«Quella mattina, come al solito, la sveglia era suonata alle 6:30. Silvia si era affrettata a vestire Giada e le aveva preparato la colazione.»
Questo è l’incipit de La locanda di Ester di Cinzia Zerba, Edizioni Convalle 2020, un inizio quotidiano e ordinario che molte donne-mamme-lavoratrici conoscono bene: un rituale che ripetono con rigore ogni mattina. Perché Silvia, la protagonista della storia, è una di loro, una delle tante donne che si barcamenano tra ménage familiare e lavorativo, senza mollare mai la presa, di quelle donne perfezioniste che credono di fare sempre la cosa giusta.
Silvia non immagina, però, che quella mattina la vita per lei cambierà rotta. Quella mattina, infatti, al lavoro, che svolge a molti chilometri da casa e che la costringe a fare la pendolare tutti i giorni, riceverà una notizia che le farà crollare il mondo addosso, scardinando tutte le sue certezze. Convocata nell’ufficio del suo direttore, contrariamente alle sue aspettative di un meritato avanzamento di carriera, apprende che lei fa parte di un programma di tagli dell’azienda. Oltre al congedo inaspettato, scoprirà anche che il suo capo ne era già al corrente.
«Aveva fatto moltissimi sacrifici per guadagnarsi la stima dei colleghi, capo e management, lavorando sodo, in ufficio e da casa. La sua dedizione per il lavoro era totale, riteneva che questo fosse il solo modo giusto di fare: con correttezza e serietà. In nome del suo lavoro era arrivata addirittura a trascurare molti aspetti legati alla vita familiare, di cui poi si sarebbe pentita. Non esistevano hobby per lei, perché non ne aveva il tempo: il sabato e la domenica erano interamente dedicati alle faccende domestiche. Ma lei era felice così, perché era orgogliosa del suo lavoro.»
E perdendo il lavoro, dove finisce la felicità di Silvia? Ma, soprattutto, era davvero felicità la sua?
Lungo il suo percorso di affermazione professionale, la nostra protagonista aveva perso l’appoggio del marito Raffaele, discorde sul suo modo di condurre la vita e, soprattutto, aveva trascurato il rapporto con la figlia Giada.
Silvia deve fare i conti anche con la mancanza di solidarietà del mondo femminile nell’ambiente lavorativo, dove contrariamente a quanto auspicato da teorie femministe, non vige ancora una leale sorellanza.
Tutte le certezze acquisite cominciano a crollare per Silvia, rivelandosi per quelle che sono sempre state veramente: una parvenza di perfezione. E quando si cerca di mantenere in perfetto equilibrio la propria vita come le tessere di un domino tenute, immobili, in fila per troppo tempo, arriva un improvviso colpo di vento che fa cadere la prima tessera innestando una reazione a catena.
Silvia si è imposta standard di vita troppo severi, ha investito tutte le sue energie e aspettative nella sfera professionale, perdendo di vista altri aspetti della vita che la circondano. Ma Silvia non intende ancora mollare, fino a quando il corpo non comincia a inviarle strani segnali:
«Una mattina, mentre era seduta alla scrivania, accadde qualcosa di inaspettato: i battiti cardiaci accelerarono e il viso le diventò paonazzo, mentre l’aria non riusciva più a raggiungere i polmoni. Copiose lacrime le segnavano il viso, mentre a bocca aperta cercava disperatamente di incamerare aria, però non riusciva a riempire in alcun modo i polmoni. La testa intanto le girava, mentre con gli occhi chiedeva aiuto a un collega lì accanto.»
È l’inizio di una serie di attacchi di panico, che costringeranno Silvia a ridimensionarsi e a intraprendere un vero e proprio percorso di individuazione. Lungo questo sentiero, Silvia deve rimettere insieme le tessere del mosaico di vita che vuole ricostruire. Le vengono in aiuto i ricordi della sua infanzia: rivede la Silvia bambina nella bottega del nonno Enrico, falegname, un artigiano del fare, un artista paziente, che sa attendere, che impara a gestire e ad apprezzare i tempi lenti della finitura, e in quell’attesa partorisce la bellezza.
In un suo pezzo apparso su La Repubblica, alla fine degli anni ’90, lo scrittore e critico letterario Pietro Citati dichiara colpevole la contemporaneità di aver «sciupato e dissipato l’immenso tesoro di sapienza artigiana, che la civiltà aveva costruito nei secoli.»
