“Le sprovvedute” di Giuseppe Fini, versione romanzata di una vicenda drammatica che colpisce una famiglia in cui le donne si portano addosso come una maledizione la tendenza ad annichilirsi per quelli che scambiano per grandi amori, confondendo l’asservimento con la dedizione, il disprezzo e la mancanza di tatto per amore.
«Certo che siamo fragili, io e te. Delle insicure. (…) È vero. Quella è l’impronta. Ma potrei giurare che possediamo anche un bel fondo di resilienza. Lo teniamo in serbo, nascosto da qualche parte, in attesa che la vita ci costringa a tirarlo fuori. Siamo fatte così, noi due, finché è possibile rimandiamo…»
Quando Arianna, insegnante di lettere, scopre segni di violenza sulla guancia di sua figlia Sofia, decide di reprimere la collera per quell’indegno atto di violenza. Raccogliendo tutto il suo coraggio di madre in gesti amorevoli di comprensione, riesce a stabilire una intesa attenta e morbida con la ragazza conducendola, fra una calda tisana e la preparazione di una fragrante crostata, nel suo passato sconosciuto di donna abusata. Le sprovvedute che emergono dal loro bozzolo di insicurezze sono quelle donne che, per fragilità innata, ingenuità e bontà d’animo, non sono in grado di cogliere al primo segnale di violenza, anche solo verbale, la mancanza di riguardi nei loro confronti, proprio perché in primis sono loro stesse a non amarsi, a non rispettare se stesse in quanto individui a sé.
L’autore dimostra con la sua storia una profonda empatia nei confronti dell’universo femminile, calandosi prima nei panni della più matura e consapevole Arianna, poi in quelli adolescenziali di Sofia. La ferita inferta nel passato riemerge drammaticamente in Arianna e fa più male degli schiaffi e delle offese ricevute, perché provocata da chi avrebbe dovuto saper mostrare amore incondizionato. Arianna si porta addosso la ferita di una madre che le ha insegnato a sopportare, attenta più al giudizio altrui e alle apparenze, che ai veri sentimenti della figlia. Arianna invece spezza la catena, ponendosi in ascolto attento verso la figlia, senza forzarla, ma rispettando i suoi tempi, trattenendo l’angoscia verso una verità più drammatica, purtroppo sospetta, che si rivelerà nel finale. La forza che guida la madre nell’attenzione verso i silenzi e i gesti della figlia nasce dalla consapevolezza che la ragazza non è sola, ma ha al suo fianco, pronta a sorreggerla, una famiglia premurosa, in particolar modo un padre, Lorenzo, musicista filosofo, dotato di grande sensibilità, che comprende le donne. È attraverso questa figura che l’autore rivela il suo messaggio:
“con il rispetto si rende una donna felice, lasciandola libera di esprimere se stessa.”
Lorenzo rappresenta il riscatto per Arianna, la nuova possibilità che la vita le ha donato per rinascere, ritrovare se stessa e imparare ad amarsi. Arianna e Lorenzo sono due anime affini che condividono l’emozione del conoscere, la voglia di scoprire, l’entusiasmo per la vita, tutti sentimenti antitetici all’egoismo, al possesso e alla prevaricazione, tipici dell’arcaico retaggio di un patriarcato non ancora del tutto superato. Sofia può contare allora su due genitori empatici che dimostrano, attraverso le reazioni controllate, rispetto e comprensione nei suoi confronti, che la guidano, gradualmente, verso una presa di coscienza: “Ma come diavolo sei potuta finire insieme a un esemplare del genere? Eh? Forza Sofia, risponditi! Ci siamo fatte fregare dal fascino del cattivo ragazzo, eh? Da quello belloccio e intraprendente, eh? E ti è piaciuto, eh? Brava! Sei proprio una stupida! Soltanto una stupida! E poi a letto non è manco tutto questo granché, appena lo molli sbadiglia come se avesse compiuto chissà che impresa… Ma lo sai quanti ne trovi, centomila volte meglio di lui? No, dimmi se lo capisci o no che con quell’attrezzo, dopo quello che è successo, devi farla finita e basta! È chiaro?! E risponditi qualcosa, maledizione!”
Ma dove finiscono, invece, le ragazze abbandonate, derise e non comprese dalle famiglie? Perseguitate o subdolamente circuite e abusate sin dall’antichità, come dimostrano numerosi esempi di figure femminili, come nei miti greci di Dafne e Elettra, per citarne un paio, o le protagoniste letterarie Ida Ramundo de “La Storia” della Morante e Olì di “Cenere” della Deledda, le donne subiscono il limite morale di poter vivere liberamente le proprie pulsioni o inclinazioni, vittime esse stesse della convinzione di rivestire un ruolo di inferiorità nella società. Il cammino per queste sprovvedute, o ancora peggio emarginate dalla società, risulta ancora oggi ostacolato dall’immagine tradizionale del femminile che si fonda sull’amore oblativo, sul sacrificio estremo del Sé, alla quale si oppone la figura-ombra della ribelle-meretrice, visione contrastante insita in una cultura intrinsecamente maschilista che stenta ancora a riconoscere un ruolo attivo e senziente del femminile, condannandolo con feroce sprezzo a una condizione di asservimento psicologico e di inferiorità.
LE SPROVVEDUTE
Giuseppe Fini
Romanzo
Pubblicazione indipendente
Euro 10,50
ISBN 1719812438, 9781719812436 – Anno 2018
Mini-intervista all’autore
Come nasce l’idea di una storia al femminile?
Nasce da un profondo senso di ammirazione nei confronti della donna. Per quanto se ne dica, la nostra società continua ad essere estremamente maschilista. Come uomo sentivo la necessità di dare in qualche modo voce all’universo femminile, o quantomeno ad una parte di esso.
Rosso è il colore che hai scelto per la copertina del tuo libro, è chiara l’allusione alla tinta della lotta contro la violenza sulle donne. Il rosso simboleggia l’amore, che dalla passione sempre più spesso si trasforma in possesso e tragedia. Come pensi si possa combattere oggi la violenza sulle donne?
Credo sia un problema strettamente culturale, un retaggio che purtroppo ci trasciniamo dietro fin dagli albori. Personalmente, mi sembrava importante dare un segnale contro la violenza di genere attraverso le lettere, un contributo alla cultura del rispetto verso la donna. Di violenza di genere è fondamentale che se ne parli sempre, non soltanto all’indomani delle terribili notizie di cronaca. Troverei naturale che fra gli uomini si generasse una sorta di corrente “femminista” (termine che utilizzo in maniera del tutto apolitica), sarebbe sintomo di civiltà.
Perché hai deciso di autopubblicarti?
Perché l’Italia è il Paese delle raccomandazioni e delle spintarelle, ed è molto difficile che a una penna sconosciuta, senza alcun tipo di agganci, arrivino proposte serie ed oneste dal panorama editoriale. Così, anziché perdere tempo ho preferito propormi più dignitosamente ai lettori in maniera diretta.