quella luce per Anna sarà proprio l’ispettore che, prendendosi cura di lei, la guiderà, discretamente e con rispetto, verso la prospettiva di una nuova vita. Roberto D'Angelo, autore de Il prossimo bersaglio sarai tu - Letteratura Alternativa EdizioniChi è Roberto D’Angelo Nato ad Asti, dove vive con la sua adorata famiglia, il 12/09/1965, Roberto D’Angelo lavora nell’ambito commerciale di un’importante Compagnia di Assicurazioni. Appassionato di cucina e di montagna, fa anche parte di una Compagnia teatrale amatoriale astigiana – “I Matt’Attori” – “brigata” che devolve  in beneficenza i proventi degli spettacoli. Roberto d’Angelo scrive di notte, quando  l’oscurità e la solitudine pungolano  impetuosamente la sua parte “noir” e l’urgenza di scrivere diventa necessaria. Il giallo dal titolo Il prossimo bersaglio sarai tu è il suo esordio  per la casa editrice Letteratura Alternativa Edizioni.

Come farfalle sull’acqua di Monica Tedeschi

Fra dolore, inganni dell’anima, lacerante solitudine, lacrime brucianti miste a sorrisi ritrovati, nel suo libro Come farfalle sull’acqua edito da Letteratura Alternativa Edizioni nel 2018, Monica Tedeschi si confessa ai suoi lettori a cuore aperto.
 

«Gli dei sono diventati malattia»

(C. G. Jung)

  C’è un male che esiste da sempre e che colpisce l’intera umanità. Un male oscuro, spesso incompreso, mal interpretato, denigrato. Un male che dilania l’Anima divorando la luce. E allora tutto diventa buio, ombra che ingoia gioia, speranza, possibilità. E più si vorrà ostacolare quest’ombra che avanza, più paradossalmente essa imprigionerà la vittima perchè è proprio attraverso la depressione, ha detto lo psicoanalista e filosofo statutinense James Hillman «che entriamo nelle profondità, e nelle profondità troviamo l’anima. La depressione è essenziale al senso tragico della vita. Essa inumidisce l’anima arida e asciuga quella troppo umida. Dà rifugio, confini, centro, gravità, peso e umile impotenza. Essa tiene vivo il ricordo della morte. La vera rivoluzione comincia nell’individuo che sa essere fedele alla propria depressione. Che non si dibatte per uscirne, preso in un alternarsi di speranza e disperazione, né la sopporta pazientemente finché la marea non retrocede, né la teologizza, ma che scopre invece la coscienza e le profondità di cui essa ha bisogno. Così ha inizio la rivoluzione per il bene dell’anima.» (J. Hillman, Re-visione della psicologia)  Quella di cui parliamo è una storia vera. La rocambolesca e sofferta esperienza di un’Anima che cammina nel buio rifuggendo la luce, che inciampa sui suoi stessi passi, rialzandosi e cadendo, infinite volte. «Se non fossi caduta in questo baratro, non avrei avuto la sensibilità per accarezzare un fiore.» Arriva, improvviso e inaspettato, lo schianto. Un punto della vita in cui il suolo sul quale camminava si incrina e la risucchia in un vuoto senza fine.

«Nel 1990 caddi malamente, mi ruppi qualcosa, ma non un osso. Una sensazione tanto fisica quanto immateriale sconvolse la mia vita e nulla tornò più come prima. Avevo appena 24 anni e il mio cervello, ridotto a una sottilissima lamina, mi schiantò al suolo.»

Un buio che le avvolge la mente e il cuore: l’umor nero l’ha rapita e la tiene incatenata nel suo profondo abisso. È stanca, melanconica, inerte e senza sapere il perché. Si sente finita, pur continuando a vivere. «Ero Monica, ma ero ansia, ero panico, ero disperazione, ero sudore, ero euforia. In me vi erano mille persone e io non potevo disfarmene.»