Immaginiamo dunque la vita come una materia informe messa nelle nostre mani che dobbiamo forgiare nel migliore dei modi per trarne bellezza. Gli artigiani, in fondo, fanno questo: creano, e mentre creano, imparano ad aspettare. La nostra vita è fatta di attesa di momenti belli e, mentre aspettiamo, qualcosa accade, sempre. Silvia ha corso per troppo tempo e non è riuscita a cogliere la bellezza in fieri dell’opera d’arte che stava costruendo. Si è persa quando ha smesso di aspettare, e la vita ha perso tutta la sua bellezza.
Ma Silvia non è in fondo colpevole di aver preferito la carriera professionale a una vita più casalinga, Silvia rappresenta il modello femminile dell’emancipazione che si scontra con un grosso paradosso che quasi sempre implica questa parola per una donna. Dal latino “emancipatio”, il termine in questione vuol dire rendere libero. La libertà la donna l’ha sempre dovuta conquistare, pagandola a caro prezzo. Silvia paga per la sua ambizione, non si emancipa, ma diventa prigioniera di sé stessa, delle sue angosce di alte performance, di non riuscire a essere mai abbastanza, e alla fine tutto le sfugge di mano.
Simone De Beauvoir, fra le più celebri paladine del movimento femminista, ha asserito che “Non si trasforma la propria vita senza trasformare sé stessi”, e questo lo sanno bene le donne che devono costruire ogni volta la loro vita dalle macerie di una grave perdita.
Silvia fa fatica a recuperare la lentezza nella sua esistenza, anche se reagisce: trova un nuovo impiego, molto più umile, ma resta legata alla sua vita precedente. Ma la vita sa sempre dove condurci, e le tessere del domino per Silvia continuano a correre e a cadere. In una sorta di rewind si ritrova a riscoprire antiche passioni, a praticare sport, a ricomporre i suoi affetti passati, a misurarsi con la perdita importante di sua nonna e a mettersi sulle tracce di una sua antenata: Ester, personaggio avvolto dal mistero.
E nel frattempo Silvia trova una cura: la scrittura.
«E mentre scriveva la sua storia si rendeva conto della potenza della scrittura, che è al tempo stesso svago e terapia. Il dolore che Silvia aveva dentro, pian piano usciva, la sconfitta lavorativa si trasformava a poco a poco in parole sulla pagina.»
E allora Silvia scende nelle cantine buie del suo passato, fruga ancora fra i ricordi e ritrova una storia che le appartiene, persa nel tempo, e che lei saprà ricostruire. Non sarà dunque un caso quello di essersi messa sulle tracce di Ester, considerata agli inizi del Novecento una donna emancipata per quei tempi, che però «non era vista di buon occhio dalla sua famiglia, per il suo carattere determinato e impulsivo, e poi c’era la questione della chiaroveggenza…»
Attraverso Ester, la protagonista della storia che racconta Cinzia Zerba riavvolge i fili del passato per ricomporre una trama che appartiene a tante donne che fanno fatica a vivere completamente la propria esistenza, punite per aver osato troppo, per aver cercato di essere sé stesse. Silvia ritrova la sua dimensione di donna quando si mette in ascolto di una sua più intima identità, guidata da una eco che giunge da lontano e che le permette di spezzare le catene di una prigionia che, non si sa mai come, spesso la vita ci impone.
Scheda del libro
Autore: Cinzia Zerba
Genere: Narrativa
Casa editrice: Edizioni Convalle
Pagine: 133
Prezzo: Euro 13,00
ISBN: 978-88-85434-62-2
Chi è Cinzia Zerba
Vive a Voghera con il marito, i due figli, tre gatti e un cane. Ama viaggiare, leggere e scrivere. A partire dal 2014 partecipa a una serie di concorsi letterari, aggiudicandosi menzioni d’onore e ottime posizioni in classifica. Nel 2015 vince la prima edizione del concorso “Dentro l’Amore”, ideata da Stefania Convalle di Edizioni Convalle con il racconto “Stella Novella”. Nel 2016 scrive il racconto “Raja e Samir”, inserito nell’antologia “Storie e Misteri” Primula Editore. Nello stesso anno costituisce il gruppo di lettura scenica Gatto Matto con il quale propone una serie di reading, in particolar modo sulla tematica della violenza sulle donne e degli stereopi di genere. Nel 2017 collabora alla stesura di alcun iracconti contenuto nel libro “Il silenzio delle donne. Il coraggio delle parole” edito sempre da Primula Editore.È membro dell’Associazione C.H.I.A.R.A., Centro antiviolenza di Voghera. “La locanda di Ester” è il suo primo romanzo, pubblicato da Edizioni Convalle nel 2020.