Chiassovezzano di Piero Dorfles

Piero Dorfles questa volta fa vivere ai lettori la sua storia. Chiassovezzano, edito da Bompiani, racconta della rimozione di una famiglia che si misura, in un tragico momento della Storia, con la propria identità.

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Chiassovezzano. Una casa e una famiglia temeraria in tempo di guerra - Bompiani, 2024

Negli ultimi anni, numerosi autori sono tornati a parlare di case. Case che si animano, alla stregua del concetto classico della sacralità dei luoghi. Secondo i Greci, ogni luogo è abitato da un daimon che guida l’uomo verso il suo destino, meglio noto come Genius loci. É stato James Hillman a recuperare il concetto in epoca più recente. Nel libro “L’anima de luoghi”, egli ha affermato che: «I luoghi hanno un’anima. Il nostro compito è di scoprirla. Esattamente come accade per la persona umana.» 

Cosa spinge, allora, a parlare di case, in particolare di quelle del passato? Un desiderio di nostalgia o c’è qualcosa di più? Capire forse cosa è rimasto di noi tra le pareti che hanno custodito una parte della nostra vita, o forse l’esigenza di voler dare un senso a periodi difficili da definire, non solo per la storia personale, ma per quella dell’umanità intera. Perché i conti con la storia che appartiene al singolo vanno fatti, prima o poi, in relazione a coloro che ci hanno preceduto e al futuro che costruiamo con le spiegazioni che sappiamo darci nel presente.

Scheda del libro:

Chiassovezzano. Una casa e una famiglia temeraria in tempo di guerra - Bompiani, 2024

Autore: Piero Dorfles

Genere: Narrativa – Memoir

Casa editrice: Bompiani

Pagine: 204

Prezzo: Euro 18,00

ISBN: 9788830108226

 

É l’8 settembre del 1943 quando Carlo Dörfles, padre del giornalista e critico letterario Piero Dörfles, decide di lasciare Trieste con la sua famiglia e di trasferirsi a Lajatico, in Toscana, nei pressi di Pontedera, nella casa di Chiassovezzano, scelta e acquistata quattro anni prima dal fratello Gillo. Trieste, città cosmopolita agli inizi del ‘900, che contava migliaia di ebrei assimilati di alto rango, fra intellettuali, medici, professionisti e dirigenti statali, viene scelta da Mussolini per promulgare le Leggi razziali nel 1938. Numerosi ebrei, che fino a quel momento non avevano né sentito, né tanto meno manifestato un senso di appartenenza, furono costretti a rifugiarsi lontano da Trieste.

Di questo confinamento, durato fino al maggio del 1945, racconta Piero Dorfles nel suo recente libro “Chiassovezzano. Una casa e una famiglia temeraria in tempo di guerra” edito da Bompiani. Il testo, corredato da numerose istantanee in bianco e nero, si compone di ventritré capitoli, dal tempo circolare, intitolato con i nomi attribuiti alle stanze della dimora di famiglia o con particolari che caratterizzano l’ambiente, come “La stanza del gatto”, in realtà una pantera, racchiusa nel tondo presente in copertina, che come spiega Dorfles: «stringe tra i denti uno scettro, e tiene una zampa sopra una corona. Credo che sia l’emblema della forza vitale della natura, che qui simboleggia il popolo; e che lo scettro e la corona siano i simboli del potere assoluto e arbitrario, del quale si impadronisce il popolo quando si ribella ai regimi monarchici.»

Chiassovezzano. Una casa e una famiglia temeraria in tempo di guerra - Bompiani, 2024
Gillo Dorfles.

Ed è proprio questo passaggio che racchiude il significato di una ribellione interiore ai familiari che vissero da rifugiati a Lajatico per due lunghi anni, in uno stato di continua angoscia e in una condizione di isolamento, non sempre rispettata… Gillo, il più sovversivo (e inquieto) del gruppo. Simbolo della temerarietà che contraddistingue la famiglia, dove al posto dell’eroismo prevalgono “coraggio e sventatezza”.

Costruita agli inizi del ‘700, Chiassovezzano passa nel secolo successivo nelle mani dell’illustre illuminato “utopista mazziniano di grande sensibilità sociale”, eminente cittadino dalle cariche più alte, Guelfo Guelfi dopo e, nel frangente, “probabilmente era stato un educandato di suore”. Passata successivamente a Dante Bocelli, che l’ha venduta a Gillo Dorfles. Circondata da un ampio giardino, in quanto a infrastrutture la dimora non può vantare agi e comodità. Resa ospitale grazie al tocco di classe della zia Lalla, Chiassovezzano sarà testimone della convivenza di otto “rappresentanti di quattro generazioni”. Nei due anni vissuti assieme, i familiari sapranno stringere importanti legami con gli abitanti più influenti del posto, caratterizzati da un grande senso di solidarietà.