Re-visione della psicologia di James Hillman - Adelphi-1992
Re-visione della psicologia di James Hillman – Adelphi-1992
Poi, inaspettatamente, si rialza e si sente … leggera! In grado di volare, sorvolare la realtà, si sente un dio, invincibile. Non dorme, non mangia, ma d’improvviso, presa da impeti creativi, dipinge, legge, studia, produce. E accade di notte, quando calano le tenebre, la luce del giorno impedisce di guardarsi, il buio è la condizione ideale per sentirsi in sintonia con il proprio malessere, quel voler scavare in profondità. É tutto ma poi, ancora schiantata al suolo, è di nuovo niente. Spaventata, tremante e infreddolita, rinsecchita, chiusa in un armadio o immersa in una vasca d’acqua calda. «Chi ero io? Ero la persona distrutta o la persona euforica?» Nel suo eterno tira e molla con la vita, il male che l’affligge è una corda che si scompone ma non si spezza mai, è come la roccia di Sisifo portata sulla montagna e fatta rotolare giù, infinite volte. È questa, forse, la maledizione. Essere al mondo per sentirsi invincibile sapendo di essere fragile, piccola, effimera. Questa vita più grande di lei, rende l’Anima insicura, smarrita, priva di obiettivi. Sconfitta, di fronte alla sfida di voler essere tutto, si accascia. Ma la mente freme, alla ricerca di una spiegazione. Da dove deriva questo mal(d’)essere? «Come dire che siamo tutti sani, poi nella vita ognuno si ammala di qualche cosa, la qualcosa lo rende solamente diverso per la malattia, ma il suo essere individuo sotto lo stesso cielo non varia.» Troppe domande consumano il cuore, troppe terapie ipotetiche confondono i pensieri, impedendo all’Anima di vibrare in libertà, di cogliere nel sintomo la conquista per un nuovo volo. «Veniamo al mondo ed è la vita che dobbiamo vivere, per quanto complicata, dolorosa, deludente, ma è un dono, una meravigliosa e unica opportunità.» Tuttavia, stare al mondo non è facile. “Dagli umani mi staccai molto presto, in quanto a mio avviso inaffidabili, per la maggior parte.» Eppure la vita la riporta dove non riesce ancora a vedere senza l’opprimente velo nero sugli occhi. «Monica temeva la Monica della disperazione e temeva la Monica euforica, non accorgendosi mai del tempo che stava passando, presa solo dal dover combattere per sopravvivere al dolore come all’euforia, tragiche facce di una stessa medaglia.» E così, dopo ventisette anni di lotta, Monica si scopre finalmente coraggiosa, (anche se prima non credeva di esserlo) forte (come la roccia che si lascia consumare dall’acqua) e leggera (come una farfalla al suo primo battito d’ali). Le tante Moniche si sono rincarnate infinite volte ricadendo e liberandosi dall’abisso malevolo e ingannevole della depressione bipolare. L’eroina di questa spietata Odissea psichica è riuscita ad approdare sulla sua isola tenendo per mano la sua subdola nemica, che con sguardo benevolo tenta di pietrificare ogni qualvolta essa cerchi di specchiarsi nei suoi occhi, ogni qualvolta che o c’è troppa luce o c’è troppa ombra e non si riesce a capire che solo la luce che esce dal buio porta alla consapevolezza. «Ho sempre pensato che la depressione mi sia venuta in aiuto, mi abbia migliorata. (…) Avrei voltato il viso alla vita e avrei passeggiato leggera sull’esistenza stessa, assumendo più o meno atteggiamenti, ruoli, vestendomi in base ai tempi … No. La malattia mi ha fatto studiare, leggere, osservare, confrontarmi, è stata come una bacchetta o meglio un bastone con nodi che a ogni mio inutile abbandono a leggerezza o inganni, come una frustata mi diceva di capire e andare oltre. (…) Sarei stata probabilmente un corpo pesante, fortemente legato alla terra e non mi sarei accorta di quel soffio divino che tutto attraversa.» Come farfalle sull'acqua di Monica Tedeschi Letteratura Alternativa Edizioni - 2018 Monica Tedeschi Autobiografia Letteratura Alternativa Edizioni pagg. 78 Euro 11,90 ISBN 9788894815580   Come farfalle sull'acqua di Monica tedeschi Letteratura Alternativa Edizioni - 2018Chi è Monica Tedeschi Classe 1966, Monica Tedeschi vive tra l’Italia e l’estero: Torino, Londra, New York, Parma, Parigi, Palermo, per approdare, poi, in un paesino del Monferrato dove attualmente si è trasferita. Dedita all’arte della fotografia, tiene mostre nel settore e nel 1993 è nominata Giovane artista fotografa italiana alla V Biennale internazionale di Fotografia a Torino, nel frattempo dipinge e scrive. Ha collaborato come pubblicista e blogger per  “La Nuova provincia di Asti” e con Ildebrando Tosi-art director della CONDE’NAST(VOGUE). Il Maestro d’arte in pittura Edoardo Brighenti, artista dell’avanguardia prematuramente scomparso, la definisce “la surrealista astratta della fotografia e della pittura”. Ha inoltre ricevuto il PREMIO AMBIENTE dal critico d’Arte DONAT CONENNA (Mediapolis).
