Recensione di La giustizia di Afrodite di James Hillman – Edizioni La Conchiglia
Questa è una recensione un po’ fuori dalle righe, una lettura “creativa” che si propone di rendere più accessibili e diretti alcuni concetti psicoanalitici che, diventando di ampia portata, possono fungere da guida nel cammino arduo, ma necessario, dell’individuazione di ciascuno di noi. Buona lettura.
“Venere (…) manda la natura, con le sue piante, ovunque a fiorire, perché non solo ci doni vita, ma giovinezza (…), facendo sì che in noi straripi uno spirito vitale” (Marsilio Ficino)
Incede nella stanza con passo suadente, emettendo intorno un caotico tintinnio di monili che adornano il suo capo dalle ciocche dorate e i lobi delle orecchie, a cui si intrecciano fiori che riscendono sin giù, nella profonda scollatura del candido e prosperoso seno. Si accomoda sulla poltrona che le viene ceduta con fare rispettoso, sistemandosi i riccioli ribelli dietro le orecchie.
«Lei non sa, Dottor Hillman, che io ho già varcato la soglia di questo studio una miriade di volte. I grandi Maestri, che prima di lei si sono addentrati in quelli che voi psicoanalisti definite gli intricati meandri della psiche umana, hanno “curato” i loro primi pazienti, affetti tutti dallo stesso sintomo. Che siano state “infatuazioni idolatranti, gelosie rabbiose, desolazioni del rifiuto, promiscuità sconsiderate”, o la stessa passione che paziente e dottore hanno sentito insinuarsi fra loro, c’era sempre e soltanto lui: l’Amore.»
«Mi spieghi meglio, come sarebbe entrata?»
«Mentre voi, ignari dottori, eravate intenti a osservare cosa c’è negli esseri umani, io ero dietro di voi, invisibile ai vostri occhi, perché non eravate pronti a cogliere, oltre all’Amore, il desiderio della Bellezza! L’ho lasciata senza parole, Dottore…»
«In realtà, Signora Dorata, Sorridente, Grande Signora, pensavo al fatto che già qualcuno, molti secoli prima dei padri della psicoanalisi, aveva colto la dicotomia di cui lei mi parla al proposito.»
«Mmmh, capisco bene a chi si riferisce, parla di Apuleio, l’autore de “Le Metamorfosi, ovvero l’Asino d’oro”, in cui ha inserito la nota favola, ai più poco chiara sino in fondo, ridotta nel tempo a una storiella d’amore.»
«Lei, Afrodite, si sente buona? »
«Non sempre lo sono stata, per alcuni … Vede, Dottor Hillman, c’è stato un tempo in cui essere buoni significava essere luminosi, di una luce che irradiava tutto l’Essere nella sua interezza, fuori e dentro. Ai tempi in cui sono nata essere buoni significava essere belli ed essere belli significava essere buoni. Le sembra strano? – e mentre accavalla le floride gambe con una movenza sensuale e sicura, sottolinea – Vede, lei ora mi sta osservando in questa mia posa …. Come direste voi dai tempi cristiani? Ah sì, da tentatrice! E questo solo perché io non nascondo il mio sentirmi, il mio essere bella, non vuol dire che io voglia necessariamente indurre lei o qualsiasi altro uomo alla tentazione. Lei potrebbe perdersi nella mia Bellezza, così come potrebbe, allo stesso tempo, cogliere nel suo guardare un Desiderio che va oltre l’istinto, che voi chiamate sessuale, di cui per nascita io sono dotata, ma non per questo io sono priva di una vita interiore, fallace, mortale …. O per lo meno non sempre è così, secondo quanto si è letto finora.»
«Eppure lei una volta si è sentita minacciata da una bella mortale, sua ancella devota, di cui suo figlio Eros si è innamorato. »
«Già – e afferra pensosa un ginocchio tra le mani, scoprendo ormai del tutto la coscia dalla pelle vellutata – e non ne vado fiera, ma è stato necessario provare quei sentimenti.»
«Si spieghi meglio, mi sembra di capire che lei stia ammettendo una sua mancanza?»
«Anche gli dei sono mancanti di qualcosa. Voi attribuite al dio monoteista caratteristiche di perfezione morale, imperscrutabile virtù, ma noi dei dell’Olimpo, che voi avete dimenticato e soprattutto sottovalutato per tanti secoli, siamo esseri molteplici, dotati di innumerevoli sfumature caratteriali. Ci innamoriamo e subito dopo ci infuriamo, commettiamo gesti estremi ed escogitiamo vendette terrificanti, ma tutto questo perché … noi viviamo!»
«E quindi come giustifica la sua ira verso l’innocente Psiche, che invece subiva la Vita?»