Chiassovezzano. Una casa e una famiglia temeraria in tempo di guerra - Bompiani, 2024

 

La questione ebraica per la famiglia Dörfles (a seguito della campagna di italianizzazione fascista, Dorfles)

«Non credo che nessuno dei Dörfles si sia mai sentito veramente in colpa perché ebreo, ma il rifiuto di riconoscersi tali, a chi lo guarda con gli occhi del presente, può assumere un significato ambiguo: perché a quel tempo rischiava di concedere dignità alle leggi razziali, di aprire uno spazio logico ai razzisti per dire che, se gli ebrei si vergognavano di esserlo, in fondo, loro avevano ragione a perseguitarli.»

Chiassovezzano. Una casa e una famiglia temeraria in tempo di guerra - Bompiani, 2024Fra pareti colorate, affreschi, austeri ritratti di dignitosi antenati, tavolini, pianoforte e soffitti a volte, si svolge la vita dei Dörfles, famiglia composta da personalità emancipate e anticonformiste, votate alla libertà di pensiero sulla scia della dottrina steineriana, dell’antroposofia fino all’occultismo. Famiglia che si imbatte nella scoperta della propria identità ebraica. I Dörfles padri non hanno parlato ai loro figli delle origini religiose, degli stermini e delle persecuzioni, hanno preferito preservarli da un passato che sembra non appartenergli più, essendo ormai cittadini inseriti nella società triestina.

Il nuovo libro di Piero Dorfles pone l’accento sulla questione ebraica.

Nel clima culturale dell’emancipazione moderna tra ‘800 e ‘900, nell’Europa centrale si verificò uno sfaldamento della tradizione ebraica che sfociò nel conflitto delle nuove generazioni con i loro padri. Se questi ultimi volevano tenere in vita le tradizioni religiose di famiglia, pur nella condizione di ebrei assimilati, i primi sentivano la frattura fra l’adesione alla modernità in chiave capitalistica e l’adesione alla modernità come intellettualizzazione. I figli si ribellarono ai padri parlando e scrivendo in tedesco, come fece Kafka. Negando il mondo dei padri, essi finivano per negare l’assimilazione, non senza conseguenze critiche come il senso di colpa e il dolore per un ancestrale richiamo alle radici strappate, di quel mondo dimenticato, quel terreno rimosso, cui secondo alcuni critici fa riferimento Kafka nel suo Processo, dimenticandosi di aver dimenticato. Essere ibrido fra ebreo orientale ed ebreo occidentale emancipato, Kafka visse lacerato in due anime che si contendevano il primato della scelta tra la vita e la scrittura: tra i valori della tradizione paterna, la legge del Talmud, e la via d’uscita dall’incertezza e solitudine che implicava il dramma esistenziale della cultura occidentale. Lo scontro con un terreno che, seppur familiare nel suo richiamo, spaventa e smarrisce, secondo quello che Freud definisce un-heimlich, perturbante. E lo stesso padre della psicoanalisi, definito l’ebreo senza Dio, si discostò dalla religione dei padri, ma non poté rimuovere del tutto gli influssi della religione di origine. L’ebreo, diceva Freud, è abituato a stare all’opposizione da solo, perciò le sue posizioni e scoperte appaiono come il risultato del sentimento perturbante dell’isolamento che conduce a rifondare la propria identità attraverso la psicoanalisi, una sorta di sublimazione, in poche parole, dei conflitti interiori causati dal luogo familiare tenuto nascosto. In sintesi, la generazione dei figli di ebrei assimilati, sentirono il peso dei conti in sospeso con le proprie radici da parte dei padri e andarono alla ricerca di nuovi terreni, per Kafka la scrittura e per Freud la scienza.

Gillo Dörfles, ancora una volta, si fa carico del controverso destino familiare.

«Si sentiva in dovere di non essere ebreo, perché non lo aveva scelto lui, visto che era stato allevato nella convinzione che si è quello che si vuole essere, non quello che decidono gli altri.»

Scoprire di essere ebrei, senza quasi saperlo di esserlo, senza mai aver praticato la religione o aver fatto parte di cominutà, essendosi assimilati, sposati con non ebrei, avendo cercato in tutti i modi, con rocamboleschi espedienti, di non apparire sulla carta ebrei, è la condizione di ebrei della famiglia Dörfles durante gli anni raccontati in “Chiassovezzano”, periodo che porta alla luce un rimosso storico che si esplica, per talora eccentriche talora inquiete personalità incontrate, in un avito anticonformismo.