Come farfalle sull’acqua è il suo libro di esordio con la casa editrice Letteratura Alternativa Edizioni.
 
Il video trailer di Come farfalle sull’acqua – Letteratura Alternativa Edizioni 2018
 

Franz Kafka e la scrittura – Rifugio o battaglia per la sopravvivenza?

Franz Kafka voleva vivere per scrivere e nella sua scrittura non c’è verità assoluta, ma solo un riflesso di luce intravisto attraverso metafore e parabole. Nel seguente approfondimento troverete un tentativo di entrare nella sua Verità.

  “Il mondo interiore può essere solo vissuto, ma non descritto” (Diari- F. Kafka) Enigmatiche, spesso incomprensibili, le atmosfere create dall’autore praghese Franz Kafka nei suoi scritti esercitano sul lettore un fascino sinistro. Cosa vorrà mai dire la trasformazione di Gregor Samsa in un immondo insetto o quale sarà il motivo dell’arresto di Joseph K.? Chi sono, in realtà, le strane creature che popolano i suoi racconti, come Odradek il rocchetto animato? La scrittura di Kafka è un rebus, impossibile da decifrare, così come inganno è la ricerca della verità. Franz Kafka gioca dunque con il suo pubblico? Se si pensa che sul punto di morte chiederà al suo più fidato amico, Max Brod, di bruciare tutti i suoi scritti, è credibile che Kafka scrivesse solo per se stesso? Al buio, in completa solitudine, ripiegato su se stesso, Kafka componeva di notte, quando, oltre ad avere il tempo da dedicare alla sua vocazione, il silenzio lo circondava e lui si sentiva un eremita nel suo sepolcro, quando aveva tutto il tempo a sua disposizione, quello che Pietro Citati nella monografia dedicata all’autore praghese definisce «un tempo infinito, perché l’ispirazione illimitata come il mare ha bisogno di non avere confini attorno a sé». In questo modo egli si annullava totalmente, liberando i propri mostri interiori. Di giorno era gracile, aveva le mani gelide e il cuore intirizzito, mentre di notte trovava la pace. Ma i mostri e le immagini di Kafka vengono liberati e non spiegati attraverso la ragione, i racconti vengono scritti di getto. L’autore praghese componeva in maniera vulcanica, temendo di perdere l’ispirazione, a un passo dal precipizio, conteso tra cuore e dovere. Non riuscendo a dedicarsi completamente alla scrittura, sentiva l’urgenza di liberare le sue immagini, ma allo stesso tempo non lo faceva come un esteta, che segue la Legge, i suoi personaggi subiscono la loro tragica sorte, come se fosse normale. Viveva come un asceta, abbandonato completamente al suo istinto alla scrittura, dormiva poco e rinunciava a mangiare e a bere e metteva a dura prova il suo corpo con una rigorosa dieta vegetariana, esercizi di ginnastica e lunghe passeggiate all’aria aperta. La verità non può conoscere se stessa Come spiega il critico germanista Giuliano Baioni nel suo saggio Kafka. Romanzo e parabola, solamente le metafore, i frammenti, la parabola e la pantomima possono rappresentare, come un riflesso, la verità. Kafka scrive nelle tenebre per scovare un po’ di luce, ma non ne esce mai illuminato. Solo con l’annullamento torna il sereno, come accade nel suo più noto racconto La Metamorfosi. Al pari dei cabbalisti, Kafka credeva infatti che le troppe interpretazioni fossero l’inganno che ha ottenebrato il mondo, inganno da distruggere per far tornare la luce nel mondo. Per questo motivo solo le forme letterarie della metafora e della parabola riescono ad avvicinarsi alla realtà, cogliendone un riflesso, attraverso cioè un linguaggio più alto, non sensibile, che è quello dell’inganno.