Un lampo di luce abbaglia lo sguardo della Dea, che riprende il suo discorso accompagnandolo con un sinuoso movimento della mano ingioiellata: «Oh quegli sciocchi e ciechi immortali osavano definirla bella! Ma che ne sapevano della Bellezza – e qui gli occhi si immobilizzano dritto in quelli del suo interlocutore – prerogativa esclusivamente divina, condivisa con le mie simili Era (Giunone) e Demetra (Cerere). Si è meritata, è il caso di dirlo, una bella punizione, l’ingenua e sottomessa fanciulla.»
«E come dicevamo pocanzi Lei ha provocato in Psiche la terribile sofferenza dell’Amore.»
«Può anche definirla, senza remore alcuna, mostruosa! Forse non tutti sanno che se da mio padre Urano ho ereditato, come accennavo prima, irrefrenabili impulsi sessuali, che preferisco definire erotici, mia madre Dione apparteneva alla famiglia dei Titani e mi ha trasmesso, perciò, una forza incontrollabile. Ebbene, l’Amore che voi uomini di Ragione considerate un’emozione, ridotta nel tempo dalla morale cristiana a essere un imperativo, in realtà è una giusta punizione.»
«Adesso mi fa venire in mente che il mio collega Kerèny, nel suo libro “Gli dei e gli eroi della Grecia” fa notare che questa giusta ira si traduce nella parola nemesis, la figura mitologica di Nemesi che, posseduta da Zeus, diede alla luce un uovo.»
«Ah sì, quello da cui nacque Elena, e da noi non c’era bellezza senza guerra o abbandoni e sofferenze … ma continui pure il discorso su Nemesi, può indurre i mortali a capire come hanno ucciso la vera Bellezza.
«Dunque, dicevamo che l’amore come punizione è inteso come sofferenza, ovvero un eccesso (Hybris), una serie di forze compulsive che derivano dal mondo infero, da cui Nemesi, per l’appunto, agisce. È un richiamo ancestrale a muovere il nostro cuore, un’eco che oggi ci arriva ormai come un sussurro di mero piacere.»
«Ben detto! I mortali, paradossalmente, vivono già morti! Scambiano ciò che sconvolge in qualcosa che annienta.»
«Lei invece è la Dea dei sensi, della confusione delle emozioni…»
«Che voi mortali, come già detto, considerate un male. Non siete più in grado di cogliere la Bellezza nella confusione. Il piacere non nasce dai sensi, il piacere è il Desiderio stesso! Il suo Maestro Freud ha parlato di libido, quella pulsione da cui, se non soffocata, nascono forme d’Arte sublime, e chi crea dona Vita!»
In quelle espressioni concitate, dagli occhi della Grande Signora favilla un riverbero di verde accecante che inonda il salotto del Dottore. Lo sguardo della Signora Dorata si posa ovunque, riempie ogni spazio fino a ingravidare l’aria che si respira. È un’esplosione di Vita! Come può, una tale forza dirompente ridursi a una mera Joissance? Con la sua presenza impetuosa, adesso Afrodite confonde fino a terrorizzare, trascinando nell’abisso oscuro…
«Ma allora Psiche cosa ha appreso dalla sua punizione giusta?»
«Oh, in realtà ha continuato a rivelarsi una sciocca fanciulla (o almeno così pensavo) – ma queste ultime parole vengono appena sussurrate – quando per metterla ancora alla prova l’ho scaraventata giù negli Inferi per riempire un cofanetto con la bellezza di Persefone (Proserpina). Una volta risalita alla luce, ha aperto il cofanetto ed è precipitata in un sonno profondo.»
«Ma Eros l’ha rianimata, quindi a Psiche è riservata una sorte, diciamo, felice.»
«Già, pur essendo una debole e vulnerabile mortale.»
«Ma Psiche torna indietro dal mondo degli Inferi e vi torna gravida. Tutta quella oscurità, quel sonno profondo in cui cade, creano in lei immagini che la fanno tornare in Sé.»
Sul volto della Grande Signora comincia a disegnarsi un sorriso, non di quelli che attirano a sé sguardi languidi, ma un sorriso che adesso ridimensiona ira e impulsi, e una punta di vergogna, mista a un’insolita serenità che distende ancora di più la sua espressione, la lancia, in un attacco di inaspettata generosità, verso il Dottore. Lo osserva a lungo, poi lo saluta con queste parole:
«Amo e mi adiro e allo stesso tempo posso provare compassione per Psiche, e adesso posso correre da lei ad abbracciarla per accoglierla finalmente, affinché Giustizia sia fatta, dentro me e tra i mortali, che finalmente imparano a conoscermi(si).»
E così si volta, avanzando verso la porta con la sua innata eleganza e a ogni passo spuntano fiori dietro di lei.
“Perché la psiche resti umana deve restare vulnerabile, come lo è Psiche, cui la ricettività permette di concepire e restare gravida. È questa continua capacità di essere feriti che ci mantiene mortali, fertili, e umani.” James Hillman – La giustizia di Afrodite