G. Baioni, Kafka romanzo e parabola, (1962) Feltrinelli, Milano 1997.
La realtà che Kafka descrive si cela dunque dietro l’immagine. Sempre Baioni sottolinea che Franz Kafka è un narratore che non agisce, ma viene agito, come accade nel sogno. Kafka scrive per immagini perchè la parola evoca e quindi la verità non si può cogliere razionalmente, ma solo captare mediante similitudini. Al tempo stesso, essa viene percepita come il limite umano all’accesso alla verità. Tale condizione è dunque un inganno per l’uomo e ne è un esempio la parabola Davanti alla legge, contenuta nel romanzo Il processo, dove un uomo giunto dalla campagna si ritrova di fronte a un portone chiedendo di attraversarlo, al custode che sorveglia l’ingresso. Si dice che dietro la porta ci sia la Legge. L’uomo di campagna trascorre invano tutti i suoi anni a cercare di convincere il custode a farlo passare, fino a dimenticare il motivo per cui si trova lì. Prima di spirare chiederà perché nessun altro, tranne lui, ha chiesto di entrare a conoscere la Legge e si scoprirà che l’ingresso era destinato a lui. Alla sua morte il custode richiude la porta. Fuor di metafora, la parabola allude molto probabilmente alla scelta umana di fermarsi e attendere nel voler conoscere la Legge/Verità, anziché vivere. Dato che l’interpretazione è inganno, l’unica verità è dunque l’immagine evocata. La parola, infatti, scrive Baioni «conserva la frattura tra un vedere interno e un vedere esterno, e rinnova il verdetto, la punizione dalla natura delle cose per l’essersi ritirato nel mondo interiore.»   Lo straniero senza identità
Marino Freschi- Introduzione a Kafka
M. Freschi, 1993: Introduzione a Kafka, Laterza, Roma-Bari.
La letteratura critica appare concorde sull’inscindibile legame fra l’autore praghese, il sostrato culturale a lui contemporaneo e le sue origini ebraiche. Kafka visse ed elaborò la sua vasta produzione letteraria a cavallo tra gli ultimi decenni del diciannovesimo secolo e i primi due del ventesimo. La cultura di cui si nutrì fu essenzialmente quella praghese esistenzialista, contemporanea all’affermarsi delle teorie psicoanalitiche. Ma la singolarità, o meglio l’originalità, delle opere di Kakfa sta proprio nel suo dissociarsi sia dall’Espressionismo che dalla psicoanalisi, che pure riteneva imprescindibile dalla questione ebraica. «Non c’è alcuna gioia di occuparsi di psicoanalisi, – scriverà in una lettera indirizzata all’amico scrittore Franz Werfel – io me ne tengo lontano il più possibile, eppure esiste almeno la generazione.» Per via materna Kafka annoverava in famiglia autorevoli talmudisti, suo padre era un ebreo assimilato alla comunità praghese, abile commerciante. Ma mentre i padri della generazione di intellettuali di fine secolo si rivolgevano all’affermazione della società capitalistica, i figli si rifugiavano nell’espressione artistica e, in particolar modo, prima che estetica, per Kafka la letteratura era una scelta di vita. «Più che la psicoanalisi mi piace in questo caso la convinzione che questo complesso paterno, del quale taluno si nutre spiritualmente, non riguarda il padre innocente, bensì l’ebraismo del padre. La maggior parte di coloro che cominciarono a scrivere in tedesco volevano allontanarsi dall’ebraismo, per lo più con il non chiaro consenso  dei padri (rivoltante era questa mancanza di chiarezza), volevano bensì, ma con le zampette posteriori erano ancora attaccati all’ebraismo paterno e con le anteriori non trovarono un terreno nuovo.» (Frammento di una lettera a Max Brod) Estremamente sensibile, dal fisico cagionevole, Franz Kafka era spesso preda di crisi depressive. Lacerato interiormente dal dilemma dell’individuo socialmente affermato attraverso la professione e il matrimonio, da lui considerati terreno paterno da cui distaccarsi, e la vocazione per la scrittura, il giovane autore praghese si sentirà un ibrido, un essere alienato e non a caso nelle sue opere ricorrono di frequente le figure di animali, come talpe, topi o insetti, rinchiusi in tane, abbandonati in camere. Franz Kafka instaurò diverse relazioni con le donne: prima con Felice Bauer, con Julie Wohrizek, poi con Grete Bloch dalla quale si dice abbia avuto un figlio di cui non è venuto mai a conoscenza, con l’intelletuale attivista e già coniugata Milena Jesenskà e infine, negli ultimi mesi della sua vita con la semplice anima Dora Dymant, ma senza giungere mai a convolare a nozze con esse. Egli si definiva «il più ebreo occidentale degli ebrei occidentali», un essere inquieto, incapace di approdare a una serenità interiore, una creatura indefinibile, quale è Odradek, un bizzarro personaggio di uno dei suoi racconti dal titolo Il cruccio del padre di famiglia. Odradek è un rocchetto di fili ingarbugliati con una asticella da cui spunta una stella che consente all’oggetto di stare in piedi. Ma cosa significa Odradek? Odradek è una parola ibrida, appunto, tedesca di derivazione slava, probabilmente. Questo strano essere è animato, si muove, non si riesce ad afferrare e si nasconde in diversi angoli della casa e ora parla, ora tace. Un essere inquietante, una sorta di espressione dell’individuo di fine secolo senza identità ben definita, uno straniero, ma allo stesso tempo immortale, un groviglio insomma di indecifrabilità, di cui dice l’autore in conclusione «egli non fa del male a nessuno; ma l’idea che egli possa anche sopravvivermi, mi è quasi dolorosa.»
Franz Kafka e Felice Bauer
Franz Kafka con Felice Bauer
Tra il 1912 e il 1917 Franz Kafka visse una tormentata relazione con Felice Bauer, giovane viennese conosciuta a casa dell’inseparabile amico Max Brod. La prima rottura tra i due fidanzati avvenne nell’autunno del 1912 e gettò lo scrittore in un momento di profonda crisi interiore.
«L’amore causa sempre ferite che non guariscono mai pienamente, perché l’amore è sempre accompagnato dal sudiciume. Al distacco dell’amore dal sudiciume provvede soltanto la volontà di chi è amato.» (Diari- F. Kafka)
Franz Kafka aveva deciso di non sposare Felice. È proprio questo un aspetto che secondo alcuni critici va approfondito, ovvero Kafka sentirà gravare su di sé una atavica colpa di derivazione religiosa per la sua incapacità di realizzarsi attraverso il matrimonio, di scegliere fra letteratura e la vita borghese di un ebreo occidentale assimilato come suo padre. È noto il suo lacerante conflitto con la figura paterna, descritto nella Lettera al padre, in un confronto continuo e assillante fra un essere che lo sovrastava sia fisicamente che socialmente, al punto da essere considerato un parassita. Nel Talmud si dice infatti che «un uomo senza una donna non è un essere umano.»
Franz Kafka e Milena Jesenskà
Franz Kafka e Milena Jesenskà
È legge unirsi alla donna, regola che Kafka trasgredisce. Nel racconto La Metamorfosi, una delle possibili chiavi di lettura dell’assurda vicenda potrebbe essere proprio questa incapacità di realizzarsi socialmente. Kafka desiderava dedicarsi interamente alla scrittura, questo significava per lui scrivere: vivere per essa. Ma non gli era possibile. All’età di ventinove anni era un impiegato presso una compagnia di assicurazioni ligio al suo dovere, che rispettava gli orari e metteva in pratica norme e procedure in maniera impeccabile.
Aldo Carotenuto. La chiamata del Daimon. Gli orizzonti della verità e dell'amore in Kafka
La chiamata del Daimon. Gli orizzonti della verità e dell’amore in Kafka – Bompiani
La stesura febbrile de La Metamorfosi, avvenuta nel corso di una notte, rappresentò per lui una discesa negli Inferi, simbolo della sofferenza dell’individuo impossibilitato a realizzare la sua vocazione. Lo psicoanalista Aldo Carotenuto ha dedicato un saggio alla figura di Kafka intitolato La chiamata del Daimon in cui mette in luce il viaggio di una difficile individuazione, di una interiorità lacerata alla ricerca della sua identità, un continuo interrogarsi, scelta che subito diventa colpa. «Essere chiamati al cospetto del tribunale, come accade a Josef K., vuol dire, quindi, essere chiamati a rispondere dell’unico vero ‘peccato mortale’, dell’unica ‘colpa’ della quale l’individuo può macchiarsi: il tradimento di se stesso, del proprio destino individuale. Il richiamo alla realizzazione personale è la più forte voce interiore che a ciascuno di noi è dato sentire, ma quanto più esso è intenso, tanto maggiore sarà la pena, nel caso di mancata risposta. Per Josef K. la pena sarà la morte.» (La chiamata del daimon – Aldo Carotenuto) Franz Kafka. La metamorfosiLa metamorfosi – analisi «Il mondo immenso che ho in testa. Ma come liberare me e il mondo senza spezzarmi? È meglio spezzarmi mille volte che trattenerlo o seppellirlo in me. Sono qui per questo, me ne rendo perfettamente conto.» (Diari – F. Kafka) Fra gli incipit più straordinari della letteratura, quello de La metamorfosi è un esempio di destabilizzazione narrativa.
«Gregor Samsa, svegliandosi una mattina da sogni agitati, si trovò trasformato nel suo letto, in un enorme insetto immondo.»
È facile ipotizzare che il protagonista sia un alter-ego dello stesso Kafka, che egli intenda descrivere la propria angoscia nel sentirsi un insetto, un parassita schiacciato e cacciato dal mondo. Lo stesso cognome, Samsa, ha tante lettere quanto Kafka e la ripetizione delle a. Inoltre, l’ambientazione del racconto pare rimandi alla stessa disposizione dei mobili della stanza dell’autore. Gregor Samsa è un commesso viaggiatore che svolge pedissequamente il suo lavoro, si alza ogni mattina allo stesso orario, prende il solito treno, lavora, rientra e assicura alla famiglia un agiato tenore di vita. Quando però si ritrova trasformato in uno spaventoso insetto, la famiglia gli volterà le spalle. Per questo è importante, come fa notare Vladimir Nabokov nella sua analisi critica al racconto, soffermare l’attenzione sul termine tedesco Ungeziefer utilizzato per indicare l’essere in cui si ritrova trasformato Gregor Samsa. Lo scrittore e critico russo ritiene che Gregor sia un essere umano nella veste di insetto (Aròb-Ungeziefer), mentre i suoi famigliari sono insetti «in veste di persone».
Pietro Citati. Kafka Rizzoli
P. Citati, 1987: Kafka, Rizzoli, Milano
Con il tempo, la metamorfosi del commesso viaggiatore si evolve ma, anche se prende dimestichezza con il suo nuovo corpo, muovendosi con più agilità e imparando a vivere solo attraverso l’udito, Gregor resta umano dentro di sè, continua a sognare, a provare sentimenti ed è proprio in ciò che consiste la dannazione di questo essere ibrido. Pur vivendo in isolamento e al buio, come avrebbe sempre desiderato lo scrittore, il verme parassita non raggiunge uno stato di beatitudine. Quella sua trasformazione diventa una punizione (che egli impone su se stesso) perché lo priva lentamente dell’affetto della sorella (che nella realtà era l’unica a provare comprensione per il suo essere taciturno e strano) e il padre riesce a schiacciarlo, sia fisicamente nel racconto, sia realmente nella sua quotidianità. È come se scegliesse di non completare la metamorfosi, perché quel restare ibrido e sofferente rappresenta la sua punizione, il suo sentirsi privo di identità e non in armonia con il cosmo. Il suo sacrificio, l’autoannullamento, serve dunque a salvare la famiglia, a liberarla dal peso della sua esistenza. Cosa si nasconde dietro la metafora dell’insetto, o meglio dietro questa metafora, la trasformazione, seppure non completa dallo stato umano allo stato animale? Secondo Baioni si tratterebbe di un graduale e sempre più passivo passaggio a uno stato di inerzia. Kafka si sente svuotato di energia vitale perché non riesce a realizzarsi, sia socialmente attraverso la professione, sia affettivamente attraverso il matrimonio. L’individuo umano Gregor si sente perso, perché intorno a lui non c’è umanità (la famiglia ha terrore di lui e lo dimentica, lo abbandona anche la sorella in una stanza tugurio che diventa con il tempo un ripostiglio, il pavimento si riempie ogni giorno di polvere, le pareti si imbrattano e Gregor, muovendosi sempre più a fatica, si insudicia sempre più). Il padre, che all’inizio del racconto appare indebolito e si fa mantenere dal figlio, acquista sempre più energia e, rinvigorito, viene assunto come usciere in banca e diventa orgoglioso della sua nuova divisa, mentre la madre diventa cucitrice, restando sempre al di fuori, interviene come nella lettera solo per placare l’ira paterna e la sorella commessa. Appare evidente quanto La Metamorfosi sia tutto il contrario di una favola, ma il racconto dove per l’essere animale non c’è redenzione. Gregor non viene salvato, non ritorna umano, la sua è una trasformazione irreversibile e perisce a seguito di una ferita inferta dal padre mentre gli lancia una mela, che si conficca nella sua corazza, abbandonato e dimenticato dalla sua famiglia. Padre, madre e sorella non mostrano preoccupazione per la condizione fisica di Gregor, ma solo per la condizione economica a cui li ha condannati.
L'insetto di Kafka disegnato dallo scrittore Vladimir Nabokov
L’insetto di Kafka disegnato dallo scrittore Vladimir Nabokov
Quando Gregor muore per consunzione, i famigliari piangono, ma non lo seppelliscono, verrà gettato via dalla donna delle pulizie, ritorna il sereno fuori dalla finestra dopo il lungo inverno di pioggia durante l’isolamento di Gregor e la famiglia esce a fare una passeggiata. La vita riprende così a scorrere nella sua normalità, come se Gregor non fosse mai esistito, come se il suo sacrificio non avesse avuto senso, come se nulla fosse mai accaduto. Conclusioni Ha voluto forse Kafka consegnarci un lugubre presagio sulla condizione umana a venire nella sua lucida, quanto drammatica analisi, di una impossibile redenzione? O forse c’è dell’altro? Come ha scritto egli stesso in un aforisma di eco nietzschiano del 1918: «Vi sono per noi due specie di verità così come sono rappresentate dall’albero della conoscenza e dall’albero della vita. La verità di chi agisce e la verità di chi riposa.  Nella prima il bene si divide dal male, la seconda non è altro che il bene, essa non sa di bene o di male. La prima verità ci è veramente data, la seconda ci è data solo come presagio. Questo è l’aspetto triste. Quello lieto è che la prima verità appartiene all’istante, la seconda all’eternità, perciò la prima verità si spegne nella luce della seconda.», così una scintilla di redenzione si intravede nel momento in cui l’uomo rinuncia all’ottuso tentativo della ricerca di verità e riesce ad accettare la paradossale e indecifrabile antitesi di bene e male. «Teoricamente vi è una perfetta possibilità di felicità; credere nell’indistruttibile in sé medesimi e non tendere verso di esso.» (Aforismi di Zürau- F. Kafka) Testi citati: Franz Kafka, Il processo (1925), a cura di G. Zampa, Adelphi, Milano 1973. Id., Racconti, Mondadori Editore, Milano 1970. Id., Diari, a cura di E. Pocar, Mondadori, Milano 1953. Letteratura critica: M. Freschi, 1993: Introduzione a Kafka, Laterza, Roma-Bari. G. Baioni, Kafka. Romanzo e parabola, (1962) Feltrinelli, Milano 1997. P. Citati, 1987: Kafka, Rizzoli, Milano. A. Carotenuto, 2014: La chiamata del Daimon. Gli orizzonti della verità e dell’amore in Kafka, Bompiani, Milano.